«Alcune memorie della mia vita durante la guerra Austro-Russa Jäger Pietro Pompermaier» - Gruppo Alpini Roncegno

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«Alcune memorie della mia vita durante la guerra Austro-Russa Jäger Pietro Pompermaier»

La 1a G.M.



«ALCUNE MEMORIE DELLA MIA VITA
DURANTE LA GUERRA AUSTRO RUSSA
JÄGER PIETRO POMPERMAIER
K.K. 3° R.T. K. Jg. 8 F. KOMP. BORGO VALSUGANA»


di Vitaliano Modena




PARTE PRIMA
1914



Al fronte accompagnati da inni e bandiere




I Pompermaier erano di Ronchi Valsugana. Vi nacque, il 23 luglio 1887, Arcangelo Pietro, primo di sette figli. La famiglia si trasferì più tardi a Olle di Borgo.
Ai primi di agosto del 1914, quando la macchina della guerra era ormai in piena corsa, Pietro dovette presentarsi al distretto militare di Trento. Si trovò in grande compagnia, ma solo i pochi volti conosciuti gli diedero un po' di coraggio.
I primi giorni passarono in piazza d'armi per l'addestramento. Pietro riuscì a non pensare troppo a ciò che l'aspettava. Ma quando il 24 agosto venne annunciata l’imminente partenza per il fronte si sentì venir meno (ben diversamente dai tedeschi «che cominciano a gridare di contentezza. lo credevo che si tratasse di pace, invece ...»).
Il giorno seguente il treno si riempì all'inverosimile di soldati giunti alla stazione fin dalle prime luci accompagnati dalla banda. Dopo il fischio il convoglio si mise lentamente in movimento, «carico di fiori e bandiere», di segrete speranze e angosce. Una selva di mani si protendevano a salutare finché l'ultimo vagone non scomparve alla vista; si affidavano la reciproca inquietudine per il succedersi di eventi che stavano al di sopra dell'umana capacità di prevederne sviluppi ed esiti.
Nonostante le premesse il viaggio risultò perfino interessante, ricco delle novità offerte dal paesaggio che correva incontro mostrando il volto insolito di campagne e città.
Il convoglio portò diritto a Leopoli. Con l'arrivo nella capitale galiziana (il 30 agosto) le cose si fecero, però, fin da subito terribilmente serie.


Frontespizio del quaderno che raccoglie le memorie di Pietro Pompermaier.



La disastrosa ritirata delle armate austriache

Il successo militare ottenuto dall'Austria-Ungheria pochi giorni prima con due armate penetrate di slancio in territorio russo in Volinia e dirette l'una a nord verso Lublino e l'altra più a est su Chelm stava per esaurirsi proprio in quella fine di agosto. E ciò a causa della sfortunata iniziativa di un'altra armata austriaca, quella assegnata alla difesa di Leopoli, la quale, sull'onda del successo conseguito dalle altre due, andò a fronteggiare le due armate russe che in precedenza erano state battute. Ma trovatele riorganizzate e rinforzate, fu costretta per tre giorni a subirne l'azione predominante, a retrocedere poi verso Leopoli e infine ad abbandonare la città stessa in mano nemica. Una sconfitta per l'esercito austriaco dispiegato su quel fronte che segnò l'inizio di una ritirata di grosse proporzioni. Infatti, per evitare l'accerchiamento, anche le altre due armate dovettero indietreggiare, incalzate dai russi.
In questa fase del conflitto entrarono in scena Pietro e i suoi compagni partiti dal Trentino il 25 agosto. Camminando su quelle strade polverose o infangate essi divennero, in quella ritirata, attori improvvisati di una tragedia in atto sul vasto palcoscenico di una fase terribile della guerra, costretti a ripiegare senza tregua confusamente e pericolosamente, tallonati da un nemico spiegato in forze massicce e galvanizzato dai successi conseguiti.
Questi sono gli eventi che fanno da cornice alle annotazioni di Pietro Pompermaier. Esse registrano estenuanti interminabili marce, la fame alimentata dai mancati rifornimenti, l'ossessionante rombo dei cannoni, i villaggi in fiamme, gli scontri improvvisi, i compagni caduti, la grave perdita della capitale. In questo inferno non rimaneva che chiedere la protezione della Madonna.
La ritirata austriaca di dimensioni bibliche non si assestò né sulla linea Rawa Ruska - Grodek, né, più indietro, sul fiume San dove fallì un secondo tentativo di allestire una linea difensiva (Il metà di settembre); si concluse soltanto ai fiumi Biala e Dunajec (ottobre) dopo la perdita della Bucovina e di buona parte della Galizia, nonché di una quantità impressionante di uomini e di mezzi.
Fino alla metà di ottobre Pietro fu dentro le vicende di questa fuga tempestosa, «con i russi sempre alle spalle», il timore di non tenere il passo perché «chi resta indietro è perduto», le tappe forzate di arretramento che occupano interminabili giornate di cammino, le notti passate sulla paglia, bagnati e affamati, in più mortificati dalla dispotica stupidità di certi graduati.


In ospedale

In quel drammatico contesto nemmeno i feriti e i malati trovavano una tregua. Così Pietro, quando avverti i segni della malattia, non poté allentare i suoi passi stremati per essere curato e assistito. Passarono dieci giorni prima che un medico si chinasse su di lui per la visita. Venne inviato all'ospedale, poi ad un altro, finché il 6 novembre 1914 entrò in quello moravo di Olmütz, attrezzato in un'antica fortezza. Lì fu ben seguito e rispettato, si trovò in buona compagnia. Ebbe la possibilità di mettersi finalmente in comunicazione con la famiglia, di cui non aveva notizie da tre mesi.


Le memorie

Le "memorie della mia vita durante la guerra" furono scritte da Pietro Pompermaier dopo il rientro definitivo in famiglia su un quaderno di piccole dimensioni, con una scrittura elegante e il corredo di qualche accurato disegno. Le "memorie" derivano dalle annotazioni da lui stese quand'era degente nell'ospedale di Olmütz.
Esse comprendono anche delle note riguardanti la Galizia e le abitudini dei galiziani tratte dalla sua esperienza. Ritenendole interessanti le riporto in appendice al capitolo.



"ALCUNE MEMORIE DELLA MIA VITA DURANTE LA GUERRA"


Quando, gli ultimi di luglio, tutti discorevano della guerra, io non volevo nemmeno sentire, ridevo e mi pareva che nulla potesse essere, ma invece purtroppo fù per me qual che cosa di straordinario.
Ai due agosto il nostro Inperatore ordinò la mobilitazione generale. Tutti gli obbligati al servizio militare partono per la consegna. lo pure vado alla stazione e fra le lagrime dei miei cari che dovevo lasciare, monto sul treno e parto alla volta di Trento.
Arrivato vi trovo i miei cugini Casagranda, passo il giorno con loro, e poi verso sera mi consegno al comando militare. Fui subito condotto in una caserma, dove per 6 giorni non facevo che mangiare e bere.
Il giorno 9 agosto fui vestito da militare e subito cominciarono gli ordini severi.
Io però penso poco alla guerra. Tutti i giorni si va in piazza d'armi a fare esercizi e si torna a mezzo giorno in caserma. Si riposa e si mangia bene. Ma si avvicina il giorno della partenza per il teatro della guerra.
Il 24 agosto andiamo in piazza d'armi. Appena arrivati un cavaliere porta in fretta un ordine e i miei colleghi tedeschi cominciano a gridare di contentezza. lo credevo che si tratasse di pace, invece era arrivato l'ordine della nostra partenza per la Galizia. lo divenni pallido per un momento, altri miei compagni Italiani egualmente.
Riunito in fretta il nostro battalione si ritorna subito in caserma e si fanno i relativi preparativi. Appena terminato scrivo a casa per salutare i miei cari e mandar loro l'ultimo saluto da Trento.
Alla mattina seguente 25 agosto, ci alziamo di buon ora, giriamo per città in cerca di fiori. Alle ore 6 accompagnati dalla banda militare si va alla stazione.
Il treno è carico di fiori e bandiere. Una moltitudine di curiosi stanno presenti, tanti salutano i loro cari. lo passai un'ora assieme al mio amico Segnana, poi alle ore 9 circa il treno parte. Nel mio vagone siamo in 35 uomini, non si può muoversi e nemmeno dormire. Alcuni piangono, io me ne stavo serio in un cantone. Il viaggio passa felice. In tutte le stazioni si scrive qualche cosa, e mi godo al veder tante belle città che non avevo mai visto.
La notte del 30 agosto finalmente si arriva a Leopoli, città bellissima capitale della Galizia. Si smonta dal treno tutti pieni di sonno. Io credevo poter andare a dormire, ma invece mi sbaglio. Si atraversa la città, poi si prende la direzione verso il nemico.
A circa due kil. si riposa un momento e qui si comincia a sentire il rombo del cannone. La cosa si fa seria, per la via si trovano continuamente feriti, e gli abitanti dei villaggi fuggono verso la città conducendo il loro bestiame o portando sulla schiena quel poco che in fretta hanno potuto raccogliere.
Il viaggio continua senza riposo e si comincia a sentir fame, ma sempre avanti, viene la notte e non si riposa ancora. Alcuni cadono a terra dalla stanchezza, io pure ero sfinito. Cira le 10 del 30 agosto si arriva al posto destinato vicino al confine. Silenzio comandano gli ufficiali, il nemico e vicino! Si comincia a tremare. Ci disponiamo in linea di fuoco, poi si lavora per fare i ripari.
Viene finalmente il giorno 31 agosto, i cannoni cominciano a tuonare.
Più tardi si vedono da lontano patuglie di cosacchi che si avvicinano a noi che siamo però pronti a respingerli. Ma ecco che subito arriva in fretta un cavagliere con un ordine che dobbiamo ritirarci.
I russi venivano da tutte le parti e le nostre forze erano assai minori. Si torna in dietro in tutta fretta.
Viene la notte nuovamente, si arriva in un villaggio, ivi finalmente vicino si riposa.
Due ore circa dopo sento a gridare all'armi, mi alzo in fretta e vedo tutto il paese in fiamme. Due altri paesi ardevano pure. Si continua la ritirata. Verso la mezza notte ci fermiamo ancora un momento per riposare. Tutti si perdono nel sonno, ma eco che tutto ad'un tratto si sente il nostro capitano a gridare: schizen cavalerie! Tutti pieni di spavento cominciamo a sparare. lo, visto il grave pericolo mi gettai a terra, e poco dopo dietro un nuovo comando fermiamo il fuoco. Quale dolore non fù però il nostro al vedere 13 dei nostri compagni morti e più di 20 feriti. Tra i nostri giaceva pure un capitano. E ancor più doloroso fu il momento quando ci accorgiamo eser stato questo uno sbaglio, non era che una pattuglia dei nostri soldati e noi in cagione dell'oscurità della notte sparavamo sui nostri compagni.
Ritorna il silenzio e mesti prendiamo di nuovo il camino.
Si fa giorno e stanchi ed affamati arriviamo in un villaggio. Riposiamo un poco, ma ecco che subito si deve partire, i cannoni russi son diretti su di noi e le granate cominciano a cadere.
Si tiene continuamente la direzione di mezo giorno, torna la notte si continua la marcia, come pure il giorno dopo. Arrivati finalmente in un altro villaggio si può riposare abbastanza. Ma il rancio è misero ed affatto insufficiente.
Tutti si metono a cuocere delle patate servendosi della gamella e qualcuno compera qualche gallina.
Il giorno 7 settembre arriva l'ordine di tornare contro i russi. Si parte subito. Viene la notte, si riposa sul campo, è freddo e la fame si fa sentire forte.
La mattina 8 settembre si va incontro al nemico. Per la via si incontra una procissione di feriti. Subito si entra nel combattimento. lo fui diretto alla destra del nostro battaglione con altri tedeschi, e di ciò ebbi dispiacere perché dovetti lasciare il mio fido compagno Tomio di Borgo che fino dal giorno della consegna ebbi sempre in piena amicizia.
Il combattimento è assai forte, le palle nemiche cominciano a farsi sentire, ed il capitano comanda avanti. Il forte peso della canistra più non si sente e si comincia a correre. Le palle nemiche cadono sempre più fitte, ad ogni momento vedo dei compagni a cadere, e così pure il mio capitano. Io allora feci un vero atto di dollore perfetto e subito pensai che era il giorno della Madonna e che cuella mi poteva aiutare, quindi pregavo continuamente. Sempre avanti, colla faccia quasi a terra, arrivo alla prima linea del fuoco, a circa 600 passi dal nemico. Vedo i russi a fuggire, noi spariamo fortemente su di loro, ma poi essi si fermano e si mettono in una buona posizione. Si combatte fino a notte. Lo preso dalla fame scavo colle mani delle patate e le mangio cosi crude.
Verso le ore 8 i russi fuggono ancora, noi li inseguiamo con un forte urà, quindi al comando "alt" ci fermiamo e facciamo i così detti decung [ripari].
Viene il giorno e si chiama a riunione il nostro battaglione, ma quale dolore non fu al veder perduti più della metà dei nostri compagni. L'ordine è di ritirata altri battaglioni vano avanti. Di ufficiali abbiamo ancora un sollo tenente che prese il comando. A circa 3 ore di ritirata ci fermiamo e si riposa per due giorni. Viene il nostro maggiore che era stato all'ospitale per una ferita avuta in seguito dal suo cavallo e piange al veder perduti i suoi ufficiali.
Vicino a noi circa 50 dei nostri cannoni continuavano a sparare contro il nemico.
Il giorno 10 settembre facciamo di nuovo i soliti ripari in linea di fuoco. Si riceve da manggiare e sè alquanto trancuilli, ma ecco che subito si deve fuggire, i cannoni russi sparano su di noi violentemente. Poco prima un aereoplano ci aveva veduti ed aveva segnalata la nostra posizione alle sue batterie.
Si prende un'altra posizione e si fanno di nuovo i soliti ripari e poi si riposa. Viene la notte tutti sono persi nel primo sonno, d'un tratto si sente gridare all'armi. Una moltitudine di russi era vicina e aveva già conquistata la città di Leopoli capitale della Galizia. Questo fù un fatto assai inportante incuantoché la perdita dei nostri era grave e forsi insuperabile. L'ordine è di ritirata, si prende nuovamente la direzione di mezzo giorno sempre costegiando il confine russo.
Il giorno 12 settembre si viaggia continuamente fino a mezza notte. Così il 13, la fame torna ancora a farsi sentire forte, per tutti i villaggi dove si passa si va in cerca di cibo, si trova poco e si deve contentarsi di pane nero patate o rape, ma si deve pagare a carro prezzo. Molti rubano melle.
Vicino a me ò ancora il mio compagno Tornio che sempre mi da coraggio asicurandomi che la direzione da noi tenuta nella marcia era buona. lo soffrivo forte malle ai piedi incominciatomi ancora nei primi giorni in cagione del sudore. Tutti i giorni si marcia senza riposo. I russi sono sempre alle nostre spalle e noi siamo forzati a ritirarci, ma molti restano indietro e vanno perduti.
Io sempre assieme alla mia compagnia vado avanti, ariviamo finalmente in una città dove si può comperare qualche cosa. Durante la notte si riposa bene e la mattina si parte di buon'ora sempre nella stessa direzione. lo però in causa del forte male ai piedi devo restare indietro, riposo circa due ore e poi adagio riprendo il cammino. La strada era affolata di carri che conducevano i viveri e le munizioni. Camin facendo mi sento chiamare per nome, mi volto in fretta e vedo un mio amico di Borgo che conduceva un carro, mi fa posto al suo fianco e discorrendo si va avanti. Così arrivo il reggimento che si era fermato per pasare la notte. Saluto e ringrazio l'amico e vado in cerca della mia compagnia. Appena l'ebbi trovata ricevo il rancio il quale ne avevo proprio bisogno, quindi venuta la notte si riposa nelle tende. Il giorno seguente si prende di nuovo il camino.
È freddo il tempo minacia burasca e diffatti incomincia a piovere dirotamente. Si va avanti egualmente per alcuni giorni sotto una continua pioggia riposando solo alcune ore alla notte in qualche villaggio.
Il giorno 20 settembre arriviamo finalmente in una città della quale non ricordo il nome. Qui vedo li ebrei che con molta divozione vanno alle loro chiese, e i negozi sono chiusi, dimando il motivo e mi dice che per essi era lultimo giorno dell'anno.
Si riposa la notte e il giorno seguente. La sera si parte per la canpagna, si tirano le tende e si riposa tutta la notte.
La mattina del giorno 22 arriva di buon'ora un capitano portando la nuova che in poche ore sarrebbero passate le Feldkompani dei nostri regimenti e che noi sarremo aggiunti a tali compagnie.
Devo notare che io appartenevo alla II Compagnia del I Marsbtt. Ora invece faccio parte alla 8 Compagnia del III Regimento C. J. Appena messa assieme vado in cerca del mio Cugino Giacomo che doveva trovarsi al III battaglione. Dimando a uno all'altro di lui e mi vien risposto che si trova ancora con loro. Finalmente lo vedo che mi vien incontro mi stringe le mani e poi mi raconta qualche cosa delle sue vicende.
Durante quel pò di riposo mangiamo assieme una conserva, poi si parte.
La pioggia cade ancora, e si arriva al quartiere bagnati assai. Così si deve sdraiarsi sulla paglia senza potersi assiugare, quindi si riposa poco. La mattina mi alzo di buon'ora faccio del fuoco per assiugarmi un poco, torno al quartiere e non trovo più la mia compagnia. La cerco per alcune ore finalmente la trovo nascosta in un bosco ove teneva servizio di guardia che durò tutto il giorno e parte della notte. Posso senza essere veduto prendere il mio posto e verso le due di mattina si ritorna al regimento e insieme si comincia a viaggiare.
Qui passando per la via vedo di nuovo il mio cugino e mi dice che va all'ospitale; lo saluto e tiro avanti. Viene la sera si riposa bene. Il giorno seguente si viaggia ancora. Si arriva finalmente in un villaggio ove ci fermiamo. lo da tre giorni non avevo mangiato nulla di pane, ero affamato prendo il rancio dispensato ci e poi quando credetti che tutti l'avessero ricevuto mi faccio vicino per riceverne ancora come era nostra abitudine presso le Marcompani. Mai non l'avessi fatto, un caporale mi anuncia al sergente il quale comincia a gridare come un dannato nel suo duro gergo tedesco. Io non capisco nulla, e in italiano dico a lui che credevo avessero ricevuto tutti la loro porzione, ma non sono ascoltato. Quindi mi legano le mani fisse dietro la schiena e con un altro spago mi appengono a un albero in modo che in terra potevo poggiare sollo colla punta dei piedi.
È compasionevole e doloroso. Avelito com'ero sopporto per lungo tempo poi comincio a gridare.
Essi ridono di mè benché saccorgono che mi vien male. In quel modo devo restare due ore e non anno compassione.
Passo anche questa, benche giuravo di volermi vendicare, ma che posso farre? Anche altri miei compagni ricevono il medesimo castigo e devono sopportare.
Si riposa la notte, la mattina si continua la marcia arrivando la sera in un villaggio vicino alla città di Tarnov, ove di nuovo sento il cannone. Si lavora per due giorni a farre dei ripari perche il nemico è poco lontano. Qui si riceve abbastanza da mangiare e si può anche riposare alcuni giorni. Anche il comperarsi qualche cosa e possibile.
Tutti poi si mettono a scrivere a casa ed'io pure.
Arriva il 1 ottobre e con esso altri battalioni di soldati destinati ad unirsi a noi.
Ci sono molti italiani, io non conosco nessuno. Essi erano freschi e ben tenuti, e si facevano meraviglia al veder noi cosi dimagriti.
Riposiamo un giorno assieme, poi si va di nuovo contro al nemico, ma esso è in ritirata.
A notte si riposa nelle case sulla paglia. Io però continuo a tremare per tutta la notte, stò poco bene. La mattina mi annunzio ammalato ma il medico non cè, quindi devo andare avanti.
Il giorno 4 appena incominciata la marcia sono preso da un forte dollore di ventre e devo gettarmi a terra. Tutti vanno avanti, nessuno mi aiuta, siamo sul campo che posso fare?
Dopo un pò di riposo mi alzo è adaggio vado avanti, entro in tutte le case in cerca di cibo, ma non trovo nulla, i russi avevano rubato ogni cosa e ancor quei abitanti dovevano patire la fame.
Camin facendo trovo il mio regimento che riposava. lo vado in cerca del medico, lo trovo e lo prego di farmi la visita. Appena mi vide mi dice che sonno ammalato, ma che non può farmi nulla perche siamo sul campo, quindi lui deve partire subito. Però mi rilasia un biglieto col permesso di andar a riposare nella casa la vicina. Tutti partono, io entro nella casa e dimando da dormire. Mi si conduce subito sulla paglia è riposo fino il giorno seguente.
Svegliatomi a tarda ora trovo altri due che avevano dovuto passare la notte in quella casa, ma essi appartenevano al 4 regimento. Noi dobbiamo raggiungere le nostre compagnie che si trovano in una città circa a 3 km, ed in tutta fretta, perche, come dicono essi in quel luogo durante la notte furono visti gironzolare dei cosacchi, quindi siamo al pericolo.
Prendo la mia canistra getto via tutto quello che non ero capace di portare, poi mi meto a seguirli. Difatti arriviamo alla città ed io resto con loro, assieme passo la notte seguente. A mattina essi partono ed io resto solo, cerco la mia compagnia, la trovo ma sul punto di partire quindi benché a stento la devo seguire cerco del medico ma non sono capace di trovarlo. Per tre giorni ancora vado avanti cosi, stanco debile e sfinito ma sempre colla speranza di potermi fermare e pasare la visita medica.
Siamo vicini al nemico ma io non temo, stanco di quelle fatiche e di quella vita da cane, poco mi importa di essere colpito da una palla cosi avro finito di soffrire.
I russi son costretti di ritirarsi ai loro confini dove si mettono in ottima posizione, e conbatono a lungo fieramente e tenacemente. I nostri devono fermarsi alcuni giorni per costruire un ponte poterlo passare e scovare il nemico trovantesi al dila del fiume.
Durante tali giorni di fermata posso finalmente andare alla visita medica ove vengo passato ammalato e quindi ricevo il permesso d'andare all'ospitale. Questa è una vera fortuna per me perche poco dopo il mio reggimento doveva passare il fiume su barche, e dal nemico vene decimato.
Fu il giorno 13 ottobre che io venni condotto in un provisorio ospitale, anzi inseguito stando alla finestra vedo passare molti dei miei compagni feriti.
Nella mia camera siamo in 13 ammalati fra i quali un giovane tedesco continua a gridare per forti dolori al ventre.
Il giorno seguente viene il medico per visitarlo è dice che si tratta nientemeno che di colera. Lo si porta subito in un altro luogo. E noi che dovevamo partire ancora quel giorno per un altro ospitale causa ciò dobbiamo fermarci 5 giorni in osservazione. Sempre chiusi nella camera e pieni di paura. Passano anche questi e nulla succede di nuovo quindi si può partire.
Fra tutti sono solo italiano, e con loro non posso parlare perché non conosco quelle lingue.
Il giorno 18 arrivo alla città di [Przemysl] in un ospitale nel quale resto solo due giorni, e poi col treno in compagnia di altri 229 ammalati vengo condotto alla città di Tarnov in un altro ospitale.
Qui finalmente passo alcuni giorni abbastanza felici, solo devo dire che il rancio e piuttosto poco e a comperare del pane si deve pensare perche è troppo caro e il denaro e poco.
Nella mia camera siamo in 57 ammalati appartenenti a tutte le nazioni, 3 soli siamo italiani fra i quali un maestro di Sanzeno (Val di non). Esso passa il tempo scrivendo le memorie dei suoi giorni passati in Galizia. Io pure voglio imitarlo e per mezzo di una infermiera posso avere questo libro che mi metto a scrivere come meglio son capace è come meglio mi sò spiegare dei fatti più importanti.
Del resto lo sa chi lo provo in Galizia.
La vita passata nell'ospitale e bella per chi non soffre dolore, e così si puo star contenti e non lamentarsi. Si vien ben serviti ben trattati, e anche i tedeschi ci vogliono bene. Quasi tutti possono avere da casa loro del denaro, e cosi pure notizie. Io però non ne posso avere in causa che ò dovuto canbiare ospitale e il giorno 4 corrente in 240 siamo stati condoti alla stazione e si parte. Le mie lettere sono andate perdute e non potendole avere mi dispiace assai perche in quasi tre mesi che sono in Galizia non ò mai ricevuto notizia della mia famiglia.
[novembre] Stando nel mio vagone sempre in compagnia del Signor Branz maestro di Sanzeno arrivo il giorno 6 alla città di Olmutz (Moravia) e quindi tutti in compagnia siamo condoti in una vecchia forteza ora ridotta in ospitale vicino alla città. Appena arrivati siamo destinati nelle camere secondo le nazioni, fra tutti siamo solo 10 italiani e quindi con altri 5 bosniacchi abbiamo una cameretta ben regolata, e serviti da due infermieri, benche tutti stiamo bene non avessimo bisogno di servizio.
Io appena arrivato scrivo subito a casa e mando ai miei la direzione, sperando di restare a lungo qui, e di aver notizie della mia famiglia, cosi passano i giorni. Ma piu che mi consola e il sentire che è facile ricevere tre setimane di permesso per andar alle proprie case, forsi e vero penso frà mè! Io potrei vedere ancora i miei cari, altrimenti non lo so.
E cosi sempre sperando l'ascio da scrivere e vado a dormire.
Spital in Olmutz Li 12 -11-1914.



PARTE SECONDA
1915 - 1920


Trascorso, come dice l'autore, molto tempo dalla stesura della prima parte delle "memorie della guerra", Pietro s'accinse a completare, con la parte mancante, il racconto delle sue vicissitudini belliche per consegnarlo compiuto al ricordo dei suoi discendenti.
Se già nella prima parte abbiamo trovato, com'è consuetudine per chi scrive a distanza di tempo dagli accadimenti, un'esposizione delle vicende storiche e dei sentimenti vissuti improntata a essenzialità e riserbo, nella seconda parte la narrazione si caratterizza per una emozionalità a tal punto contenuta, da lasciar intendere che altre urgenze premessero forti dentro di lui e la guerra fosse ormai qualcosa di minor importanza. I pensieri, ora, sono della massima semplicità, addirittura scabri, usciti a fatica come scolpiti nella pietra. Una giustificazione c'è: Pietro è malato, gravemente, e avverte vicina la sua fine. La scrittura non è più appagamento spirituale; è faticoso dovere volto a concludere la stesura della sua storia di guerra; è un atto di amore sofferto nei confronti della sua esperienza che, è bene si sappia, fu straordinaria.
Anche in questo si esprime, come avvenuto nei giorni più bui e grevi della guerra, l'adamantina umanità di Pietro Pompermaier.


La battaglia d'inverno sui Carpazi

Un permesso di tre settimane consentì a Pietro, nel novembre 1914, di lasciare l'ospedale di Olmütz per raggiungere la famiglia.
Rimase in Trentino più a lungo del previsto, prima nel capoluogo presso l'ospedale delle Dame di Sion poi a Levico per i bagni e ancora a Trento per un ulteriore periodo di convalescenza. Aveva ritrovato la serenità, ma temeva il richiamo alle armi; che, difatti, non tardò ad arrivare.
Il 19 marzo 1915, ancora accompagnati dalla banda, molti soldati presero posto sul treno in partenza da Trento. Dopo tre giorni giunsero ai piedi dei Carpazi, dov'era in corso la grande offensiva d'inverno scatenata dalle forze russe per il controllo dei passi che collegano la pianura galiziana con quella ungherese.
Chi visse quei combattimenti, avvenuti in condizioni ambientali d'un'asprezza estrema, ne riportò un ricordo lacerante.
Pietro ricevette il nuovo battesimo del fuoco il 27 marzo con un assalto alla baionetta avvenuto a mezzanotte in un metro e oltre di neve. Non si dilungò a parlarne, lasciando al lettore raffigurarsi quanto avvenuto in quella tragica notte. Di altri eventi, e ne avrebbe avuti molti da raccontare, non fa cenno.


La controffensiva austro-germanica in Galizia

Così come tralascia poi di dire che le truppe austro-germaniche, sul finire di aprile, vennero concentrate tra Gorlice e Tarnow per muovere da là un attacco centrale di notevole potenza allo scopo di togliere alla Russia il possesso della Galizia conquistata l'anno precedente. L'avvio di questa operazione cruciale avvenne ai primi di maggio del 1915.
Quindi, allorché l' 1 maggio Pietro annota un assalto con la presa delle trincee nemiche «in una nuova posizione», vuoi dire che il grande teatro di guerra s'era spostato dai Carpazi al centro della Galizia. Il 3 maggio, da Tarnow, anche Pietro si trovò a incalzare i russi fuggitivi. Le parti s'erano invertite: questa volta non era lui la lepre inseguita.
I russi si ritirarono senza sosta per oltre 100 chilometri fino al fiume San, dove si attestarono per opporre efficace resistenza all'avanzata austro-germanica.
Anche su questa operazione militare Pietro sorvola nel suo memoriale, pur avendovi partecipato. Al San, in seguito a un contrattacco russo, molti austro-germanici vennero colti di sorpresa e caddero prigionieri. Ebbe questa sorte anche il nostro Pietro.


La prigionia

Superate le lunghe tappe di avvicinamento ai luoghi stabiliti per concentrarvi i prigionieri, con spostamenti effettuati prima a piedi poi in treno, Pietro arrivò nella città di Kusnezk. Dopo 40 giorni fu trasferito a Chwalvnsk, sulla riva destra del Volga, alloggiato in un baraccone.
Si presentò un contadino, prese lui e un suo compaesano e li portò a 35 chilometri di distanza a lavorare nei campi. Nulla la possibilità di comunicare con i contadini russi, duro il lavoro, prestato dall'alba fino a tarda sera, anche d'inverno; non restava che sperare nella fine della guerra.
Durante il 1916 Pietro andò a lavorare in un'altra masseria e poi in un'altra ancora.
Nel 1917 in Russia scoppiò la rivoluzione e ne nacquero gravi disordini destinati a diffondersi ovunque.
Nel corso del 1918 dei prigionieri furono raccolti dai militari russi "bianchi" e condotti nella città di Samàra
(La città di Samara si trova alla confluenza del fiume omonimo con il Volga. Dal 1935 cambiò nome: oggi è Kujbysev, capoluogo della provincia omonima. È solida città industriale, agricola e commerciale, posta su importanti vie di comunicazione: porto fluviale sul Volga, collegata per ferrovia direttamente con Mosca, toccata da un ramo della ferrovia transiberiana.), che era stata occupata dalle truppe cecoslovacche in appoggio a quelle russe antirivoluzionarie.
I prigionieri entrarono in relazione con un "capitano" italiano, Compattangelo, del quale abbiamo parlato nel capitolo dedicato ai prigionieri irredenti, il quale con modi poco inclini alla persuasione li asservì alla sua causa. Indossate le uniformi dei russi "bianchi", parteciparono alla difesa di Samara attaccata dalle forze militari "rosse."
Ma quando capirono che le cose stavano volgendo al peggio, i "compagni di ventura" se ne allontanarono rapidamente. Salirono sulla transiberiana, si dedicarono a fare proseliti nelle principali stazioni e giunsero a Krasnojarsk.
Pochi giorni di guardia e furono raggiunti dai due "Battaglioni Neri" provenienti dalla Cina, «che ci da il cambio e noi partiamo per Vladivostok dove cera la missione. »
Come mai non si fermarono a Krasnojarsk?
Il "capitano" Compattangelo, in fuga da Samàra rioccupata dai bolscevichi, saputo che a Krasnojarsk si era stabilito un Corpo regolare italiano, vi si diresse con i suoi 150 uomini mettendosi a disposizione del comandante. Ma Fassini-Camossi non integrò i nuovi arrivati con i suoi, li dirottò piuttosto al deposito di Vladivostok retto dalla Missione Italiana. In quella città, scrive Pietro, il soldato lo faceva chi voleva.

Pietro vide spegnersi il 1918 nell'ospedale di Vladivostok a curarsi le conseguenze del freddo preso durante il viaggio. In Oriente trascorse purtroppo anche tutto il 1919. Soltanto a Natale di quell'anno arrivò l'assicurazione, dal maggiore Cosma Manera, che la partenza per l'Italia sarebbe stata vicina. Nel febbraio 1920 gli ex prigionieri rimasti in Oriente lasciarono "fra gli evviva" il porto del Pacifico. Il 12 aprile la Texas-Maru, sulla quale s'era imbarcato Pietro, era nel porto di Trieste.
Erano passati parecchi mesi dalla fine della guerra, quasi sei anni dal suo inizio. Pietro, e molti come lui, ne avranno la vita segnata
(La figlia di Pietro Pompermaier, Emma, mi dice che poco dopo il suo ritorno dalla guerra, precisamente il 5 febbraio 1921, «il papà si sposò con Emma Broilo, ed ebbe tre figli. Le sue condizioni di salute lo impensierivano, per la stanchezza che facilmente gli subentrava dopo poco lavoro. Ciononostante si prestava ogni giorno nelle varie necessità richieste dal suo mondo contadino, mettendo a frutto la sua ingegnosità e particolare abilità nella costruzione dei tanti oggetti occorrenti in casa, nella stalla e nei campi. Dopo un periodo di particolare malessere e di debolezza tale da ridurre la sua capacità di lavoro, si recò all'ospedale di Rovereto per accertamenti diagnostici. Il referto fu scoraggiante: tubercolosi polmonare, con lesioni tali da lasciare scarsi margini di speranza. Rientrato da Rovereto, quella sera a tavola, vinto dallo scoramento, il papà appoggiò il capo tra le mani, e pianse. Ne fui turbata, era impensabile vedere il papà ridotto così, ... ce l'ho ancora davanti agli occhi. Il suo dolore fu poi aggravato dal vedersi allontanato dai figli e dalla sua casa per misure sanitarie precauzionali, onde evitare il contagio diretto o indiretto che quella malattia poteva produrre sui familiari che erano a contatto con il malato e con i suoi oggetti d'uso. Il papà morì all'ospedale di Borgo il 12 maggio 1927.»).



"Continuazione delle mie memorie dopo molto tempo dei fatti più inportanti"


Partito da Olmutz li ultimi di Novembre tornavo nel mio caro Trentino è per tre settimane alla mia casa dove tanto desideravo, ma questi giorni passa presto è io devo tornare al mio Regimento dove fui nuovamente passato ammalato e condoto nel Feldun spital dame di Sion Trento, e qui passo felicemente il S. Natale che da quelle buone Suore e infermiere abiamo avuto dei regali.


[1915]

Arivato l'anno 1915 è con esso pure dei nuovi ordini io devo partire per Levico ai bagni e di cio ebbi molto piacere perche mi avvicinavo alla mia casa. Sarebbe statto questi giorni felici ma erra tristo il pensare di dover ancora tornare sul campo come pure il 1 Marzo devo partire per Trento in un ospitale di Reconvalesenza e 8 giorni dopo in caserma dove vestito nuovamente era prosima la partenza.
Il 19 Marzo giorno di San Giuseppe la banda militare ci accompagna nuovamente alla stazione e si parte per il fronte.
Arivati dopo tre giorni sui monti carpazi siamo gia di fronte al nemico e il giorno 27 non sarra da me giammai dimenticato per un attaco alla baioneta avenuto alla meza notte mentre cerra più di metro di neve (io mi salvo grazie al mio compagno). I Russi sono fatti priggionieri ma molti dei nostri giacevano a terra, si lavora giorno è notte per una forte è sicura posizione.
Pasati alcuni giorni un altro Battallione ci da il cambio è noi andiamo in riposo ai piedi del monte.
Giorno 15 Aprile, passo tre giorni in compagnia di mio fratello che per venire a trovarmi aveva lassiato il suo Reggimento. Lui parte per il suo destino ed io pure prendo la posizione di prima che fra la neve si deve quoccere il rancio nella gamella.

25 Aprile si parte per una nuova posizione.
All'alba del 1 Maggio si combate fieramente che fra i primi arivo io pure nelle trincee del nemico mentre eso fugiva. Qui sono pure molti i morti da parte nostra ma sempre fieri di poter inseguire il nemico si avanza continuamente che nei boschi molti Russi stano nascosti e fatti segno a d'una salve ò il dispiacere di perdere il mio fido compagno che era al mio fianco.
Giorno tre si passa per Tarnov dove i Russi anno lasciato molti priggionieri è noi li inseguiamo fino al fiume San. Erra questa per essi una buona posizione è noi siamo costretti a lavorare giorno e notte per fare dei re pari ma gia innutilmente poiche all'alba del 1 Giugno essi sono alle nostre spalle.
Lordene è di ritirarci ma gia inutile per molti di noi poiche si deve getare a terra le armi e darsi prigionieri (qui devo notare che un soldato non oservando esere io privo di arma stava per colpirmi ma un suo superiore li fa ceno di lasiarmi è in fretta seguirli per il grave pericolo della nostra artiglieria).
Radunatici tutti ci acorgiamo di essere molti che dai cosacchi siamo acompagnati è sollo dopo tre giorni si riceve da mangiare.
Il viaggio continua sempre a piedi per 10 giorni è poi col treno si arriva a Kusniech e qui si riposa. Passati 40 giorni in quella Citta siamo destinati per andare a lavorare e cosi ai 20 Luglio abordo di un vapporino che sul fiume Volga ci conduce alla Citta di Cvalenzch dove messi in un baracone è poi venduti ai contadini al prezzo di rubbli 7 al mese.
Io parto 2 giorni dopo con uno del mio paese è il Russo che ci aveva presi ci a condoti a 35 kilometri distante senza con lui poter parlare una solla parolla perche non si conoseva quella linghua.
Giunti al suo paese molte donne e fanciulli ci stanno ad' oservare per essere noi i primi presonieri arrivatti.
Il giorno doppo si comincia il lavoro che è assai difficile per noi che non conosiamo quelle machine per lavorare il frumento e ancor più non potersi capire. E strani pure i suoi costumi come quelo del bagno che si deve farre in sua compagnia il giorno sabbato per essere la Domenica senza peccatti.
Si continua il lavoro ma doppo tre mesi voliamo partire con lui al comando. Ma la guerra non e finita si deve continuare il lavoro allora io benche a stento mi sono deciso lassio il compagno e torno in dietro.
Siamo gia nell'inverno cade la neve, il freddo si fa forte, ma quella gente non a quorre si deve lavorare alzarsi di buon orra è fino a tarda serra ma solo una cosa e per noi di conforto la sospirata pacce.



[1916]
Arrivatto nuovamente il raccolto del granno nel'lanno 1916 io devo lasciarre quel patrone e per ordine de commando andarre da una donna perche aveva il marrito soldatto.
Finitto il lavoro io dovrei partire per la Città ma una sua vicina mi prende con lei è lavoro ancora per due anni.

[1917 - 1918]
Scoppiata la rivoluzione nel 1917 a Mosca e Pietrogrado continuava anche nel 1918 faccendo dei gravi disordini qui la cosa si fa serria noi priggionieri dobbiamo consegnarci al comando e dopo tre giorni condoti nuovamente a bordo di un vapporino che ci conduce alla Citta di Zamara circa 200 km distante. Acompagnati dai soldatti boemi al'lacampamento siamo divisi secondo le nazioni è condotti nelle barrache dove si soffre per il freddo e per la fame.
Passatti appena 15 giorni un capittano Ittalliano
(Si tratta del Compattangelo di cui abbiamo parlato nell'introdurre questa parte e nel capitolo sui prigionieri irredenti.) vuole che noi andassimo con lui per farci soldatti. Ma non erra quello il nostro scoppo, è noi protestiamo. Arrabbiatosi allora lui armava alcuni soldati e a nome del Re come diceva lui veniva a prenderci. A noi non resta che di seguirlo che alla stazzione riceviamo delle monture Russe e si comincia il servizio di guardia, perche a pocca distanza veniva fatti dei forti combattimenti e la Citta erra in grave perricollo.
Passati pochi giorni il nemico entrava in Citta e noi benche a stento possiamo fuggire per la ziberria.
Il treno viaggia continuamente sofermandosi solo nelle più importanti stazioni è noi alora andiamo in cerca di altri prigionieri per rinforzare il nostro battalione e alla Citta di Craznoiar si fa ancora il servizio guardia.
Passati pochi giorni arrivava provenienti dalla Cina due battaglioni di volontari Ittalliani che ci da il cambio è noi partiamo per Vladivostoc dove cera la missione. Arrivati finalmente doppo 22 giorni di viaggio siamo feglicci di escerre con l'Italiani e chi volleva fare il soldatto lo poteva farre e chi non lo facceva erra lostesso.
Io però per il freddo soferto mi sento a star poco bene, e fui ricoveratto in un ospitalle dei boemi per 25 giorni, è qui terminò l'anno 1918.

[1919]

Redenti

Tornato al mio posto sento dirre che una nave Ittalliana erra arrivata in Citta ma non era per noi. lo allora mi affretto a schrivere a casa per darli mie notizie e mandar loro la mia direzione poiche prima non lo potevo.
Il tempo è lungo quando si sta ad aspetare è solo il S. Natalle che ci consola, poiche il nostro Maggiore ci fa legerre queste parrole:
Ordine del giorno 25-12-1919. Nella recorenza del Natale specialmente cara perche vivifica pei vostri cari il ricordo delle famiglie lontane il mio pensiero corre è con gran e particolar affetto fra voi o "redenti" con laugurio più fervido perche cosi cessi ogni vostra sofferrenza sfugitti dai pericoli della guerra, liberati dalli stenti della prigionia, una solla la preucupazione che aggita i vostri quori la lontananza dei vostri cari.
Se per voi il rinpatrio costtituisce la piu carra delle aspirazioni il più carro dei vostri sogni, per me costittuise dovere sacro al cuale vò dedicando da lungo tutti i miei sforzi pur troppo aversatti non dal volere delli uomini ma delle tristi vicende di questi tempi burascosi.
Oggi finalmente mie concessa la gioia di potervi inviare quella parolla di fondatta speranza che per tanto tempo avete ateso con calma serena fidenti in chi presciede alle vostre sorti. Oggi finalmente posso dirvi che i primi albori dellanno che sta per sorgere vi vedrano assai prossimi al rinpatrio.
Le vostre famiglie alle qualli a suo tempo comunicai il vostro arivo ed a qui ò telegrafatto ora i vostri auguri trancuilizate ormai sul vostro conto informate del vostro prossimo rinpatrio, potranno finalmente godere nel di delle sacra recorenza che la guerra sembrava aver troncata per sempre. Firmato il Maggiore Manera.

Perché non sarebbe statto caro il rinpatrio fra noi prigionieri doppo si lunghi anni di tanto sofrire e si gravi pericoli? Poter tornare alle sue case ed abbracciare i suoi carri vivere con essi! Sollo questo ci stava a quorre: ed ecco che il 25 Febbraio tre navi Giaponesi arriva al porto per prenderci a bordo [Pietro P. sale "a bordo del Techsas marù", come lasciò scritto in una nota].
Il giorno 28 fra li eviva di noi tutti si alza le ancore e si lassia la Russia
(Sulle date che si riferiscono al viaggio c'è qualche discrepanza con quelle ufficiali; comprensibile, del resto, dato il tempo che era passato.).
Giorno 3 marzo si entra nel porto di Sangai in Cina e si parte il giorno doppo per Singapore; il 13 arrivo a Singapore frà le merraviglie di noi tutti si può comperare delle frutta fresche ed' erra gia l'estatte. Il caldo si faceva sempre più e perfino lacua del mare era calda, quella gente andava quasi ignudi e noi non si avrebbe potuto ressistere a lungo.
Ma il viaggio continua per Colombo e il 22 si parte per Aden. 31 continua per Said ultimo porto e cosi si lascia il grande marre Indiano e si entra nel mar rosso. Il 5 Aprille si arriva al suez e si parte il giorno dopo per Trieste. E finalmente il 12 Aprille siamo nella nostra Trieste che fra la folla che ci stava addatendere si l'ascia la nave e siamo in Italia.
Nota. Da Vladivostoc a Trieste k. 18.127, milia 9.788.

P. S. Se per motivo di pocca sallute caggionata gia dalla guerra io dovessi lasciare il mondo, vorei che questo libbro fosse conservato e datto ai miei figli quando arrivasero ad' èssere grandi.



APPENDICE AL CAPITOLO


Ai suoi familiari Pietro Pompermaier volle lasciare anche queste sue alcune annotazioni (del primo periodo di guerra) riguardanti la regione in cui egli venne a trovarsi come soldato coinvolto nel primo conflitto mondiale.
Possono essere d'interesse anche per noi.


La Galizia

La Galizia è una provincia di confine Austriaca. [... ] La popolazione è mista: parte Polacca, parte tedesca e parte ebraica. Così i suoi abbitanti professano diverse religioni. [... ] Tutti parlano polacco.
Per noi che siamo nati e cresciuti fra le nostre belle Alpi, la Galizia è tutta a dolci ondulate colline e larghe vallate. Di vere montagne neppure un idea.

[Le acque] E poverissima di acque corenti e priva di sorgenti. I suoi fiumi hanno un corso lento, lento. È rica invece di paludi. In genere tutto il terreno e molto umido e del tutto privo di sassi. In qualunque luogo, alla profondità di 5 o 6 metri si trova l'acqua. Con ciò la formazione di pozzi artificiali.

[Le campagne] È pure ricca di boschi. La maggior parte del terreno però è coltivato a canpi, pochi pochissimi sono i prati mentre il bestiame è abbastanza abbondante. Con che lo nutrino io non lo sò. I polacchi non amano il lavoro, quindi i campi sono poco bene coltivati. In essi seminano biade, granosaraceno, patate, barbabietole, rape, cavoli, fagioli ed un altra specie di legumi simili al caffè o che so io.
Altro non ò veduto. Datto l'ottima qualità del terreno esso porta abbondante frutta. La naturale conformazione del terreno viene imitata nella lavorazione dei campi, dimodoché gli stessi sono tutti ondulati, e fra onda ed onda (larghe file) ivvi un piccolo canale, e ciò affinché lo stesso, sempre umido scoli meglio.

[Le abitazioni] In tutta la Galizia non ò veduto un solo sasso, perciò le case son tutte di legno nei vilaggi e di terra cotta (mattoni) nelle città. Esse nei vilaggi son quasi tutte coperte di paglia poche di tegole di terra cotta qualcuna di zingo e nessuna di legno. Sono tutte piccole, col solo piano terra, col tetto molto aguzzo, e qualcuna smaltata esternamente.
Il locale principale della stessa è la qucina che serve anche da camera da letto. Essa è sempre smaltata e qualche volta inbiancata. Le pareti sono coperte di immagini sacre e un terzo dello stesso è occupato da un focolaio di muro molto alto con sporgenze, con unito forno e stufa.
I pochi mobili consistono per lo più in due letti di legno con saccone di paglia, un tavolo e panche.
In qualche casa vi è anche una credenza per i piatti. Vi sono poi i secchi diversi per l'aqua.
Nelle case si entra dapprima in una specie di locale uso ripostiglio, lurido e schifoso e da questo una porta mette nella cucina ed una nella stalla ed avolto insieme. Sono tutte eguali. Qualcuna però ha la stalla separata. Nel sotto tetto collocano le biade.
Esse sono tutte circondate da una siepe di legno alta fino a 2 metri, racchiudendo un piccolo cortile con alberi frutiferi. In questo scavano una profonda fossa e vi sotterrano le patate, rape e barbabietole, coprendole prima con paglia quindi con terra e lasciandovi un buco pel giro dell'aria. Nelle città è ben differente, ma nei villaggi ò veduto una solla casa che oltre alla cucina aveva anche una vera camera.
Le chiese sono tutte splendide fabbricate ad arte, a mattoni, con cupole e campanile molto ben curate.

[Le strade] Le strade principali sono belle molto larghe e dritte, perlopiu fianchegiate da alberi qualche volta frutiferi. Sono però sempre coperte di fango o di polvere . Non sò se ciò sia in conseguenza del forte passaggio causato dalla guerra, o se siano sempre tali. Le secondarie, alle volte larghe, alle volte strette con buchi e fosse, sempre fangose, sono piuttosto molto cattive.

[Gli abitanti] Gli abitanti sono tutti sporchi e pieni di pidochi. La sporcizia regna sovrana in tutta la Galizia. Essi in estate vanno scalzi, portano una camicia di canapa lunga fino ai ginochi e sopra i calzoni. Hanno i capelli lunghi. In inverno si coprono con un lungo e sdruscito mantello, e calzano lunghi stivali. Così le donne che portano pure lunghi stivali e vanno scalze, con gonne molto corte.
Si nutrono sempre di patate, latte e burro che fanno in casa. Si fanno poi in ogni casa del pane molto nero e poco buono, con farina di frumento macinato in casa col molino a mano. Nella Galizia i molini mossi dalla forza d'acqua ve ne sono molto pochi di più invece son quei a vento.
Sono scarsissimi di sale, benché in Galizia vi siano miniere dello stesso.
Allevano molto pollame e ne vendono le uova. Noi le pagammo a prezzi da non potersi credere chi 10 soldi per 3, chi 10 soldi l'una e perfino 30 soldi l'una. In genere tutto in questi tempi di guerra è straordinariamente caro. Specialmente in zona di guerra.


Fine                                                                                               Pietro Pompermaier


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25/02/2023
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