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A SALISBURGO E A INNSBRUCK
di Vitaliano Modena
Il treno dei profughi ci portò a Salisburgo, dove ci fu una lunga sosta. Mentre noi della famiglia stavamo con tanti profughi ammassati nel salone del teatro, la mamma andò in cerca di un alloggio nei paraggi, e trovò disponibile un quartierino con camera e cucina: quella sarebbe divenuta la nostra casa per tre anni.
Il cibo era scarso e quello che si poteva trovare era spesso al mercato nero. I piccoli frequentavano la scuola, naturalmente tedesca, i più grandi lavoravano; c'erano nei dintorni una fabbrica di mattoni, una di vetro, un'altra di carrozzine. Con la gente del posto i rapporti erano ridotti al minimo. Anche per questo soffrimmo molto di nostalgia.
Giungemmo a Innsbruck con gli altri profughi roncegnesi. Nelle vicinanze di quella città, nella Stubai Tal, avevamo per fortuna una zia, rifugiatasi in quella valle di montagna con i sette figli, per motivi di sicurezza. Lasciando in custodia i bambini alla domestica, trascorreva parte delle sue giornate alla stazione ferroviaria, attenta a tutti i treni di profughi che transitavano. E un giorno ci trovò. S'impegnò a mantenerci e così fummo ospitati a Mutters. Il paesaggio era incantevole, l'ambiente tranquillo e sereno. Il cibo invece era limitato e a volte scadente: ricordo il pane confezionato con castagne di ippocastano e segatura; quando era ammuffito, la mamma lo puliva e poi lo metteva nell'acqua bollente che schiumava, così da utilizzare tutto, il più possibile. Si andava in cerca di qualche etto di grasso, di patate, di erbe dei prati e di funghi dei boschi. Con due o tre cucchiai di farina nera abbrustolita nella padella di ferro, spesso senza condimento, e qualche fetta di pane nero, veniva preparato il pasto serale. Prezioso era il latte centrifugato. Con il 1917 il comune ci assegnò 70 kg di patate pro capite: fu un grande sollievo.
Mentre i fratelli maggiori furono inviati in collegio a Feldkirch, io rimasi in quel paese e vi trascorsi gli anni più belli della mia vita, particolarmente perché potevo avere la mamma sempre vicina, fatto nuovo per me, figlia di albergatori e bottegai. Unica preoccupazione, la sorte di papà, partito il 27 aprile 1915 per i Carpazi con la Marschkompanie (ricordo quel giorno; la mamma mi prese con sé e andammo a Trento a salutarlo; tutta emozionata, gli consegnai una medaglietta di S.Antonio perché lo proteggesse, e lui se la infilò nel taschino).
Nel maggio 1918 il papà si ammalò di colera e la mamma riuscì a farlo trasferire a Pergine; noi tutti lo seguimmo. Si passò dal paradiso all'inferno. Non avevamo le tessere perché clandestini, non si trovava da mangiare, avevamo paura delle incursioni aeree perché abitavamo vicino al campo d'aviazione. La casa era orrenda, sporca.
Il papà guarì e ottenne la direzione dei lavori agricoli dell'Anbau, a Marter. Rientrammo così a Roncegno, nonostante l'opposizione delle autorità, e tutti i giorni mi facevo la strada di Marter per portare il pranzo al papà. Quanta paura con tutti quei soldati in circolazione!
Una sera si sentirono molti spari e alcune cannonate raggiunsero il paese. Scappammo attraverso i Larganzoni e le Fonderie, raggiungendo i Cadenzi. In casa Postai erano radunati i lavoratori agricoli milita rizzati del posto, e noi rimanemmo con loro. Verso mattina sentimmo bussare: erano soldati italiani che avevano occupato definitivamente il paese. La guerra era finita.
Boemia. Famiglia Primo Giovannini.
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