Dal 1° Gennaio al 30 Marzo 1917 - Gruppo Alpini Roncegno

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Dal 1° Gennaio al 30 Marzo 1917

La 1a G.M. > I Profughi

TUTTI I TESTI E LE FOTO SONO TRATTI DAL LIBRO
FILOMENA  BOCCHER DIARIO DI UNA MAESTRA IN ESILIO
NEL <<LAGHER>> DI MITTERNDORF
A CURA DI LENINA BOCCHER E VITALIANO MODENA


PARTE TERZA


1917

DAL 1° GENNAIO AL 30 MARZO


Gli orfanelli con le suore nere ( proprietà Boccher )


Dalla sconfitta di Caporetto alla "battaglia d'arresto".

Le regioni contese sono un vasto cimitero.

I disagi e le sofferenze assumono una dimensione
tragica: manca anche quello che si riteneva il più
necessario. Tanto che si diffonde tra i profughi tirolesi
la convinzione che sia stato decretato il loro sterminio.
Numerosi profughi partono, altri ne arrivano.
Aumentano comunque te speranze di rimpatrio.
I motivi che confortano e quelli che prostrano,
gli episodi di vita nel campo e fuori, sono qui molto numerosi.




Si potrebbe allora anche amare questa terra.

1° gennaio. La prima gioia che mi ha rallegrato il primo giorno dell' anno, la debbo alle mie scolare. Tornata dalla chiesa nella mia camera, ho trovato sul tavolino una magnifica scatola di velluto verde adorna di fregi. Due scolarette l'avevano preparata là, aperta. Sopra stava un' affettuosissima letterina per me; sotto una mezza dozzina di fazzoletti finissimi, fra i quali trovai un gentile biglietto d'augurio felice. Care, buone, vi ringrazio! Voi deste a me la prima gioia dell'anno. lo devo dare a voi i miei primi pensieri e le mie prime fatiche oggi, e sempre, finché la Provvidenza vi lascerà con me. Il lavorare per voi sarà la mia gioia; il vostro bene sarà lo scopo della mia vita.

2 gennaio. Leggendo i compiti delle mie scolare, in due di essi ho trovato l'accenno alla morte del padre di una, alla mancanza di notizie del padre di un' altra. In scuola le ho interrogate su ciò. Una mi disse che il 12 dicembre la mamma sua aveva ricevuto una cartolina di papà in cui diceva che gli era pervenuto il pacco da essa spedito e che era rimasto tanto contento. Il 23 dello stesso mese la povera donna riceveva la notizia che suo marito era stato sepolto sotto una valanga, sul Tonale, il giorno di S. Lucia. L'altra mia scolaretta disse che avevano ricevuto l'ultima notizia del papà ai 5 gennaio 1916 dalla Serbia; poi più nulla. Povere creature! povere orfanelle! Quanto devo amarvi.

3 gennaio. Sono stata dal dotto Batteri (proveniente dall' internamento di Katzenau) a pregarlo di concedermi ancora ¼ di litro di latte al giorno perché col solo tè lungo che ricevo dalla cucina per colazione non mi sento in forza di far la scuola della mattina, col pranzo solo all'una. Il medico mi avrebbe esaudita volentieri: ma c'è una scarsezza tale di latte benché sia artificiale, che per ottenerlo ci vuole una necessità più grande di quella che sento io. E i bambini, e i vecchi, e i malati? .. A ben dura condizione siamo arrivati. E quando si migliorerà? Come celeste fantasma alitava fra i profughi la parola "pace" ed ora come fatuo miraggio la speranza è svanita. E nuda, dura, terribile è rimasta una realtà atroce: la fame, il disagio la lotta: fino a quando, o Signore?

4 gennaio. Sono stata dall'Ispettore superiore del "Lager" a pregarlo di non mettere ancora altre persone nella camera dove ci sono i miei genitori. Ci sono già otto persone e il respiro di due poveri vecchi avvezzi in tutt' altro ambiente, ne soffrirebbe. L'Ispettore mi accolse gentilmente e mi esaudì. Son corsa a dirlo ai miei genitori che ne furono tanto contenti. E io ne godo per loro. Giungerà ancora per noi il tempo in cui avremo un buco nostro, ove vivere un po' di giorni tranquilli, ove riposare il capo stanco senza tanti testimoni, ove poter discorrere dei fatti nostri senza dover temere che le nostre parole vengano malignamente ascoltate e commentate da orecchi e bocche non amiche? Signore Iddio, dateci ancora tempi tranquilli: e sapremo quanto valgono.

5 gennaio. Il latte mi fu concesso. Anzi lo "Chefarzt" ("medico primario") m'ha accolta con gentilezza squisita, e m'ha prescritto 1/2 litro invece di 1/4 come prima. Fa tanto bene il venir soccorsi con bontà! lo non dimenticherò mai più quel medico gentiluomo che mi guardò con interesse e pietà senza abbassarsi, mi trattò con cortesia signorile come fossi una sua pari e si affrettò a darmi più di quello che io domandavo. La povera profuga ti ringrazia col cuore; il Signore ti benedica! Quanto meno triste sarebbe l'esilio se altri ti assomigliasse! Si potrebbe allora amare anche questa terra, e non sentirei più così stranieri. E bisogna confessarlo: qui le persone distinte sono con noi assai più cortesi e deferenti che nei nostri paesi: son gli altri che ci maltrattano.

6 gennaio. È venuto l'arcivescovo di Leopoli a visitare quella parte dell' accampamento ove si trovano i profughi galiziani. Qual onore e conforto per essi! E i profughi tirolesi chi viene a trovarli? Cani senza padrone, pecore senza pastori, essi non vedono giungere nessuno per loro, tranne qualche signore e qualche dama, che vengono a far visita al Barone, guardano le baracche migliori e se ne partono magnificando il buon tempo che noi qui godiamo. E intanto noi mangiamo una pagnotta che gli animali rifiutano, e la mangiamo non bagnata dal sudore della nostra fronte, ma dalle lacrime che l'ira dolorosa fa sgorgare dai nostri occhi. Ma oggi, a onore del vero, bisogna dire che la pagnotta era migliore.

7 gennaio. Sono andata a passare una buona serata colle Suore dell'orfanotrofio maschile. Mentre la Superiora s'intratteneva con me, una Suora stava con i fanciulli. Venne un impiegato dei nostri, che si diletta di letteratura e poesia, e rallegrò i piccoli sventurati, raccontando loro una storia. Egli fa loro di spesso questo regalo, e uno più bello non sarebbe per esse. Gentile pensiero del caro signore! Le parole della Superiora, così sensibile e pur così calma, così delicata e pur così disinvolta, mi facevano bene. Ma qual lavorare fanno quelle Suore! Sono soltanto tre, e bisogna vedere come tutto è all'ordine e come gli orfani ci si trovano bene. L'orfanotrofio femminile è affidato alle Suore bianche.

8 gennaio. Sono stata ad accompagnare le mie scolare al pranzo. N ella sala c'erano parecchie centinaia di fanciulle. Strepiti, rumore assordante di gamelle, disordine orribile. E per l'igiene? Alcune delle mie scolare, ricevuta una minestra quasi bollente, ne versavano un po' alla volta nei piattini e la mangiavano da quelli, per sentirla un po' meno calda. Subito venne la sorvegliante, una signorina tedesca, pagata all'uopo e voleva prendere il piattino alle ragazze dicendo loro ch' era proibito di adoperarli, Mi accostai e gliene chiesi il perché. Disse che questa era regola generale. lo replicai che la regola non era punto buona e ne richiesi il motivo. Essa rispose che le ragazze potrebbero servirsi del piattino per nascondere la minestra della gamella e portarla in baracca. Intanto le più piccole versavano la minestra che non si sentivano di mangiare in due secchi della capacità di circa 20 litri l'uno. Quello non era proibito. I secchi si empirono e la minestra traboccava abbondantemente sul pavimento. Due inservienti, colla scopa, spinsero la minestra sparsa fuor della porta. Giustizia, economia, pulizia del "Lager".

9 gennaio. Una mia scolara venne oggi colla sua mamma da me, per dirmi che aveva ottenuta l'esenzione dalla scuola, per andare a lavorare e guadagnare qualche cosa. Madre e figlia piangevano. Dissi alla scolaretta qualche parola per confortarla; ma nel cuore sentivo una gran pena. Avrei voluto aiutarla. lo devo far alle mie fanciulle il bene che posso nella scuola, istruendole nel modo migliore che posso, con serietà e con affetto, finché la frequentano; perché poi è difficile, quasi impossibile, far loro quel bene di cui abbisognerebbero.

Visite illustri.

11 gennaio. Nella scuola ero tanto stanca da non regger più. Vennero il Barone e l'ingegnere accompagnati dalla loro diletta maestra goriziana e dall'Ispettore scolastico e dissero che sabato verranno tre arciduchesse a far visita alla scuola. Come tante altre visite illustri che furon qui, esse verranno e partiranno contente che i profughi sian provveduti così bene, partiranno senza aver visto il cumulo di miserie nascoste nelle baracche, senza sapere di qual pane orribile essi si nutrono e di quali lacrime tanti profughi lo bagnano. Gli scolari le accoglieranno con evviva e con canti ed esse non udiranno i singulti d'angoscia dei cuori lacerati, non udiranno nè le proteste piene d'ira dolorosa contro i despoti, nè le voci cupe imploranti.

12 gennaio. Fervono i preparativi per accogliere le auguste visitatrici di domani. E molto freddo: ha fioccato e il cielo bigio ne promette dell' altra. Ma non sono le belle nevicate abbondanti e candide dei nostri paesi. La neve qui appena tocca il suolo fa pozzanghera, e noi ricordiamo con nostalgia il candido lenzuolo che così piamente vestiva la nostra dolce terra, e inebriava di bianco il nostro sguardo.

13 gennaio. L'arciduchessa è venuta, accompagnata da altre due signore, che non ho ancor potuto sapere se sono altre arciduchesse esse pure. Visitarono le scuole: entrarono però solo nella mia classe ... che era parata a sala di anatomia. La maestra goriziana, al cui spirito e buon gusto si affidarono i preparativi, aveva fatto appender alle pareti dei cartelloni rappresentanti gli organi della digestione e della circolazione, il sistema nervoso, i soccorsi d'urgenza: una lugubre tappezzeria. Protestai ma non feci che offendere. L'arciduchessa mi porse la mano, dignitosa ed affabile, e mi parlò in lingua tedesca. La più attempata delle altre due signore mi parlò in italiano, con molta bontà. Accarezzarono qualche scolara, guardarono il loro libro di lettura, salutarono e partirono.

In un anno una famiglia disfatta.


14 gennaio. Ho insegnato al bambino che è nella baracca dove sono i miei, a scrivere una letterina di ringraziamento alla Lega di Provvidenza di Innsbruck per il regalo che gli hanno mandato quale orfano per la guerra. Il bambino scriveva con un' attenzione commovente.

15 gennaio. Oggi mi sono arrabattata per spiegare alle mie scolare la lezione di storia: Leopoldo I. Volevo che imparassero chi erano i Turchi con cui quel nostro monarca ebbe tanto a lottare. E le scolare eran curiose di saperlo ma la cosa per me era difficile. Mi studiai di esprimermi concisamente, semplicemente e chiaramente. Le povere fanciulle prestavano un' attenzione insolita, mostravano un interesse che mi faceva impressione. I Turchi! Ah, esse li avevan sentiti qualche volta nominare, e se l'immaginavano demoni usciti fragorosamente dall'inferno a inondare il mondo di barbarie e di orrore: ma poi tutt' a un tratto avevano udito ch' erano nostri alleati. E oggi le semplici mie fanciulle eran lì avide di saper tante cose dei Turchi e avrebbero voluto ch'io facessi loro chiare le cose che per persone di ben più alto affare di me sono un enigma.

17 gennaio. S. Antonio, abate. Altri anni, questo giorno proverbiale per il freddo che porta, io lo salutavo con gioia, perché era una festa del paese ove mi trovavo (Vattaro), una festa tranquilla, che mi permetteva di goder la mia povera stanza, i miei libri, i miei lavorucci di divertimento. E quest' anno invece, qui, sopraccaricata di lavoro, col cuore angosciato, sofferente, chiuso alla speranza. Mia cognata questa sera mi disse: "Non è S. Antonio, oggi, quello dei miracoli?" "S. Antonio si", dissi, "ma quello che i contadini pregano, perché i loro armenti facciano bene". "Bene", replicò. "Ora che gli animali son bell' e distrutti preghi per la povera gente che c'è ancora !" Non potei fare a meno di ridere a udirla; ma nello stesso tempo pensavo che questo ingenuo discorso potrebbe essere una preghiera e chissà che S. Antonio non l'ascolti.

20 gennaio. È venuto a farmi visita un militare, il fratello di mia cognata. Gli morirono qui nel "Lager" un figlioletto e una bimba; e la moglie, ammalata per l'angoscia, andò a morire in un paesello presso Innsbruck. In un anno la sua famigliola è stata disfatta ed egli, dopo 20 mesi che è sul fronte nemico, è venuto a vedere dove son morti i suoi cari che aveva lasciato fiorenti di salute e che non doveva rivedere più mai. Non ismania, non piange: il suo cuore s'è fatto duro, egli dice. Ma gli si legge in volto l'angoscia: pacata sì, ma profonda. Egli spera di sopravvivere alla guerra, ma si consola pensando che il suo bambino, morendo, è sfuggito alla coscrizione. La guerra, quale consolazione sa portare!

21 gennaio. Oggi ho scritto qualche lettera: lo scrivere lettere, per me, è una fatica terribile. Mi devo far violenza per rispondere a chi mi scrive: perché? Perché sento il mio cuore in un guscio d'acciaio, irto di punte di dentro, tutta una storia d'amarezza incisavi di fuori. Il patire intimo che faccio, si rifiuta di mettere in mostra; e il dover ostentare mi è un tormento atroce. E sempre nuove nubi sull' orizzonte già tanto oscuro della mia povera vita, sempre nuovi crucci per questo cuore stanco, sempre guerra. Pace, Signore, pace!

Gran freddo.


22 gennaio. Stamattina nella scuola il termometro segnava 9° C. Domandai all'Ispettore di poter lasciar vacanza, e accondiscese. Ma stasera, benché il locale fosse freddo, ho dovuto star lì tre ore. Mi sentivo male pel freddo, ma ho resistito, piuttosto che andar di nuovo a domandar il permesso di rinviare le scolare. Ci si tien tanto a che gli scolari non siano fuori della scuola, soprattutto per averli raccolti per l'ora dei pasti. Anzi sembra che lo scopo supremo della scuola, qui, sia questo. Avendo io le ragazze dell'ultimo anno di scuola, e quelle che non vi sarebbero più obbligate, ma che vengono per imparare, sento la responsabilità del mio lavoro, difficoltato estremamente dall'orario sciagurato: 11 - l antimeridiane e 3 - 6 pomeridiane. E oggi dopo pranzo vennero 14 scolare a dirmi che erano ancora tanto affamate, che avevano ricevuto pochissimo da. mangiare.

23 gennaio.
Oggi vacanza tutto il giorno per il gran freddo. Il termometro nella scuola segnava solo 6° C. colla stufa riscaldata. Sono stata tutto il giorno tappata in camera e ho lavorato per la scuola. È venuta una mia giovane collega a trovarmi ed era ancora un po' sossopra per una disputa che ha avuto coll'Ispettore. La maestrina, buona e sensibile, deplorava la misera condizione cui san ridotti i profughi; l'Ispettore sosteneva che san trattati bene e che l'affermare altrimenti è portar danno morale alla popolazione. Ah, i don Abbondio!

24 gennaio. Anche oggi vacanza per il gran freddo. Stasera sono andata a scuola per condurre le ragazze a cena e l'Ispettore mi ha rimproverata perché non ho dato i biglietti alle scolare per andare a pranzo. Dissi che credevo bastasse darli alla se:a, come s'è sempre fatto. E una delle mie fanciulle saltò fuori a dire: "E a pranzo il biglietto nessuno ce l'ha domandato!" La benedissi in cuor mio quella gentile e franca mia difensora: ma sentivo stretto il cuore d'amarezza, vedendo che l'Ispettore m'aveva rimproverata così e gli dissi che dopo tutto m'ero alzata allora per andar ad accompagnare le scolare. L'Ispettore si calmò d'un tratto e mi fece andare al caldo; e mi domandò cos' avessi. "Cosa ho? Ho che vorrei saper fare una preghiera che arrivasse al Cielo, per ottenere la fine della tirannide".

Il giornale mi ha fatto paura.


25 gennaio. Oggi è stata celebrata una S. Messa solenne, per l'incoronazione del nostro nuovo Imperatore. Vi hanno assistito le Autorità del "Lager" e le maestre cogli scolari. Poi c'è stata vacanza tutto il giorno. Sono impensierita a vedere che mamma non trova più zucchero da comperare. E anche del resto si può avere pochissimo e a prezzi esagerati. Come andrà? Come si farà? Non bisogna pensarci.

27 gennaio. Anche oggi vacanza, perché sul tetto della scuola si lavora. E venuta una mia giovane collega a trovarmi e mi ha fatto tanto piacere. Il parlare con essa mi fa bene perché ha senno e gentilezza, ed è buona. A lei debbo le ore meno tristi che ho passate qui; il suo affetto deferente e la sua ingenua franchezza mi fanno tanto piacere. Dio la benedica.

28 gennaio. Il giornale oggi mi ha fatto paura: predice lo scoppiare quanto prima di un uragano tale sui campi di battaglia che farà tremare tutta l'Europa. O Dio, non permettetelo! Salvateci! Salvate i nostri cari! Pace, Signore! Pace!

30 gennaio. È venuta una mia scolara, la figlia del dott. Botteri, accompagnata dalla mamma, a trovarmi. Mi fece tanto piacere il gentile interessamento della giovi netta, e ho fatto una chiacchierata colla signora. La lingua batteva dove il dente doleva. E discorrendo di certe cose, non solo la lingua batteva; ma anche il cuore. Le ferite più dolorose non ci vengon fatte da coloro per i qual! SIamo stranieri, ma dai nostri connazionali, da coloro che avrebbero il compito di difenderei e di aiutarci.

La megera della mensa.


31 gennaio. Oggi son venute da me due scolare piangendo a dirmi che la "Leiterin der Kinder" ("Direttrice dei bambini"), per punirle di una colpa che non hanno commessa, le ha poste a mangiare ad una tavola separata nella sala dei ragazzi. Cercai dell' Ispettore scolastico per domandargli se tal punizione tanto antipedagogica era da permettersi. Non lo trovai. Di sera, prima di andare a cena, vennero un' altra volta le mie ragazze a implorare perché fossero sottratte a tal castigo. Ho promesso di parlar domani coll'Ispettore e poi di riferir loro l'esito. Ma che può mai fare una maestra qui per le sue scolare? Basta che faccia scuola con orario che si presti ad aver raccolte nella scuola le scolare per l'ora di pranzo e di cena. Poi le sue scolare non son più sue.

1° febbraio. Sono andata a sorvegliare le mie scolare durante il pranzo. Volli vedere dov' erano le mie due scolare. Stavano ad una tavola separata, in capo alla sala dove più di 600 scolari mangiavano la loro minestra facendo un chiasso orribile. Le due povere ragazze eran lì tristi, vergognose, con gli occhi gonfi di pianto. Mi sentii l'anima trafitta d'ira e di dolore. Dissi loro di venir con me e le condussi presso le loro compagne.   
Avevano appena sorbito quel po' di broda che la ""Leiterin der Kinder" venne a me indignata e mi rimproverò superbamente d'essermi intrusa in quell' affare ch' essa dichiarava tutto suo. lo protestai con tutta la forza contro il castigo ch' essa aveva inflitto alle mie scolare. Le dissi che se meritavano castigo (ciò che non era certo) dovevano esser castigate in tutt' altro modo. La signora, una megera genuina, mi contraddiceva con una superbia schifosa.

2 febbraio. Ieri dopo pranzo sono andata dall'Ispettore per esporgli il caso delle mie povere scolare. La "Leiterin der Kinder" era stata da lui già prima ad accusarmi. A nulla valsero le ragioni ch'io esposi in favore delle mie scolare. L'Ispettore mi rimproverò acremente ed esaltò la "signora", soggiungendo ch'essa era stata designata dalla Luogotenenza all'ufficio di "Leiterin der Kinder" e che poteva far quello che voleva e che faceva bene. Piccoli profughi disgraziati, in quali mani siete caduti! N elle mani di una megera che non capisce una parola della vostra lingua, che riceve una grossa paga in grazia di voi, che vi disprezza, che vi maltratta, che adora il suo cane! Gran Dio! Il vostro ministro sostiene ed esalta chi succhia il sangue di queste infelici creature: liberatele Voi; vendicatele, se siete il Padre loro!

9 febbraio. È venuta una mia scolara a domandarmi che le facessi lezione di tedesco. Ho acconsentito perché mi rincresceva dare un rifiuto alla povera fanciulla. ma con quello che so non sento gran coraggio. Vuol dire che studieremo assieme.

10 febbraio. Studieremo insieme, se non altro. Devo applicarmi a studiare pur io con diligenza questa lingua, diventataci tanto necessaria. Un po' mi sono sempre esercitata, leggendo; ma ora voglio studiarla con più impegno, non fosse altro, per poter insegnarne i principi un po' benino alle mie scolare.

11 febbraio.
Papà oggi ha ricominciato il servizio di portar la "menage" ("vivande") per guadagnarsi 25 o 30 centesimi al giorno. Mi fa pietà a veder che deve adattarsi a far questo lavoro; ma egli lo fa volentieri; e così dignitosamente che fa piacere. Si dica ciò che si vuole di questo ("Lager", ci sia pure una gran miseria, ma a chi ha voglia di lavorare, sia pur scarso di forze, si dà il mezzo di guadagnarsi qualche cosa; e non è forse questo un gran beneficio?

15 febbraio. Sono stata a distribuire i biglietti alle mie scolare nell' "Ausspeisung" ("Refezione"). Nella sala d'aspetto c'era una folla di ragazze fra le quali passeggiavano i poliziotti che le custodivano, minacciando scapaccioni. C'era anche una ventina di monelli che litigavano tra loro, urtavano le ragazze e le facevano cadere. Vidi anche parecchie donne venute ad accompagnare le loro bambine. Era un chiasso, un baccano orribile. lo n'ero sgomenta e pensavo che tutto s'avrebbe dovuto fare per evitare quell' agglomeramento e quel disordine, e pure tutto si fa perché sia così. E fino a quando durerà? O madri tirolesi, tanto male si pensa di voi, che non vi si affida neppure una scodella di minestra per le vostre creature!

Il pane come di creta.


17 febbraio. Oggi giunsero in questo accampamento 400 prigionieri italiani. Avrei voluto vederli, ma non ho potuto. Chi l'ha visti dice che erano in cattivo arnese assai, ma che apparivano baldi e lieti.

18 febbraio. Oggi fummo invitate, noi maestre, ad andare nel magazzino per ricevere alcuni capi di vestiario: una mantella, una sottoveste, due paia di calze. Ci andammo volentieri, ma restammo mortificate quando ci presentarono le mantelle: erano corte, mal fatte, le peggiori che si possono vedere. Preferimmo prendere mantelli da uomo che ridurremo per noi, o cederemo ai nostri cari. Povere maestre! Noi vediamo le altre signorine che hanno qualche impiego nel "Lager", vestire elegantemente con roba che conosciamo; e per noi restano i rifiuti degli altri. Che cosa c'è nelle maestre tirolesi che aliena tanto da loro la simpatia e il riguardo? Sarebbero la leggerezza, la goffaggine, l'aspetto?

19 febbraio. La pagnotta di questa mattina era orribile, sembrava impastata di terra, ne ho mangiata una fetta per far tacere lo stomaco reclamante qualche cosa, e poi mi son sentita subito male. Stasera mi pare di aver la febbre; sono sfinita. La pagnotta che m'era rimasta l'hanno mangiata i miei genitori: erano tanto affamati che furono capaci di mangiarla.

20 febbraio. È venuta una mia scolara ad annunciarmi che aveva ottenuta la dimissione dalla scuola; mi ringraziò e mi domandò perdono se m'avesse recato qualche dispiacere. Care, buone creature, il solo dispiacere che ho da voi è il vedervi deperire, intristire, sfiorire in questo campo di meserie. E per questo, non siete voi che dovete domandar perdono.

21 febbraio. Mentre distribuivo i biglietti alle mie scolare  nell' "Ausspeisung" ("Refezione"), la "Leiterin der Kinder" ("Direttrice dei bambini") passeggiava per la sala fra le bimbe che mangiavano. Teneva in braccio il suo cane e lo porgeva alle più piccole che volevano accarezzarlo. Quella vista mi urtò e pensavo che invece di affidare a quella dama l' "Ausspeisung" dei piccoli profughi, certi signori avrebbero dovuto piuttosto affidarle i loro cani. Stamattina ho ricevuto un pane tanto cattivo che mi pareva di masticare creta e lo inghiottivo piangendo. Ne presi un pezzetto e disperatamente l'ho alzato al cielo implorando pane, un po' di pane. Eppure papà ha mangiato quel che m'è rimasto: stentava a inghiottirlo, ma lo stomaco voleva pur qualche cosa.

"Miserere".


22 febbraio. È il 47° anniversario di matrimonio dei miei genitori. Avrei voluto festeggiar questo giorno nel modo migliore, e non ho potuto far altro che far tacere il mio appetito, per serbare ai miei poveri vecchi un boccone del mio pranzo. Essi però lo trovarono squisito, mangiarono con piacere, più tranquilli e più contenti di chi siede ad un lauto banchetto. Certamente essi sentivano in quel boccone tutto l'amore della loro figliola che vive per essi, che vorrebbe aver una ricchezza solo per circondare di agi gli ultimi anni della loro vita travagliata!

23 febbraio. Ieri è venuta una donna a pregarmi di darle qualche cosa da mangiare, se l'avevo. Risposi che purtroppo non avevo nulla. Ella mi mostrò alcuni soldi che teneva in una mano e mi disse: "Le do questi soldi se mi dà un pizzico di crauti o una patata; non voglio mica per niente; e ancora mi farebbe una gran carità". Sono stata alle cucine, ma mi han detto di no, e mi han cacciata fuori dalla porta. E non posso più star sulle gambe, e a casa, in baracca, ho il mio vecchio che non sta bene e ha fame...

27 febbraio. È orribile, è straziante veder poveri vecchi che dopo aver lavorato tanto per allevar figli che ora servono la "patria", ora non hanno un boccone per rifocillarsi e tenersi vivi almeno fino al giorno in cui, se Dio vorrà, la guerra sarà finita e torneran dai campi cruenti i figlioli che le loro preghiere avran protetto dal piombo.


28 febbraio. Anche oggi vennero da me parecchi a domandarmi per carità qualche cosa da mangiare. Ed è con angoscia rabbiosa che io devo sempre dire: "Non ho nulla". Devo far tacere il mio appetito per poter serbare qualche cosa ai miei genitori; come potrei dar un tozzo di pane anche ad altri? Stasera sono andata in chiesa. Si cantò il Miserere. O Signore, se lasciaste giungere al Vostro cuore le note dolenti del Re Davide, lasciate che vi giungano pur quelle dei miseri profughi! Più infelici di lui, non da una reggia, vi gridiamo "miserere", ma da povere baracche fra le cui pareti sconnesse, su miseri giacigli, intirizziti di freddo, languenti di fame, esiliati dal patrio suolo, implorano tregua, pane, liberazione.

4 marzo. Ho scritto ad alcuni, cui dovevo riscontro da un pezzo. Ed ho spedito alcune cartoline illustrate con vedute del "Lager". Fortunati quelli che le ricevono, che si fanno una languida idea della nostra situazione, senza poter intenderne tutta la miseria, tutto l'orrore, perché ancora non sanno ciò che vuol dire abitare nelle baracche. Noi, che disgraziatamente ci siamo, sappiamo qual vita atrocemente misera si faccia in queste stanze col pavimento sulla palude puzzolente, colle pareti ricche di fessure per le quali l'aria entra cruda e violenta, con focolare che, mentre potrebbe appena bastare per una persona, deve servire per parecchie famiglie, col sudiciume che necessariamente vi si agglomera.

6 marzo. Sono andata ad assistere al funerale di un mio parente, un buon uomo che negli anni passati mi aveva dato ospitalità nella sua cascina sui nostri monti, quando ci andavo col papà che raccoglieva legna nel bellissimo bosco vicino. Ci prestava i suoi utensili di cucina, ci vendeva latte, e la sera si stava un paio d'ore intorno al focolare a chiacchierare ...

7 marzo. Stasera mentre andavo a distribuire i biglietti per l'"Ausspeisung" ("Refezione"), alle mie scolare, vidi un bambino fra i 6 - 7 anni che se n'andava piangendo disperatamente. Mi avvicinai a lui, lo presi per una mano e gli domandai che cosa avesse. Mi rispose che era giunto tardi all' "Ausspeisung" e che la signora per castigo non gli dava la cena e la mamma non avrebbe nulla da dargli. Lo condussi dalla signora e la pregai di perdonargli e di dargli da mangiare. La megera, col suo cane in braccio, mi rispose che questo non sarebbe stato "Ordnung" ("ordine"), e che non gli avrebbe dato nulla. Condussi il piccino dall'Ispettore scolastico, un prete, e gli dissi la cosa. Egli rimproverò il bambino, e mi disse che l'agire della signora era giusto e che bisognava rispettarlo. Mandai a casa il bambino dicendogli: "Prega il Signore, pregaLo tanto che..." E tornai all' "Ausspeisung" dove la signora passeggiava fra le tavole col suo cane in braccio. Il suo cane non era certamente senza cena! E per il piccolo profugo senza cena neppure il Reverendo aveva pietà.

9 marzo. Oggi ha infuriato un vento impetuoso, e la mamma non s'è sentita di venir fin qui da me, per paura di esser gettata come l'altra volta a terra. È venuto papà, ma si sentiva così male, che mi disse volerei poco di più per sentirsi morire.

Al campo di Oberhollabrunn.


11 marzo. Ho pregato una mia collega di dirmi l'orario dei treni che partono da qui, perché domani andrò a Oberhollabrunn. Essa mi disse che difficilmente a Gramat Neusiedl si concede ai profughi di salire sul primo treno, e che avanti pochi giorni furono respinti colla graziosa apostrofe "Dreckige Gesellschaft" ("Compagnia sudicia")! Proprio così? Così dunque ci chiamano costoro? E possiamo amarli e direi loro patrioti? E quando arriverà il giorno in cui ci sarà concesso di ritornare ai nostri paesi, potremo salutar con riconoscenza questi luoghi? Se noi possiamo un giorno fuggire da questi paesi come Lot da Sodoma, nessuno si volterà a guardar il paese, nessuno imiterà la moglie del nipote di Abramo! E il fardello di memorie amare che trarremo con noi sarà ben più pesante delle casse in cui porteremo con noi le nostre cose.

12 marzo. Mi sono alzata alle 4 e mezzo. Alle 5 vennero il papà e la mamma a chiamarmi, e mamma mi portò un buon caffè. Poi essa tornò in baracca e papà ed io siamo andati alla stazione di Mitterndorf. Abbiamo preso il biglietto per Vienna e vi giungemmo alle 8. Col tram ci siamo portati nella "Nordwestbanhof" ("StazioneNordovest") e dovemmo restarci ad attendere il treno per Oberhollabrunn fino all' l e mezzo. In un' ora siamo giunti alla stazione di Oberhollabrunn e lì cercammo dell'internato che volevamo trovare. Dopo aver ottenuto il permesso dalle Autorità competenti, siamo andati nelle baracche degli internati dove trovammo il pover'uomo. Non è possibile descrivere qual gradita sorpresa fu per lui la nostra visita. Ci trattenemmo con lui un' ora, poi ci affrettammo verso la stazione.

13 marzo. Siamo arrivati qui stanotte alle 2. Da Oberhollabrunn a Vienna abbiamo dovuto viaggiare su un treno così pieno di gente che non potemmo neppur entrare in un carrozzone e dovemmo restar di fuori. Moltissime signore cariche di gran sacchi di patate viaggiavano con noi. A Vienna la folla che voleva salire sui tram per recarsi alle stazioni era tale che quei carrozzoni erano stipati in modo da non poterei stare fra una persona e!' altra neppur un bastone, e molti supplicavano invano di poter salirvi. Aspettammo per un' ora un tram che potesse accoglierci. Papà rabbrividiva di freddo, si sentiva male. lo tremavo per lui. Finalmente, facendo forza, potemmo salire. Temevo di perdere il treno. Arrivammo alla stazione appena in tempo a prenderei i biglietti. Grazie a Dio, giungemmo a entrare in un carrozzone e alle 11 e mezzo arrivammo a Gramat-Neusiedl. E dopo due ore di pessima strada eravamo qui.


Tutto viene a mancare: anche quello che si credeva il più necessario.


14 marzo. Ho ricominciato la scuola. Sono tanto debole che mi sono accinta al lavoro con un po' di timore, eppure nello stesso tempo con tanto piacere. Mi sentivo bene fra le mie scolare; contenta di essere la loro maestra. E ho lavorato di lena, ma poi ero tanto stanca. Come andrà? Quanto resisterò? Desidero tanto un po' di forza, non foss'altro per poter studiarmi di render attraenti e utili le mie lezioni, e render la scuola gioconda e fruttuosa alle mie care fanciulle.

15 marzo. Il freddo è ritornato intenso. Ha nevicato e il vento ha infuriato. La scuola era fredda. Ho preso un mal di gola che mi disturba non poco.

16 marzo. Papà è venuto presto, prima ch'io mi alzassi, a portarmi il latte. Povero vecchio! Vuole portarmi lui il latte ogni mattina; viene svelto e fiero colla sua gamella, fa due parole poi va ad ascoltar la S. Messa.

17 marzo. Oggi la mamma si sentiva tanto male. È stata coricata quasi tutto il giorno nel mio letto. Il caldo della mia stanza e quel boccone che ho potuto darle, le hanno fatto bene e stasera stava meglio. Ma è debolissima. Il cibo che riceve in baracca è tale che, benché sia pochissimo, le fa male e deve astenersene; e da comperare non si trova più nulla. C'è da preveder poco di buono.

18 marzo. Durante la Messa una delle mie scolare più grandicelle mi domandò di uscire ché si sentiva male. L'accompagnai fuori, la condussi in scuola e la feci sedere finché ebbe riposato alquanto. Poi 1'accompagnai alla sua baracca. Mi disse che da un pezzo non sta bene, che ha sempre mal di testa e che è tanto, tanto debole. Povera ragazza. Era pallidissima e sotto gli occhi azzurri spiccava un cerchio nero che diceva tante cose. lo pure sto poco bene. A stento sono stata in piedi durante le funzioni a sorvegliare le mie scolare. Avrei bisogno di stare a letto, di riposare, di mangiare ...

19 marzo. Qui la nostra condizione si fa sempre più misera. Non trovo più nulla da comperare per sostentare i miei genitori, e col solo vitto ordinario che ricevono non possono vivere.

21 marzo. A forza di raccomandarsi e pregare, la mamma ha potuto finalmente avere un kg di zucchero per 6 K. Il caffè è a 24 K, il burro a 20 K, la farina di frumento a 7, 8, 10 K, il granoturco da macinare a 4 K il kg. E bisogna pur comperarne se non si vuol morire di fame: perché con quel che si riceve dal "Lager" non si può reggere. La minestra della sera i miei poveri vecchi la bevono perché non è altro che un po' di broda, misurata con crudeltà.

22 marzo. C'è stata la Comunione generale degli scolari. Ognuno aveva con sè la propria gamella e il cucchiaio e con questi arnesi in mano, o appesi alla cintura, fanciulli e fanciulle si presentavano all'altare. Era commovente la premura che avevano di obbedire al predicatore che aveva tanto raccomandato di non far rumore colle gamelle. Era necessario aver con sè gamella e cucchiaio perché immediatamente dopo la sacra funzione dovevano andare all' "Ausspeisung" ("Refezione") a far colazione. Qualche gamella cadde a terra, qualche cucchiaio chiacchierò colla gamella, ma in generale gamelle e cucchiai furon custoditi per bene, in modo che il rumore fu minimo. E per riuscire a questo, l'attenzione dei piccoli profughi non fu poca; si vedeva chiaro ch' era più viva di quella che prestavano a ricevere il Sacramento. O Dio, le avete viste quelle gamelle?

23 marzo. Stavo per entrare in chiesa, quando incontrai le Suore cogli orfanelli. Mi avvicinai a quella d'esse che conosco e feci alcuni passi con lei, discorrendo di qualche cosa che ad entrambe sta a cuore. Essa mi disse con tutta persuasione: "Non può durare a lungo così. Deve finir presto". Fosse vero! Tornando verso la baracca dove abito, vidi una folla di donne che facevan chiasso davanti alla porta della "Werkstatte" ("laboratorio"). Perché gridavano e gesticolavano irate? Perché non avevano ricevuto la pagnotta ed erano affamate e la volevano. Ben presto furono costrette dai gendarmi e dai poliziotti a ritirarsi nelle loro baracche: qualcuna fu arrestata. Son brutte cose, brutte come la fame che è pur anche dolorosa, irritante, furibonda consigliatrice.

24 marzo. Non c'è più carbone; per riscaldare la stufa c'è solo un po' di legna verde e fradicia. Tutto, tutto viene a mancare; anche il più necessario: cioè quello che si credeva il più necessario. Papà rammenta con cupo rimpianto la tanta legna, il molto legname che con tante fatiche aveva accumulato nella nostra casa, e che colla casa è bruciato. Ah! Tutto distrutto, tutto bruciato quel che non è stato saccheggiato, e noi qui a languir di fame, a tremare di freddo, a mendicare un cencio per coprirei. No, vivaddio! no, mendicare no! Non vi porteremo i cenci onorati che ci hanno coperto le membra, che hanno sentito battere il nostro cuore quando ci faceste fuggire dal Tirolo; non ve li porteremo questi cenci per ricevere da voi la roba nuova che volete pagata a prezzo di sanguinose umiliazioni!

25 marzo. È freddo, nevica; e non c'è legna da riscaldare la stanza. Mi sono avvolta nella mia mantella (proprio nella mia, ché ho dovuto comprarmela io, e non rebbi già dal "Lager") e ho cercato di distrarmi leggendo un libro che una mia collega mi ha prestato. Questa lettura mi interessò tanto che alcune ore passarono in fretta. Un buon libro gioverebbe molto a far passare meno male qualche ora, a sollevar lo spirito, a riconfortare il cuore; ma non è facile l'averlo.  Nella fuga precipitosa dalle nostre povere case non ci fu possibile portar con noi dei libri; e il procurarcene dopo è impedito dalla censura: ne ordinai parecchi e tutti furono respinti: perfino I Promessi Sposi furono ritornati al mittente coll' accompagnatoria: "unzulàssigs ("inammissibile"). E così anche quel po' di lettura che si potrebbe fare con vantaggio dello spirito e del cuore ci è interdetta.

26 marzo. È freddo, si ha fame, e non c'è da riscaldarsi, e non c'è da mangiare. San venuti i miei genitori a trovarmi: erano intirizziti, affamati; ed io nulla avevo da dar loro. E sono stati qui un pezzo con me nella camera fredda, poi se ne sono andati lenti, curvi, cupi. E io sono andata nella mia scuola fredda, benché la stufa fosse tiepida, e ho lavorato, ma col cuore gonfio d'ira dolorosa, di sconforto disperato. Stasera dovrei scrivere alcune lettere. Ma io non posso scriver nulla a nessuno, perché dal cuore mi viene una parola sola, ch'io vorrei scrivere con una penna intinta nel sangue di tante vittime e lanciarla al cielo: vendetta.

30 marzo. Mamma è andata in cerca di un po' di farina, di un po' di burro, di qualche cosa da mangiare, ma non si trova nulla. Fino a pochi giorni fa si poteva avere qualche volta mezzo kg di farina di frumento, qualche quarto di burro, qualche po' di zucchero, qualche quarto di caffè; ora più nulla altro che granoturco, a 4 K il kg, e bisogna macinarselo.




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25/02/2023
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