S. Osvaldo - 6 APRILE 1916 : La Fine della Compagnia della Morte - Gruppo Alpini Roncegno

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S. Osvaldo - 6 APRILE 1916 : La Fine della Compagnia della Morte

La 1a G.M.


S. OSVALDO - 6 APRILE 1916  
LA FINE DELLA COMPAGNIA DELLA MORTE

di Luca Girotto


"5 aprile. Ricevo l'ordine di recarmi su M. Broi a q. 1100 (a dare il cambio alle truppe che avevano occupato la quota il giorno 4, n.d.A.).
Piove, è buio profondo. Parto.
Ci arrampichiamo con le mani (...) su per M. Broi, attraverso rocce e boschi fittissimi. I soldati scivolano, cadono, s'insanguinano le mani.
Alle ore 5 arrivo come Dio vuole alla quota.
"
Mentre il ten. Bongiovanni si apprestava a pernottare nel bosco di acacie sul costone sud-orientale di monte Broi, l'instancabile capitano Baseggio meditava nuovi tentativi d'assalto all'agognata chiesa di S. Osvaldo.
"Era in me la volontà inflessibile di conquistarla, dovesse costarmi fino all'ultimo uomo, fino all'ultima cartuccia
" scriveva nel 1929 l'ufficiale, involontariamente mostrando, se pur ve ne fosse stato bisogno, in quale considerazione egli tenesse le vite dei soldati a lui affidati.
La notte passò insonne, con fanti e volontari impegnati nel consolidamento delle posizioni, mentre il Baseggio inoltrava al comando dell'84°reggimento un rapporto sugli eventi degli ultimi due giorni e comunicava al tempo stesso la sua intenzione di eseguire all'indomani l'attacco al cocuzzolo ove sorgeva l'eremo.
Egli avrebbe avuto a disposizione i suoi volontari e le due compagnie, 2a e 3a dell'84°, che già erano state impegnate i14 e 5 aprile.
(Baseggio, nelle sue memorie, parla di attacco condotto avvalendosi "(...) della mia Compagnia e delle cinque compagnie  dell'84° fant. poste ai miei ordini (...)". In realtà le truppe impegnate furono molte meno, circa la metà).
Particolare attenzione venne posta alla preparazione d'artiglieria: nei giorni precedenti si era dovuto constatare con disappunto che i colpi risultavano dispersi, spesso corti, imprecisi e comunque quasi costantemente privi di reali effetti materiali sugli apprestamenti difensivi costruiti al riparo dei boschi.
Stavolta sarebbe stato tutto relativamente più semplice, dato che il bersaglio era uno solo: il cocuzzolo di q. 1450 con le sue immediate adiacenze.


Gli attacchi del 4-6 aprile 1916 contro S.Osvaldo

Effettivamente, all'alba del 6, i cannoni italiani riuscirono ad inquadrare l'obiettivo con inusitata precisione.
Dalle 5.00 alle 9.00 i faggeti attorno e sotto alla chiesetta divennero un inferno di esplosioni e fiamme.
Gli sbarramenti di reticolato tesi tra gli alberi furono sconvolti e così pure la prima linea di trincee. L'azione della fanteria iniziò stavolta al primo colpo di cannone.
I comandanti delle due compagnie di fanteria, nonostante la loro maggiore anzianità di servizio, avevano preferito cedere al Baseggio l'onore e l'onere della direzione delle operazioni e quest'ultimo non si era di certo fatto pregare: la 3a compagnia (capit. Sarazzi) venne immediatamente inviata sulla destra, sul versante di val l'Argento, con lo scopo di avvolgere da nord la posizione. La 2a compagnia costituiva invece la branca meridionale della tenaglia, incaricata com'era di salire a S. Osvaldo per il costone di Valcanaia (da q. 1268).
Alla compagnia volontari esploratori spettava l'attacco principale, al centro, lungo l'itinerario riconosciuto la sera precedente.
Le sez. mitragliatrici dovevano attestarsi nel trincerone di Voto per appoggiare lo sbalzo ed eventualmente proteggere la ritirata.
Il IV btg dell'84° attendeva gli eventi più in basso, tra Voto e Tesobbo. "L'azione doveva essere rapida e simultanea) perciò le due compagnie laterali erano partite in precedenza.
Quando le vidi a buon punto nell'ascesa del monte) io mi misi alla testa della colonna e mi avviai risolutamente verso la cima.
Non un solo ardito lasciai nel trincerone
". (C. Baseggio).
I volontari impiegarono circa un'ora per arrivare sotto le posizioni nemiche: alle 7.00 il plotone alpini del ten. Galluzzo, superate di slancio le difese accessorie, irrompeva nella prima trincea impegnandovi un furibondo corpo a corpo.
Il Galluzzo, ferito gravemente ad una gamba ed impossibilitato a camminare, incitava a gran voce i suoi dal bordo della trincea; l'arrivo degli altri plotoni convinse i difensori a ritirarsi più in alto, nella trincea che coronava la sommità del poggio, senza tralasciare di tormentare gli italiani con fuoco d'infilata dalle posizioni laterali.
Inchiodati dalla fucileria e dall'artiglieria austriache nelle buche appena occupate, gli italiani non erano più in grado di muoversi senza subire perdite dolorose; Baseggio decideva pertanto di scendere personalmente a valle per sollecitare la salita delle due compagnie che avrebbero dovuto snidare gli austriaci dai costoni laterali e delle quali non si aveva alcuna notizia.
"L'uscita dalla trincea e la discesa lungo il pendìo ripido e coperto da neve ghiacciata non era cosa da poco: su quel tratto tutto scoperto piovevano da cento parti proiettili (...) e su esso cadevano e giacevano esangui i miei arditi) segnando la bianca neve con rosse chiazze e rivoli di sangue. " Nell'abetaia sotto la vetta l'ufficiale trovò ben presto i due reparti, anch'essi inchiodati dal fuoco nemico ed impossibilitati ad avanzare: riunitili, si portò con loro nuovamente sotto la chiesetta ed il suo ritorno valse a rincuorare le truppe di prima schiera, che nel frattempo erano state ricacciate fuori dalla prima trincea.
Un nuovo assalto riportò gli arditi sulla posizione contesa, senza tuttavia che i fanti di rincalzo riuscissero a superare il terreno scoperto ad essa sottostante.
Era solo la Compagnia della Morte a sopportare il peso dello scontro e qui il suo nome stava ormai trovando una innegabile conferma.
Da monte Broi alla nevosa conca di Cinque Valli difendeva la linea austriaca il gruppo di combattimento del capitano Habermann, su due compagnie del 1°btg del 1°rgt Landschutzen.
La battaglia aveva duramente provato anche queste truppe, ma l'indisponibilità di rinforzi consistenti non consentiva rafforzamenti, nè tantomeno avvicendamenti.
Nelle due linee trincerate sottostanti S. Osvaldo la lotta infuriò per ore: una seconda volta i Landesschutzen ributtarono gli italiani fuori dal camminamento e una terza volta costoro vi rientrarono, lanciandosi addirittura sull'ultima posizione presso la sommità del poggio; per pochi minuti anche questa trincea rimase parzialmente in mano agli uomini di Baseggio mentre sul fondo si mescolavano morti e feriti delle due parti.
Da monte Broi, spalto privilegiato ma anche pericolosamente esposto, il ten. Bongiovanni poteva osservare gli eventi sanguinosi che si sviluppavano alla sua destra: "6 Aprile.
Si è impegnata una asprissima battaglia ( ...) a S. Osvaldo.
Il combattimento si intensifica sempre più.
Si estende e verrà certamente anche la mia volta.
Sono su questa quota 1100, isolato completamente dai nostri.
Da loro mi separano 4 ore di aspro cammino.
Sono 36 ore che non mangiamo e non beviamo.
"
Le pallottole esplodenti scoppiavano con rumore secco, facendo cadere dagli alberi una pioggia di foglioline e di ramoscelli stroncati; l'aria era piena del sibilo dei proiettili d'artiglieria.
Lo scontro si frammentò ben presto in una serie di episodi circoscritti, quasi individuali.
Il volontario alpino Turin, saltato nella trincea più alta dopo averla ripulita a colpi di bombe a mano, si trovò di fronte un avversario armato e tutt'altro che deciso ad arrendersi: spianato il '91 premeva il grilletto ma l'arma faceva cilecca.
Non sbagliava invece l'avversario, il cui proiettile esplosivo puntava dritto al cranio dell'alpino incontrando fortunatamente la piastra corazzata anteriore dell'elmo Farina che il Turin indossava: con l'arcata orbitale asportata, il viso ridotto ad una grottesca maschera rossa, il ferito insisteva per tornare a combattere e, fasciato alla meglio, riprendeva il suo posto finchè un ordine perentorio del suo ufficiale non lo avviava, brontolante minacce all'indirizzo dell'austriaco feritore, verso le retrovie.
Il ten. Rabaioli, giovanissimo ufficiale torinese, ferito da una granata e dapprincipio creduto morto, entrava per primo nella trincea più alta e vi rimaneva, morti o feriti quasi tutti i suoi, fino all'ordine di ritirata: " (...) e lo si vide arrivare ultimo, sorridente, con pochi dei suoi e con un fàscio di fucili tolti al nemico (...) " ricordava nel dopoguerra il ten. Vacchetta.
Da appostamenti defilati sui costoni occidentali e sul crinale che da S. Osvaldo sale verso Spigolo Frattasecca, le mitragliatrici austriache falciavano senza pietà; si combatteva di sasso in sasso, ogni tronco era un agguato; le baionette e le vanghette da trincea erano divenute, assieme al calcio dei fucili ed ai pugnali, le armi più pratiche per sbarazzarsi dell'antagonista.
Il ten. medico Signorelli, allo scoperto assieme ai portaferiti, immerso nel sangue fumante per il gran freddo, fasciava alla meglio i feriti più gravi, poichè quelli che lo erano solo leggermente non abbandonavano pro posto di combattimento.
Nella trincea sommitale cadeva anche il ten. Galluzzo; come già ricordato, egli era stato ferito ad una gamba al primo assalto ma non aveva voluto abbandonare la posizione appena presa.
I suoi alpini, ricacciati dal contrattacco austriaco, avevano dovuto abbandonarlo ed egli era rimasto sul terreno fingendosi morto fino alla riconquista del camminamento.
Quando poi gli esploratori si erano impegnati nel balzo finale contro il cocuzzolo della chiesetta, espugnando parzialmente la trincea sovrastante e tenendola per pochi minuti, " (...) il povero Galluzzo volle seguirli.
E si trascinò carponi fino al parapetto e lt afferratosi al ciglio colle mani (...) si sforzava di sollevarsi, quando un bavarese gigante, sollevato un enorme masso (...), lo lasciò cadere sul capo del povero Galluzzo che rimase là immobile, (...), sospeso al parapetto della trincea che aveva voluto conquistare.
" (C. Baseggio).
Quattro volte la prima trincea fu presa, e quattro volte persa, dalla compagnia Baseggio; le perdite aumentavano, le munizioni scarseggiavano poichè le salmerie erano bloccate assieme ai rincalzi nel bosco sopra Voto; il previsto attacco avvolgente si era ormai trasformato in un assurdo assalto frontale.
In quel frangente il ten. Umerini si presentava al suo capitano chiedendo uomini e cartucce, affermando che gli erano ormai rimasti, dei cinquanta del suo plotone, solo cinque uomini in grado di combattere: " (...) Ebbene, vada all'assalto con quelli!  " fu la gelida risposta di Baseggio.
Risalita di corsa, per la quarta volta, la china insanguinata, l'ufficiale, seguito da pochissimi volontari del plotone finanzieri, giungeva qualche minuto dopo alla trincea contesa ove un proiettile in fronte lo fulminava. Nel tentativo di far avanzare fuori dal bosco le due compagnie di fanteria cadeva anche un ufficiale dell'84°, il s. ten. Rossini sig. Geremia, deceduto il dì seguente al posto di soccorso di Roncegno per le ferite riportate.
Prima di mezzogiorno la situazione degli attaccanti era ormai compromessa ed il Baseggio si rendeva conto della inanità di ulteriori tentativi, dando ordine ai reparti di ripiegare sulle posizioni occupate il giorno prima a Voto e Valcanaia; ad altre truppe, non alle sue, sarebbe stato concesso di occupare quella chiesetta, così vicina eppure irraggiungibile.
L'azione, anche a detta di chi la osservava dai settori laterali, si era sviluppata in modo confuso e slegato, senza riuscire nell'intento avvolgente con il quale era stata concepita: il risultato, l'unico della giornata, fu la quasi totale distruzione della compagnia Baseggio.
Nei tre giorni di lotta essa, partita da Roncegno con un organico combattente di circa 200 uomini, aveva riportato complessivamente 146 perdite tra morti, feriti e dispersi.
Solo un quarto del totale, una cinquantina, furono i superstiti illesi i quali, riuniti nel freddo mattino del 12 aprile in un prato presso Scurelle, poterono ascoltare il discorso di commiato del capitano Baseggio prima di rientrare ai reparti d'appartenenza; la compagnia venne infatti sciolta nei giorni successivi, sia per la difficoltà di ripianare le perdite sia soprattutto perchè era venuta a cessare la necessità di un reparto autonomo esplorante, essendo giunte le linee italiane ed austriache praticamente a contatto.
Nemmeno per il gruppo di combattimento del capitano Habermann la lotta per il possesso dell'insanguinato cocuzzolo di S. Osvaldo era comunque stata uno scherzo.
Con i Landesschutzen di monte Broi respinti sempre più in alto, sullo Spigolo Frattasecca e nelle posizioni di Voto e Valcanaia i bombardamenti italiani avevano aperto larghi vuoti nelle fila dei difensori.
Cristoforo Baseggio non seppe mai quanto vicino al successo egli fosse giunto in quel fatidico 6 aprile: subito dopo che i volontari esploratori, decimati e sfiduciati, avevano ripiegato su Voto l'Habermann, non ritenendo più possibile resistere, aveva infatti ritirato i resti delle sue due compagnie sulla q. 1623 dello Spigolo Frattasecca, immediatamente sopra il ripiano di S. Osvaldo, lasciando solo un avamposto presso la chiesetta.
Contro ogni sua aspettativa, gli italiani si accontentarono però di quanto fino ad allora conseguito, trincerandosi più in basso, ad un tiro di fucile dal rilievo.


S.Osvaldo, 6 aprile 1916. Caduti italiani sparsi nel bosco innevato.





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25/02/2023
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