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"LA VITA DEL SOLDATO" EGIDIO PETRI
di Vitaliano Modena
Egidio Petri, figlio di Osvaldo, nacque a Roncegno il 14 gennaio 1895 (Osvaldo Petri e Maria Maggi, che abitavano ai Cadenzi, ebbero sei figli. Il primogenito fu Egidio e la secondogenita Adele; ambedue li troviamo nelle vicende raccontate in questo capitolo.).
Aveva quindi vent'anni quando il 14 marzo 1915 gli arrivò la chiamata alle armi con l'obbligo di presentarsi immediatamente a Mezzolombardo. Per quanto non inattesa, la comunicazione gli portò amarezza e angoscia. Alla serenità dell'ambiente familiare faceva ora da contrappunto l'inquietudine per un futuro di guerra che l'attendeva chissà dove.
Una decina di giorni dopo Egidio era in partenza per il confine italiano, non ancora fronte bellico. Non vi rimase a lungo: l'imminente entrata in guerra dell'Italia indusse le autorità militari austriache al ritiro da quella linea di gran parte dei soldati di lingua italiana del Tirolo meridionale. Egidio Petri finì allora in Austria, a Vöcklabruck, in attesa di essere inviato in luoghi di operazioni militari. Fu questo un intermezzo sereno, bruscamente interrotto il 29 agosto (1915) dall'ordine di partire per il fronte russo.
Con l'animo smarrito, conscio dei pericoli e delle privazioni che l'aspettavano e avvilito per la diffidenza e l'avversione che gli ufficiali "austriaci" manifestavano nei confronti degli "italiani" «odiati fuor di misura» (Di "angherie e maltrattamenti"ai danni dei soldati trentini scrisse con dovizia di particolari anche Annibale Molignoni nel libro Trentini prigionieri in Russia. Agosto 1914 -Settembre 1916.), Egidio salì su un convoglio diretto in Galizia.
In quella regione gli Imperi centrali avevano da poco conseguito notevoli successi con azioni di grande portata e costretto a una profonda ritirata le truppe russe che ebbero gravissime perdite.
Il Petri non dovette attendere che pochi giorni e provò l'infuriare della battaglia, le dure marce, la scarsità dei rifornimenti, il terrore dei cannoneggiamenti indiavolati, il dolore per i commilitoni che in gran numero gli cadevano attorno (vittime anche del fuoco amico), la rassegnazione per quanto gli capitava d'ineluttabile. Si scoprì vittima sacrificale di un destino spietato. E quei combattimenti e quei luoghi, entrati tragicamente nella storia del primo conflitto mondiale, rimarranno per sempre nella memoria di Egidio divenendo ricorrenti motivi d'insonnia e turbamento.
Poi, scrive il nostro, il colpo di fortuna: il ricovero in ospedale e, ancor più, le mal riuscite operazioni che lo portarono da un ospedale all'altro, dall'Ungheria alla Moravia, lontano dai campi di battaglia: circostanza la più desiderata in assoluto.
Vi si aggiunse la gioia d'esser riuscito a mettersi in contatto con i suoi familiari, profughi a Mitterndorf, dei quali non sapeva più nulla da otto mesi.
Recuperato nel fisico e in parte nello spirito, il Petri si ritrovò, con grande dispiacere, una seconda volta abile per il fronte. Ciò avvenne il 16 maggio 1916. Da Vöcklabruck (In una Feldpost di quel periodo scritta al padre, Egidio faceva sapere di trovarsi già alla compagnia (la IV, del 40 Regg. T. K. J.) e nominava alcuni dei pochi "paesani partiti da poco con la Marsch: Piero Armellini, un Damiano, un Pola e alcuni altri.") fu in viaggio ancora per la Galizia. Il treno trasportò il suo carico di uomini nella parte orientale che si fa prossima alla Bucovina.
Egidio Petri fu il 21 maggio a Stanislau, a 105 km a sud est di Leopoli, poi a Tlumacz incendiata, percorsa da profughi in preda alla disperazione. Di nuovo capitò sotto i colpi della micidiale artiglieria nemica e della propria, in fragili trincee. Conobbe nuovamente la fame, la sete, la paura.
Il 3 luglio, quand'era in corso la grande offensiva mossa dal generale Brusilov su un fronte di 350 km, avvenne l'evento tanto sospirato: la cattura da parte dei russi.
Raggiunse Kiev il 13 luglio, dopo giornate di marcia e di treno.
Poche righe liquidano il breve periodo della prigionia, considerato alla fin fine irrilevante.
Dopo aver aderito alla proposta di associarsi agli optanti per l'Italia, il Petri venne inviato a Kirsanov, luogo di raccolta dei prigionieri irredenti. Non rimaneva che attendere, tutti insieme, la partenza.
Trascorsero tre mesi, tra la vita nel campo e una parentesi di lavoro fuori.
Il 26 ottobre poté salire, favorito dalla fortuna, sul terzo e ultimo convoglio per Arcangelo organizzato dalla Missione Militare per raggiungere l'Italia. Dal porto del Mar Bianco il vapore salpò il 2 novembre e dopo un paio di settimane attraccò nel porto francese di Brest.
Il treno viaggiò poi attraverso la Francia e giunse il 9 novembre a Torino, dove gli ormai redenti furono accolti festosamente dalla popolazione e ufficialmente dalle autorità cittadine e nazionali. Fu quello un giorno memorabile.
Ristorati con abbondante cibo e bevande, e vestiti a nuovo, risalirono in treno diretti a Milano. Il 20 novembre anche nel capoluogo lombardo fu un tripudio: manifestazioni di esultanza, la banda e un buon pranzo con vini speciali.
Passò la festa. I mesi che seguirono furono per Egidio segnati dalla non facile ricerca di un soddisfacente posto di lavoro e dedicati alla graduale ricostruzione della sua armonia interiore e di una rete di rapporti sociali non facili da intessere nell'ambiente del tutto nuovo in cui era venuto a trovarsi. I compaesani in cui s'imbatté non potevano che essere un'eccezione.
La sua storia in un quaderno
La memoria autobiografica di Egidio Petri fu scritta su un quaderno di scuola, con penna e inchiostro. Qui è riportata fedelmente. La scrittura è quella di Adele, la sorella di due anni più giovane, che contribuì a dare forma al racconto fissando l'esperienza del fratello soldato in dodici pagine, sufficienti solo a delinearne i momenti essenziali.
Altre sei pagine della stessa scrittura, queste firmate da Adele Petri, con l'indicazione del luogo, Roncegno, e della data, 26 febbraio 1922, riportano in sintesi l'esperienza dei familiari internati a Mitterndorf (Nel Lager di Mitterndorf vennero a trovarsi i genitori con le figlie Adele (del 1897) e Maria (del 1899).), narrata in versi, gli stessi che, nati nell'accampamento dall'estro di qualche anonimo, si diffusero tra i profughi e divennero patrimonio della memoria collettiva (Quei versi sono stati pubblicati nel libro Roncegno e i profughi.).
L'identica grafia con cui risultano scritte la due parti portano alla seguente conclusione: i due fratelli decisero un bel giorno, quando stavano lentamente scorrendo le lunghe sere d'inverno e prima che il tepore dell'aria, sciogliendo definitivamente la neve, spronasse al lungo lavoro nei campi, di affidare alla carta gli elementi essenziali delle vicende belliche di Egidio e della famiglia. Pur attraverso uno scarno compendio, essi vollero salvare in tal modo dall'oblio almeno alcune cose essenziali di quel succedersi di avvenimenti che avevano coinvolto il soldato in guerra e la famiglia nel campo profughi, lasciando alla memoria orale la ricchezza di tanti elementi e circostanze particolari accumulate nel tempo interminabile dello sradica mento dagli affetti, dall'ambiente, dalle consuete occupazioni e consumato lontano dove a prevalere furono le privazioni e le pene d'ogni genere.
Tali esperienze, per quanto capaci di segnare per sempre la vita, a tre anni dalla fine della guerra risultano nel nostro militare stemperate e spogliate della tensione indotta dalle situazioni contingenti; appaiono scaturite da un passato infausto sì ma fortunatamente superato e custodito ormai dentro lo scrigno della memoria.
Egidio, più che descrivere accuratamente situazioni e sensazioni, affida queste all'immaginazione del lettore. Lascia appena intendere i momenti cruciali della sua guerra, le battaglie cruentissime, il dolore per i compagni rimasti sul terreno, lo sgomento per una fine ritenuta incombente.
Anche i sentimenti sono espressi nel testo senza tinte forti: vi compare l'astio nei confronti dei propri ufficiali considerati avversari in più; la gratitudine per gli eventi fortunati e, alla fine, per la provvidenziale salvezza della vita; la simpatia per gli italiani (ormai i vincitori) e, di riflesso, una certa avversione per lo Stato austriaco (lo sconfitto); l'aspirazione alla riconquista della personale primitiva armonia spezzata dal dirompente sconquasso abbattutosi su di lui e sulla famiglia.
Il richiamo a date e luoghi precisi fa supporre che il Petri si sia servito di qualche annotazione fatta già sul momento.
L'atto unico, breve, vede sulla scena un protagonista discreto: il soldato Egidio Petri.
Tutt'attorno incombe la guerra. Anche se, come già detto, il più è sfumato o solo accennato, qualcosa di quell'evento straordinario che ha sconvolto la vita di un giovane, di un'infinità di giovani e di intere popolazioni è stato preservato.
Avendo personalmente conosciuto Egidio Petri, credo che egli avrebbe contribuito a rendere oralmente molto più ricca la sua memoria per un evento che per la sua grandezza smisurata e le sue efferatezze non va dimenticato mai.
"LA VITA DEL SOLDATO TRENTINO IN GUERRA IN AUSTRIA"
Ricordo quel bel paese che da due anni ho abbandonato senza potervi più imprimere nemmeno uno sguardo. Ah! quanti bei giorni che ho passato assieme ai miei cari genitori e sorelle, e con gli amici: ma è venuto poi un giorno, e un giorno amaro, quel giorno che dovevo partire per la guerra e senza speranze di potervi ritornare. Partivo! Si partivo!! ma avvilito appassionato pensando alla vita futura che io dovrò passare e pensando che dovrò andare in guerra per uno stato che odiava la mia cara nazione. Dunque parto ai 14 Marzo [1915] salutando i miei cari, piangendo, e mi presento a Mezzolombardo al comando del 4 Regg.to, là ai 15 mi vestono e incominciano a farmi manovrare sbalzi di qua sbalzi di là continuo questa vita fino ai 18 Aprile che mi hanno fatto passare nella compagnia di campo e ai 26 partivo per il fronte italiano ove non desideravo andarvi perché il mio cuore non mi ispirava di andare a combattere contro i miei fratelli ma però la fortuna non mi ha lasciato. Dopo 15 giorni e precisamente 4 giorni prima dell'offensiva italiana mi hanno ritirato dal fronte per spedir mi a Vöchlabruch ove avevano trasportato il comando la sono rimasto fino ai 29 Agosto che in questo giorno sono partito per il campo Galiziano contro la Russia.
Dunque in questo fratempo ho avuto anche una fortuna che per combinazione mi hanno mandato a lavorare a Peindorf 3 settimane ed ho guadagnato un pò di denaro che anzi dai miei genitori non ne potevo ricevere poiché non avevo nessuna notizia. Là in quel paese mi sono innamorato di una ragazza l'amavo che anzi abbiamo fatto perfino il giuramento di fedeltà e mi amava proprio di vero cuore. Ma giunse poi il giorno che dovevo partire e presentarmi di bel nuovo al comando che poi in pochi giorni mi spedivano assieme ai miei cari compagni al campo.
[AL CAMPO]
La partenza avvenne ai 29 Agosto e avvenne una partenza lagrimosa pensando all'avvenire di noi che odiati e maltrattati a tutte le maniere al comando, non mi immagino poi al campo ove quei infami di ufficiali avevano piena libertà di castigare e anche di spararci addosso poiché specialmente noi Italiani ci odiavano fuor di misura.
Lascio queste osservazioni e vado a rammentare i giorni passati in campo e così via.
Ai 3 Settembre del 1915 arrivai a Coumen e li rimasi tre giorni fra i quali il secondo giorno andemmo a tirare alle grosse distanze e propriamente ai 4. Partimmo alla mattina e marciamo 2 ore finalmente arriviamo al posto destinato e a mezzo giorno incominciamo a sparare, e spara e spara e correre avanti e indietro, e il tempo si faceva minaccioso tuoni lampi saette che pareva un inferno. Arrivarono le tre dopo mezzo giorno (non dico dopo pranzo perché era dalla mattina alle 5 che non si mangiava) che un temporale ci arrivò alle spalle che non avevamo ancora finito di sparare. Acqua tempeste vento era adirittura insoportabile e pensare che dovevimo star la fin che piaceva ai nostri ufficiali. Finalmente terminiamo i nostri tiri che anzi sono stati di grande risultato che fu il 30 per 100. Partimmo per la caserma sotto quell'acqua che ci bagnò la tenda, compresa tutta la biancheria, che quando volevimo cambiarci non abbiamo trovato nel sacco nemmeno un paio di calzetti asciutti. Andiamo a casa in una bicoca piccola che sarebbe stata abbastanza per 50 uomini e invece eravamo 250 la sulla paglia tutta bagnata e noi pure avevimo l'acqua adosso in quantità. Dunque in questa città siamo rimasti anche ai 5. Ai 6 di mattina ci viene lall'armi e su dobbiamo andare dove? AI fronte?
Propriamente al fronte!
[AL FRONTE]
Partimmo alla mattina e marciamo tutto il giorno senza prendere nemmeno acqua da potersi dissettare poiche non si trovava nemmeno un pozzo. Finalmente alle 5 ore di sera arriviamo in un paesello chiamato Grodech ove il giorno avanti sono stati dei grandi combattimenti e la abbiamo ricevuto da mangiare verso le 9 di sera poi abbiamo tirato la tenda e la abbiamo riposato fino alla mattina.
La mattina alle 3 un allarme ci svegliò. Era un bombardamento del diavolo, granate srapnel e fuciglierie era adirittura una scena. I nostri comandanti dissero che dobbiamo venir scompartiti fra i tedeschi e magiari e così via in modo che di 250 uomini Italiani non dovevimo restar che in 2-3 per compagnia si può immaginare lo strazio di noi tutti.
Ebbene passò questa giornata in grande spiacimento e alla sera verso le 6 ci mischiarono con i tedeschi e partimmo, tutta la notte per strade cattive oscure che non si poteva nemmeno andar avanti e con quella soma che abbiamo avuto sulle spalle.
Finalmente arriviamo in una trincea di riserva la possiamo riposare un po!
Il giorno del 6 Settembre lo rammento. Tutto il giorno senza poter ricevere nulla da mangiare abbiamo dovuto cuocere patate nel fuoco per saziarsi un po! Il giorno 7 partimmo di bel nuovo e avanti e avanti credendo di essere in riserva quando tutto ad un tratto inaspettatamente venivano fucilate da tutte le parti. La ho incominciato a vedere i miei compagni a cader vittime. Potete immaginare lo strazio per me vedendone a cadere uno, due tre e avanti; pensavo questa volta è anche la mia il mio ultimo giorno di vita ma Dio volle che ne veda di migliori e che rimanga salvo.
Dunque il giorno dietro avanzammo e avanzammo che erano ai 8 Settembre che anzi quel giorno è stato anche uno dei giorni penosi poiché ci siamo ridotti che avanzando gli Ungheresi sui fianchi hanno perduto e di noi che eravamo un pò più avanti per nostra disgrazia ne sono restati molte vittime della artiglieria propria e siamo stati obbligati a retrocedere però in pochi abbiamo girato tutta la notte affamati stanchi e ci siamo ridotti in circa 70 di un regg.to di 800 uomini e ci siamo ridotti in un bosco.
Ai 9 abbiamo grazia a Dio riposato. Il 10 di mattina alle 3 partimmo dal bosco e ci condussero in un campo di frumento e la ci siamo fatti la trincea e la siamo rimasti un po di tempo la eravamo certi giorni ben trattati ma i più tanti dobbiamo restar con un pasto al giorno, e se si voleva mangiare si doveva andar a raccogliere patate o granoturco e cucinarlo sulle bragie. Ma finalmente la fortuna si ricordò di mè. Ai 15 Ottobre mi venne male ad un piede che dovetti andar dal dottore che mi tenne 3 settimane all'ospitale di campo passato questo tempo mi consegnò ancora alla compagnia che ivi restai fino ai 29 Ottobre che non essendo perfettamente guarito dovetti andar di bel nuovo all'ospitale di campo. La mi operarono 5 volte che per mia fortuna queste risultarono male che furono costretti a spedirmi a Colomee nell'ospitale di riserva ed ivi restai fino ai 29 Dicembre. La sono stato trattato proprio bene; cure speciali e delle Feste Natalizie ricevetti con i miei compagni un bel presente e abbiamo fatto una Festa magnifica. Venne poi il giorno da me desiderato che mi condussero nell'interno in un altro ospitale ove sarei stato vicino ai miei cari.
[ALL'OSPEDALE]
Dunque partii il giorno 29 Dicembre tutto contento e arrivai ai 30 di sera a Debreczin in Ungheria ove rimasi 11 giorni per poi partire di bel nuovo e recarmi in un paese della Moravia chiamato Iglau la rimasi 8 giorni e fui ben trattato. Trascorso questo tempo mi condussero a Trebic in un ospitale civile ove si trovano delle monache. La sono stato trattato abbastanza bene ma però il mio pensiero si rivolgeva sempre verso i miei cari genitori e sorelle pensando che erano 8 mesi che non avevo notizie. Per fortuna con me si trovavano alcuni compagni trentini che ricevevano il giornale tutti i giorni. Un bel dì per fortuna su di un articolo trovai l'indirizzo di un mio amico. Subito gli spedii una cartolina domandando per favore se per caso sapessero ove sia la mia famiglia e di farmelo sapere subito. Questo per fortuna aveva !'indirizzo e scrisse subito ai miei genitori che in 4 giorni ebbi una sua notizia. Si può immaginare la consolazione che provai nel vedere dopo 8 mesi uno scritto di loro. Subito li scambiai i saluti e auguri e dopo ogni giorno ricevevo notizie o delle sorelle o del padre o della madre ero propriamente contento.
Ma venne il giorno che mi restituirono al comando e dovetti partire ai 23 Febbraio 1916 e consegnarmi per i 24 al quadro. Partii dall'ospitale ma andai poco contento pensando che poco avrò ivi di restare e che dovrò poi andare di bel nuovo al campo. Dunque restai fino ai 16 Maggio 1916 e proprio in questo giorno partii la seconda volta per il campo.
[DI NUOVO AL FRONTE]
Ai 17 mi trovai in viaggio e viaggiai fino ai 21 che in questo giorno arrivai a Stanislao e alla sera partii di bel nuovo e ai 22 arrivai a Tlumacz in una confusione del diavolo era una disperazione le povere famiglie che dovevano scappare disperate dalla sua cara casa del suo caro paese che bruciava sempre più ed era sotto i colpi dei cannoni e noi dovevimo passar proprio dentro per poi andare incontro ai Russi che anche loro ci venivano ad incontrare. La notte dei 7 ai 8 abbiamo dormito in un campo vicino a Buciac e la mattina dei 8 partimmo per andare in trincea. Ricordo il giorno 9 Giugno che incominciò il bombardamento alla mattina e continuò fino alla sera quando siamo scappati. I Russi ci fecero l'assalto 4 volte fino a che ci siamo ritirati in un'altra trincea un po' più forte. La ritirata durò tutta la notte fino ai 10 di mattina. Dunque ci fermiamo qui in questa trincea fino ai 3 Luglio in questo frattempo ne ho provato di ogni sorta fame sete ai 3 di Luglio verso le 2 ero finalmente prigioniero.
[A KIRSANOV]
Ai 5 sono in marcia attraverso la Galizia e viaggio 6 giorni per arrivare in una stazione ferroviaria. Ai 10 parto col treno e viaggio fino ai 13 che in questo giorno arrivai alle baracche a Chief presso Darmicha la mi associai per venire in Italia ai 16 sera parto per Tambof ove trovai diversi paesani arrivai ai 19. Ai 26 partii ed alla sera arrivai a Kirsanof ivi restai fino ai 3 Agosto che propriamente in questo giorno partii per andare in un mulino a lavorare. In questo frattempo mi sono ammalato (di mal di gambe) restai alcuni giorni a letto eppoi ai 22 Settembre mi condussero a Kirsanof ove restai assieme ai miei compagni fino che poi ai 26 Ottobre partimmo per venir in Italia attraverso la Russia fino al 1 Novembre.
[IN VIAGGIO PER L'ITALIA]
Ai 2 partimmo col vapore dal Porto Arcangelo e avanti; giriamo 14 giorni senza vedere null'altro che cielo ed acqua; ma giunse un giorno che scoprimo le coste Francesi ed il vapore si avvicinò lento verso il porto di Brest. La siamo restati 2 giorni poi ai 16 sera partimmo e ai 19 siamo arrivati a Torino ove ci fecero una buona accoglienza poi ci vestirono in borghese e ci fecero una magnifica cena e dopo mangiato partimmo per Milano ove alla mattina del 20 Novembre nel nostro arrivo fummo festeggiati da tutta la popolazione e ci venirono a prendere colla banda che ci condussero fino all'Umanitaria ove abbiamo ricevuto un buon pranzo con appresso dei vini speciali. Abbiamo poi ricevuto anche diversi regali come per esempio: sigarette fiammiferi frutta confetti cartoline illustrate con il panorama di Milano e altre coserelle importanti. Qua il secondo giorno dovetti andare all'ospitale colle gambe malate e restai due settimane fino a che ero guarito e capace di andare a lavorare.
Quando arrivai in questa bella città credetti di non trovar nessun patriotta invece il primo giorno per fortuna m'incontrai in una paesana Catterina Padovan che restai molto inebriato del suo buon cuore fece proprio quanto ha potuto; poi trovai Giuseppe Nico (Di Giuseppe Nicoletti e di sua sorella abbiamo parlato nel capitolo Frammenti di storie.) [Nicoletti. A questo punto il foglio di quaderno risulta sgualcito] e sua sorella che anch'essi m'hanno aiutato abbastanza.
Prima di tutto al lavoro andai per la Federazione Milanese, ma per poco, a cagione del brutto tempo non potevo guadagnar abbastanza; dunque partii e andai in una Fabbrica di acido tartarico anche là il mestiere non mi andava per motivo del dolore alla testa che soffrivo in quel odore dovetti smettere e andare su una Fabbrica ove si faceva pezzi di cemento ma la paga era poca e non potevo vivere con quello che ricevevo. Finalmente il 2 Gennaio 1917 mi sono impiazzato da un contadino (ortolano) e la sono stato sino ai 28 Luglio 1919.
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