Dal 17 Gennaio al 19 Maggio 1918 - Gruppo Alpini Roncegno

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Dal 17 Gennaio al 19 Maggio 1918

La 1a G.M. > I Profughi

TUTTI I TESTI E LE FOTO SONO TRATTI DAL LIBRO
FILOMENA  BOCCHER DIARIO DI UNA MAESTRA IN ESILIO
NEL <<LAGHER>> DI MITTERNDORF
A CURA DI LENINA BOCCHER E VITALIANO MODENA


PARTE QUARTA


1918

DAL 17 GENNAIO AL 19 MAGGIO


Si parte piangendo i morti che rimangono nel cimitero dell'accampamento sotto le croci di legno
straordinariamente vicine l'una all'altra
( proprietà A. Girardelli )


Finisce la guerra, crolla l'impero.

La consolazione per il rientro è offuscata dall' angoscia per i morti e i paesi distrutti.

È l'ora del tanto atteso rimpatrio.
Dopo cinque giorni di viaggio la famiglia Boccher
giunge a Vattaro.
Il paese è pieno di soldati di diverse nazionalità
che vanno e vengono: sono prossime le linee del fronte
dove sta per finire una guerra che ha già assunto
la dimensione di un' immane tragedia.



Mitterndorf, addio!


17 gennaio.
Sono stata a Vienna con una mia collega. Nella "Zollergasse" c'era una gran folla di gente tumultuante: facevano una dimostrazione contro la guerra.

24 gennaio.
Una mia collega è venuta a dirmi che un impiegato della cancelleria l'ha incaricata di avvertirmi che i passi per il rimpatrio in Tirolo sono aperti. Mentre andavo in baracca per portar la notizia ai miei genitori ho incontrato il signor C. C., addetto alla cancelleria d'evidenza, e mi ha detto che posso presentarmi al direttore per ottenere il permesso di partire.

25 gennaio.
Una giornata primaverile. Ho tenuto le finestre aperte e ho cominciato a far bagagli. Sono contenta, ma anche agitata. Il viaggio mi fa paura. Sento che prossimamente avrò pur non poco da rimpiangere. Sono andata dal direttore della cancelleria e mi ha domandato. quando voglio partire. "Più presto che è possibile" risposi. Può partire anche subito, - soggiunse. Dissi che partirei lunedì. Il direttore fu d'accordo.

27 gennaio.
È l'ultima domenica che passo nel "Lager". Mi dispiace di abbandonare la mia scuola, le mie care giovinette. Il direttore mi ha detto che partirò mercoledì.

29 gennaio.
Sono andata a prendere i passaporti, e mi furono consegnate tutte le carte necessarie. Ci furono date 80 K qua!e sussidio profughi per 8 giorni. E l'ultima sera che passo in questa stanzetta. Fra queste povere pareti di legno ho tanto lavorato, tanto sofferto, ci ho passato tante ore penose ed anche ore tranquille. Addio, povera cara stanzetta! Addio, cara lampada che hai visto il mio lavoro di tante notti vegliate sui libri! Addio! Me ne vado lungi da voi, ma vi rammenterò di spesso. Sono stata a salutare qualcuno. Possa l'augurio delle anime buone valere presso il Signore, perché benedica il mio viaggio e io possa ricondurmi i miei genitori vivi e sani sotto il patrio cielo!

30 gennaio.
Siamo partiti da Mitterndorf. La mia carissima collega Domenica Girardelli mi aiutò a preparare i bagagli; alcune delle mie scolare mi aiutarono a portarli alla stazione. Vennero pure alla stazione i nostri compagni di baracca e alcune persone di Roncegno che ci aiutarono a mettere i bagagli nel carrozzone. Anche la signorina Santolini venne alla stazione a salutarmi, e le fui grata di tanta gentilezza, lei così aristocratica, lei fidanzata al nipote del Barone, lei così sdegnosa colle maestre tirolesi, lei goriziana. Quando salimmo sul carrozzone era già buio; avvenne una confusione per i bagagli, che non mi riusciva di trovarli tutti, e stavo in gran pena. Due uomini che m'avevano promesso di aiutarmi a trasportarli dalla "Sùdbahn" ( "stazione Sud") alla "Westbahn" ("stazione Ovest"), quando fossimo giunti a Vienna, erano passati nell'ultimo carrozzone del treno, trasportando seco parte dei nostri bagagli. Mi feci coraggio, e passando di carrozzone in carrozzone, giunsi a loro. Si decise di scendere a Meidlingen, sobborgo di Vienna. Qui ci ritrovammo e non mancava niente delle mie cose. Ma pesavano troppo, ed era impossibile trasportarli alla "Westbahn" senza pericolo di perdere qualche cosa. Ci fermammo alla stazione di Meidlingen, e passammo la notte nella sala d'aspetto. Ivi semplificai i bagagli, riponendo i pacchi nei sacchi; li cucii per bene, e preparai tutto in modo da poter far il trasporto la mattina seguente. Passammo la notte chiacchierando, mangiando di quando in quando un boccone, e facendo or l'uno or l'altro di noi un sonnellino. La notte passò meglio di quanto avremmo potuto sperare.

31 gennaio.
Io e papà, all' alba, abbiamo trasportato in tre riprese i nostri bagagli alla stazione "Westbahn". Abbiamo impostato come "Reisegepack" ("bagaglio di viaggio") quanto non ci sentivamo di portare. Poi siamo andati a prender la mamma. Mentre aspettavamo il momento della partenza, papà e mamma stavano seduti in un cantuccio della sala d'aspetto e sbocconcellavano un pezzo di pagnotta. Una signorina tedesca, bella giovinetta sui 15 anni, si avvicinò a papà e gli porse sorridendo due belle lucaniche. Il pover'uomo le prese ringraziando con gioia. Grazie gentile fanciulla! Dio ti benedica. All'una partimmo da Vienna. Entrammo in un carrozzone,
già quasi pieno. A stento trovammo posto da sederci. Quelli che v'erano già, tedeschi, non volevano incomodarsi, stringendosi un pò, per far posto a noi. Mamma si sentiva a disagio e brontolava. Quei cortesi volevano che deponessimo le nostre cose sul pavimento, e sulle reti che stavano sopra i nostri posti essi avevano i loro bagagli. Doveva esser così, perché essi erano tedeschi e noi italiani. Arrivammo a Salisburgo ch'èra notte. Dovemmo scendere per salire su un altro treno. La macchina non funzionava bene. Il treno dovette sostare più di un' ora, poi andava lento, e di quando in quando si sentivano scossoni. Arrivammo a Innsbruck che era già mezzogiorno.


1° febbraio.
Una bellissima giornata. Pare primavera. All'una partimmo da Innsbruck. I carrozzoni erano riscaldati, mentre dianzi avevamo viaggiato in carrozzoni freddi e con vetri rotti. Arrivammo a Trento alle lO. Scendemmo dal treno col cuore riboccante di gioia. All'uscita potevamo appena camminare che lo spazio era tutto occupato da soldati, quali in piedi, quali sdraiati per terra. Qualcuno di essi, visto che eravamo profughi rimpatrianti, ci rivolse parole di simpatia: erano italiani! Ci aiutarono ad aprirei il passo, ci diedero una mano per sostenere i bagagli, e bisbigliavano: "Poveri profughi, poveri profughi". Cercammo alloggio in città ma non ne trovammo che in "polizia". Qui fummo ricoverati in una stanza che doveva esser, di solito, il primo alloggio di arrestati. Vi passammo bene la notte. Papà e mamma si coricarono sul pagliericcio che stava steso per terra, li copersi, e poi mi adagiai ai loro piedi. Dormimmo tranquilli fino al mattino.

In cammino verso Vattaro.

2 febbraio. Siamo andati dalla mia maestra di quando ero bambina: dalla mia carissima maestra Camilla Toller in de Manincor. Avevo da portarle i saluti di suo marito e di sua figlia, confinati a Mitterndorf, e dovevo consegnarle un pacchetto a nome d'un maestro trentino. La buona signora mi accolse con affetto materno. Mi baciò tante volte, mentre io piangevo. Salutò cordialmente i miei genitori, e volle che ci fermassimo da lei a desinare. Fu un pranzo squisito per noi profughi. Oh, mai, mai dimenticherò questa tua carità, cara maestra mia, tanto buona! Dio te ne ricompensi, rendendo presto al tuo amore la figliola tua e tutti i tuoi cari.  Partimmo da Trento alle 4, e ci avviammo a piedi alla volta di Vattaro. Ma la mamma era già tanto stanca. Camminava adagio e bisognava far sosta di frequente.
Arrivammo a Valsorda ch'era già notte. Domandammo alloggio in una casa, ove si faceva osteria. Avevano disponibile una camera con un solo letto; ma ci accomodammo ivi alla meglio. Prima però andammo in cucina, bevemmo un bicchier di vino, e mangiammo del pane e lucanica che avevamo portato con noi. C erano anche molti soldati. Uno di essi ci si avvicinò e attaccò discorso con me. Era slesiano. Disse che ero fortunata a saper la lingua tedesca e che dopo la guerra la lingua italiana sarà tenuta in nessun conto. Io risposi che la lingua tedesca non la possiedo perfettamente e che probabilmente in questi paesi la dimenticherò. Quando ci ritirammo nella camera destinataci, il soldato salesiano ci seguì e si mise a improvvisare un giaciglio per il papà. Lo accomodò meglio che poteva, con cura premurosa, e uscì augurandoci cordialmente una buona notte.


3 febbraio.
Ci siamo alzati alle 8, abbiamo preso un po' di caffè, e poi domandammo il conto alla padrona di casa. Non volle pagamento che per quello che avevamo preso; dell' alloggio non richiese nulla. La ringraziammo riconoscenti e riprendemmo il cammino. Papà e mamma stentavano a tirarsi avanti. Quando eravamo poco distanti da Vigolo, incontrammo un soldato trentino. Ci guardò con simpatia e disse a papà:

"Stanco nonno?"
"Sì", rispose papà.
"Profughi?" chiese il soldato.
"Sì".
"Siete affamati?"
"Un poco"
"Avrei una pagnotta, laggiù in quella casa",

soggiunse accennando a una casa non molto distante; se mi aspettate, faccio due salti e ve la porto. Rispondemmo cogli occhi. Ci sedemmo lungo la strada. In pochi minuti il buon soldato era di ritorno con una pagnotta e marmellata. Lo ringraziammo, commossi. Egli ci salutò cordialmente e se ne andò. Stavamo ancor lì seduti, mangiando quel pane regalatoci con tanta bontà, quando il nostro soldato si avviò correndo verso di noi. Quando fu abbastanza vicino da farsi udire, ci chiamò e ci fece segno colla mano di seguirlo. Andammo subito, e ci condusse nella casa donde aveva presa la pagnotta. Egli aveva pregato la padrona di casa di darei da desinare. Ci fecero sedere a tavola. Una ragazza stava cuocendo la polenta. Quando fu pronta ce la scodellò, ci diede carne e crauti eccellenti e ci incoraggiò a mangiare, con gran cordialità. Noi eravamo commossi e felici. Quando avemmo mangiato a sazietà, ci accomiatammo, ringraziando vivamente, benedicendo in cuor nostro quella buona gente. Una ragazza volle accompagnarci e aiutarci a portare le valigie. Che Dio benedica il gentile soldato e quelle buone ragazze! Arrivammo a Vattaro alle 4. Ci presentammo al Capo-comune, dalla cui famiglia avemmo un accetto, se non cordiale, sufficientemente cortese. Domandai che ne fosse della mia abitazione e delle cose che vi avevo lasciate. Si misero a ridere. Poi dissero che l'abitazione era tuttora abitata dai soldati, e mi raccontarono, sempre ridendo, lo scempio che era stato fatto delle mie cose. Io fremevo. Andai subito a vedere la mia abitazione. C'erano molti soldati che fumavano, vociavano, bestemmiavano. Uno di essi, vedendo che volevo entrare e vedere le stanze, mi domandò: "Viene a portarci del pane ?" Altro che pane ci avevo lasciato, e non v' era più nulla! La stufa della camera da letto era stata abbattuta; e in mezzo v' era una pietra sulla quale ardeva un piccolo fuoco, con molto fumo. Scappai, maledicendo quei vandali. Ritornai presso i miei genitori, nella casa del Capo-comune. Di lì a poco venne a salutarmi la maestra che m'aveva supplita nella scuola di Vattaro durante la mia assenza e che è venuta a riaprire la scuola in questi giorni. Disse ch' essa aveva raccolto un po' delle mie cose e me le avrebbe consegnate, ma che purtroppo il meglio mancava. "Ma non si poteva sottrarre le mie cose al ludibrio dei soldati ?" domandai. Le mie parole furon trovate irragionevoli certamente, perché mi si rispondeva negativamente sempre ridendo. "Pazienza", dissi; "speriamo che cambieremo padroni". La maestrina, a questa mia uscita, abbassò gli occhi e fece il viso scuro. Tutti tacquero. Partita la mia collega fui avvertita dalla padrona di casa che non dovevo lasciarmi udire con certe espressioni, quale quella scappatami dianzi da bocca: la maestra, che è amica degli ufficiali, avrebbe potuto riportar loro le mie parole, e allora ... Ah sì, meglio tacere! Tacere, e pregare perché Dio faccia suonar presto l'ora della giustizia!

Il paese è pieno di soldati.


4 febbraio.
Ho una camera grande, ma tetra e fredda. Lo rimpiango la mia stanzetta di Mitterndorf, ma mi consolo vedendo che i miei genitori la preferiscono assai alle baracche. Mamma ha dovuto star coricata tutto il giorno. È tanto stanca, e sente male alla schiena e alle gambe.

6 febbraio.
È venuto Giovannino! Oh, la gioia di rivederci nei nostri paesi, non più nella miseria delle baracche! E poter raccontarci le nostre vicende, senza dover aver riguardo ai testimoni delle nostre parole, come avveniva nelle baracche!

9 febbraio.
La mia collega, che fa da dirigente, mi portò l'elenco degli scolari e delle scolare che avrò quest' anno. Lunedì dovrò cominciare la scuola. E sentirei tanto bisogno di riposar ancora un po' di giorni.

10 febbraio.
Ho incominciato la scuola. In qual aula! È la stanza della domestica del Curato. Ha una sola finestra; il pavimento è battuto; i banchi ci stanno appena; appena si può muoversi. Di quando in quando un soldato apre l'uscio, guarda, e se ne va. Al secondo piano sono acquartierati i soldati.

14 febbraio.
Ho ricevuto dal Consiglio sco1. distrettuale un decreto in cui mi s'incarica di sostituire nella dirigenza scolastica il maestro E. D. ora prigioniero in Russia.

17 febbraio.
Il paese è pieno di soldati. Ve n'erano molti anche in chiesa. Mi fanno ribrezzo.

19 febbraio.
Stamattina mi sono accorta che parecchi dei miei piccoli avevano le tasche piene di proiettili. Li avevano presi nella stanza dei militari che sono acquartierati nel piano di sopra. Raccolsi tutta quella roba in un sacchetto, che potevo poi appena alzare. Li ammonii di non far più tal cosa. Mi dissero che gli scolari più grandi ne avevano ben di più. Andai nella classe della mia collega per avvisarla di guardare che cosa avevano in tasca i suoi scolari. Prima che io aprissi la bocca, due di essi si alzarono e dissero alla mia collega: "Noi vogliamo la nostra maestra". E accennarono con affetto a me. lo arrossii' e soffrivo per l' altra; ma nello stesso tempo mi sentii superba di quella dimostrazione. Domandai loro se avessero proiettili in tasca. Essi li trassero fuori subito e me li diedero lieti, come mi facessero un regalo.

20 febbraio.
I miei piccoli mi dissero che dietro la porta del cesso c'era da parecchi giorni una granata. Mi affrettai a interrogare un soldato, il "Quartiermeisters" ("responsabile dell' alloggio"), se quella cosa era proprio granata. "Ja" ("Si"), rispose, "sehr gefahrlich" ("molto pericolosa"). E la portò via. Ma come mai era lì?

5 marzo.
Per sostentarci abbiamo dovuto ricorrere a una famiglia di contadini benestanti, dai quali, durante lo scorso mese, abbiamo ricevuto un po' di patate, di farina, e altri generi alimentari. Oggi ho pagato il conto: ho dovuto pagare la farina gialla a corone 4.50, le patate a corone 1.20, le rape a l corona, l'orzo a corone 3.50, le castagne a corone 2.80 il kg, e il vino, che sembra aceto, a corone 4 il litro : 98 corone in tutto. E un centinaio di corone le ho spese nel negozio della "famiglia cooperativa", per generi di prima necessità. Di stipendio non ho che 104 corone mensile. Il sussidio profughi non l'abbiamo ancor ricevuto.

7 marzo.
Mi è venuto l'avviso che i miei bagagli impostati a Mitterndorf  il 30 gennaio sono giunti finalmente a Pergine.

8 marzo.
È arrivata in paese una moltitudine di militari. Sono ungheresi. Non intendono nè italiano nè tedesco. Vennero a domandarmi alloggio. Risposi che m'era impossibile, perché ho soltanto una camera. Andarono in cucina e, trovatala spaziosa, vi deposero i loro carichi e dissero di voler star lì. Invano protestai, dicendo che la cucina l'adoperavo io; 25 di quei figuri la riempirono e se la ridevano della mia inquietudine e delle proteste della mia mamma. Allora trasportai nella camera gli oggetti di cucina che più mu premevano. Avevo ancora da prepararmi la cena, ma mi era impossibile avvicinarmi al focolare. Essi presero della legna che stava m un angolo e cominciarono a far fuoco. Papà si lamentò e fece loro cenno che non voleva bruciassero tanta legna. Uno di essi trasse la baionetta, minacciandolo. Io corsi dal telefonista e lo pregai di far rapporto della cosa alla gendarmeria di Caldonazzo. Fu subito fatto. Dopo un paio d.'ore, quando i non desiderati ospiti s'erano già  coricati sul pavimento, venne in fretta un ufficiale, al quale da Caldonazzo era giunta l'eco del mio rapporto. Fece una predica in tono severo agli intrusi, che stavano zitti, poi se ne andò. Nessuno si è mosso.

9 marzo.
Un gendarme è venuto a vedere se ci fossero ancora soldati nella mia abitazione; ma per fortuna sono partiti stamattina di buon'ora.

11 marzo.
Sono andata a Pergine col carrettiere, per prendere i miei bagagli. Di cinque colli impostati a Mitterndorf, ne sono giunti solo tre. Gli altri due mancano. E ho la prova che furono aperti e vuotati dai ladri, perché qua e là si rinvennero cartoline e qualche giornale che in essi io avevo riposti. Non bastava che mi derubassero di quanto avevo dovuto lasciare qui; bisognava che mi spogliassero anche di ciò che con tanti sacrifici m'ero procurato durante l'esilio.

13  marzo.
Papà ed io siamo andati a Caldonazzo, per farci fare il "certificato d'Identità per la circolazione locale". Siamo rimasti atterriti alla vista delle macerie in cui si è ridotta la così bella borgata. E pensavo che altrettanto è di Roncegno. No, io non mi sento di andare a vedere Roncegno: la vista di Caldonazzo mi basta ...

17 marzo.
È ritornato il Curato dalla Moravia, ove è stato profugo.

18 marzo.
Sono andata a Pergine a presentare la nota degli oggetti contenuti nei colli smarriti e la domanda di risarcimento.

28 marzo.
Papà ed io siamo andati a Trento per sollecitare il sussidio profughi. Dio, che via Crucis l Dal "Comitato profughi" al Capitanato; dal Capitanato al "Comitato profughi"; e poi di ritorno senza un soldo. Non soffriamo proprio la fame, ma le privazioni son molte. Non ho potuto ancor comperarmi una lettiera e un materasso, e mi corico sull' elastico posato sul pavimento. Non abbiamo lenzuola. Il comperarne è impossibile. Ritorno dalla scuola sfinita, e posso aver da mangiare solo un po' di polenta e latte. Pure, in confronto della broda di Mitterndorf, polenta e latte sono cibi squisiti: bisogna ringraziare Iddio, finché ne possiamo avere.

31 marzo.
Pasqua! Ma non è Pasqua gioconda. La casa è piena di soldati: sembra una caserma. Vanno e vengono. Qualche volta vengono di notte. Passando davanti all'uscio della mia stanza molti mettono la mano sul saliscendi per aprire; poi, sentendo ch' è chiuso, passano via. Si acquartierano sul solaio; ma la mattina quando esco trovo spesso soldati coricati sul corridoio: fanno ribrezzo e pietà.

4 aprile.
Sono andata a Trento ancora per sollecitare il sussidio profughi, che non vuol venire. Sono andata sola e a piedi.

12 aprile.
Ogni giorno partono dal paese soldati e ne sopraggiungono degli altri. Si parla d'un'imminente offensiva austro-ungarica contro l'Italia.

La pelliccia e il lenzuolo.


18 aprile.
Sono ricorsa ad un mugnaio, padre d'una mia scolaretta, per avere un po' di farina. Non mi lasciò andare colle mani vuote. Ma mi disse che anch' egli si trova in circostanze critiche, perché riceve pochissimo da macinare. Pure mi promise che secondo le sue forze mi avrebbe aiutata. Così oggi abbiamo fatto una bella polenta. Un soldato, molto dissimile dai suoi camerati, perché è cortese e aiuta qualche volta papà a spaccare la legna, faceva tanto di occhi alla polenta, mentre la mamma la dimenava. Indovinando la sua fame, gliene offersi una fetta quando fu cotta. Il povero soldato la prese colla gioia- d'un bambino, e poi portò una bella pelliccia pulita, dicendo: "Fùr den Vaterh!" ("Per il padre!") lo esitavo ad accettarla, ma egli volle che la prendessi.

6 maggio.
Abbiamo ricevuto finalmente il sussidio profughi che ci spettava per i mesi scorsi: 1704 corone. Papà era tanto lieto: ha ripreso coraggio, sta meglio.

7 maggio.
Oggi un bambino mi ha portato una cartolina che il suo babbo gli aveva mandato tempo fa. C'era scritto: "Caro figlio ricevi un saluto da questo mesto mio cuore e un bacio afetuoso da tuo padre e si buono e ubbidiente ala mama se vorai che il Signore ti ridona ancora il tuo povero padre. A Dio"). Ho letto quelle righe, ho guardato il piccino, e poi ho abbassato in fretta gli occhi trattenendo a stento le lacrime.

15 maggio.
Ho letto sull' "Eco del Litorale" del 12 corr, : "Congresso tedesco. Ieri a Sterzing si tenne il primo congresso popolare tedesco, insieme all'assemblea del "Volksbund" ("Società popolare"). Fu, in fondo, un riflesso del comizio borghese tenutosi ad Innsbruck; anche gli oratori furono gli stessi: l'archivista prof. Majer e il pittore Majer. Ma l'ordine del giorno votato a Sterzing ha qualche postulato nuovo che mette conto conoscere, se non altro per la sua discrezione. Sentite dunque. Il congresso popolare tedesco esige:
1) una pace degna dei grandi sacrifici e dei successi delle armi delle potenze centrali alleate;
2) di fronte all'Italia, confini naturali che proteggano meglio il Tirolo e l'Austria ed annettano all'Austria antiche colonie tedesche;
3) sviluppo dell' alleanza coll'Impero germanico fino all'unione economica e militare;
4) lingua dello stato tedesco e luogotenenze tedesche in .Austria; nessuno stato slavo separato, nè a nord nè a sud;
5) unità ed indivisibilità del Tirolo da Kufstein fino alla Chiusa di Verona; negazione assoluta di qualsiasi autorità del cosiddetto Tirolo italiano;
6) lotta inesorabile contro l'irredentismo italiano;
7) né amnistia nè redintegrazione per i felloni italiani;
8) confisca dei loro patrimoni impiegandoli ad alleviare i danni di guerra, specialmente a provvedere i combattenti tirolesi fedeli allo Stato;
9) un vescovo tedesco sulla cattedra di Trento; clero amico dei tedeschi nella diocesi trentina;
10) trasformazione completa delle scuole tirolesi, introducendo il tedesco come materia obbligatoria;
11) migliore amministrazione specialmente dell' approvvigionamento, perché il Tirolo non sia costretto a patire la fame e a mendicare fuori paese;
12) promovimento dell'associazione alpina germanica-austriaca, base del movimento forestieri;
13) vasti provvedimenti a favore degli operai.


19 maggio.
È venuto un giovane soldato tedesco di maniere gentili a domandarmi se volessi comperare un lenzuolo. "Dove l'ha rubato?" gli domandai. "Non l'ho rubato", rispose; "l'ho preso al Piave". "Davvero? "  "Sì. È un bel lenzuolo grande. Vado a prenderlo e gliela farò vedere". E pochi minuti dopo ritornò col lenzuolo che era grande e bello davvero. La mamma disse: "Si vede che è roba italiana".
Io lo toccai, quasi accarezzandolo con accorata tenerezza. Ma tacevo. Il soldato mi guardò e disse: "Dobbiamo partire stasera; non lo porterò con me perché è pesante: lo vendo". "Quanto domanda ?" chiesi. " 18 corone". Gliele diedi e presi il lenzuolo. Ho fatto male? Sia. Ma quel lenzuolo l'ho voluto.





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25/02/2023
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