Dal 31 Marzo al 17 Maggio 1917 - Gruppo Alpini Roncegno

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Dal 31 Marzo al 17 Maggio 1917

La 1a G.M. > I Profughi

TUTTI I TESTI E LE FOTO SONO TRATTI DAL LIBRO
FILOMENA  BOCCHER DIARIO DI UNA MAESTRA IN ESILIO
NEL <<LAGHER>> DI MITTERNDORF
A CURA DI LENINA BOCCHER E VITALIANO MODENA


PARTE TERZA


1917

DAL 31 MARZO AL 17 MAGGIO


Il gruppo delle maestre. Filomena Boccher è la prima a sinistra della prima fila in piedi.
Al centro, seduti, l'Ispettore scolastico don Tiso e il dirigente Corradi
( proprietà Boccher )



Al nostro fianco lo spettro della fame.

31 marzo. Dalla "Verpflegsgesellschaft des Barackenlagers " ("Società di sussistenza del carnpo") di qui ho ricevuto una notificazione in questi termini: "Es wird hiemit zu Kenntnis gebracht, dass am I. April alle Abonnements ùber K 3.50 in folge Drosselung der Mehl, Schlachtvieh und Fleischzuweisung nicht mehr aufrecht erhalten warden kònnen und bis auf Weiteres nur mehr Abonnement zu K 3.50 ausgegeben werden" ("Con questa si porta a conoscenza che il I aprile tutte le tessere oltre le 3 corone e 50, in seguito alla riduzione della farina, bestiame da macello e assegnazione di carne non possono più essere ritenute valide e fino a nuovo ordine vengono rilasciate solo tessere di 3 corone e 50"). Prima d'ora con 4 K al giorno ricevevo appena il necessario per vivere, ora non si può avere più neppure quello. Terribile vediamo al nostro fianco lo spettro della fame; già i suoi artigli lacerano il nostro stomaco vuoto. E qui dobbiamo stare per esser torturati dalla fame, mentre le nostre campagne che vorrebbero darci il pane, implorano invano le braccia che già avevan tratto dal loro seno tanto tesoro di biade, di grappoli, di frutta, quelle braccia che ora penzolano esauste, per contorcersi forse fra breve negli spasimi dell' agonia. Lasciateci andare almeno in una terra, che da quella che ci vide nascere non sia come questa tanto lontana! Lasciateci andare dove il nostro dolce idioma non sia un delitto! Noi vi manderemo di là la parte migliore delle nostre fatiche e il nostro perdono; ma lasciateci andare! Qual gloria vi verrà dallo spegnersi di tante vite nell'inedia? Vi abbiamo dato i nostri soldati; del loro sangue rigurgitano I campi di battaglia; lasciate andare le sorelle, le spose, le madri a piangere e pregare per essi sotto il cielo che primo loro sorrise, sotto il cielo, le cui dolci stelle sanno le veglie delle madri che ve li diede baldi, forti, valorosi! Per il sangue dei nostri soldati, lasciateci andare!

1°aprile. Una cucchiaiata di minestra che ho bevuta; un pizzico di crauti; un osso: ecco il mio pranzo, oggi. E poi una fame, un languore, una disperazione ... E l'ineffabile strazio di veder presso di me i miei genitori ancor più maltrattati, ancor più deperiti, ancor meno rassegnati; e non poter aiutarli, e non aver come altre volte un boccone da dar loro.

3 aprile. Ho udito che corrono voci buone per l'accampamento: da dove sian venute non so. Purché non siano nuove illusioni.

4 aprile. Sono stata a trovare le Suore nere. Gli orfanelli stavano facendo chiassosamente la ricreazione, e la giovane maestra sorvegliava con ammirabile pazienza i loro giochi col sorriso sulle labbra, cogli occhi vigili e dolci. Mi fecero entrare nella camera da lavoro, ove venne la Superiora. Il suo dire gentile e spiritoso, il suo modo di veder le cose e di ragionare mi faceva invidia. Essa non è affranta come me; ma non è neppur come me affamata e preoccupata. Mi ha compatita, mi ha raccomandato di distrarmi e di riposare, ma è convenuta con me che con quel solo che si riceve non si può sostenersi e che la condizione in cui ci troviamo è critica assai.

5 aprile. Sono andata un po' in chiesa e sono stata lì inginocchiata sul pavimento davanti al santo sepolcro. Ma mi sentivo poco bene; ho dovuto uscir presto. Se va di questo passo ci si dovrà presto piegare, per non rialzarsi più. Ciò che ho ricevuto da mangiare è stato tanto poco e così cattivo ch' è impossibile non indebolirsi e non sentirsi male. La pagnotta sembrava fatta di terra impastata con aceto e cotta al sole, la minestra l'ho bevuta, ed era un cucchiaio; la cena consisteva in un pizzico di crauti con 5 cm di sanguinaccio. Imploro la notte di esser breve perché col sole di domani mi giungano almeno due gocce di caffè. È orribile la fame; io la provo. Ma guai a chi ci infligge tal supplizio! E impossibile che tal patire non gridi vendetta al cielo! Come quel ricco Epulone deve venir pur per voi il giorno in cui invano implorerete una goccia d'acqua. Ah, che le vostre vittime diventino un giorno il povero Lazzaro del Vangelo!

6 aprile. Stavo per andare alla predica, quando vennero da me i miei genitori, affamati, irritati, scoraggiati. Sono stata qui con loro e mi sono studiata di confortarli: ma ahimé! qual conforto possono portare le parole, per quanto vengano da un cuore  affettuoso, ad uno stomaco vuoto implorante pane, pane, pane! Il pane quotidiano che domandiamo al Signore, verrebbe solo sui nostri dominatori? E a noi che lo imploriamo dal Cielo, perché al Cielo crediamo, non verrà che lo scherno di coloro che lo mangiano e solo a quello che mangiano credono? Affrettatevi, Signore, a soccorrerei, perché altrimenti noi
soccombiamo. E se il pane dev'essere tutto per loro, date ci almeno la rassegnazione! dateci la calma necessaria per non morire imprecando.

7 aprile. Stamattina di buon' ora è venuto papà a chiamarmi per andare in Ungheria a cercar da comperare un po' di farina o qualche cosa per tenerci vivi. Il tempo era freddo, il vento soffiava impetuoso: io mi sentivo debole, quasi incapace di camminare: ho avuto paura e non sono andata, rimettendo il viaggio ad un altro giorno. Inoltre fui avvertita che solo di trafugo si potrebbe portar generi dall'Ungheria, ché è proibito; e a più d'uno che aveva fatto il tentativo è toccato di essere arrestato dalle guardie, cui è stato costretto a consegnare la merce comperata a carissimo prezzo, perdendo denaro e fatica. E così son rimasta qui tutto il giorno, studiandomi di non muovermi per non esacerbare lo stomaco, desolata di non poter far nulla per soccorrere i miei genitori.


Tanto freddo, tanta fame.

8 aprile. Festa di Pasqua che altre volte sorgevi così luminosa e gioconda, tu giungi quest'anno velata di nero, terribile come uno spettro. Tu ci annunzi che la primavera è giunta, ma che non è giunto il tempo in cui la terra fiorisce per i profughi. Tu ci annunzi che la nostra dolce terra disgraziata implora il nostro ritorno e il lavoro delle nostre braccia, ma che la voce del cannone non lascerà giungere a noi la sua voce né a lei il nostro saluto, finché le vittime non avran raggiunto quel numero che Dio solo sa! Festa di Pasqua, altra volta nunzia di risurrezione, tu giungi quest'anno avvolta in gramaglie, e la croce che altra volta tu ci mostravi trionfante della redenzione di cui era stata strumento, noi la sentiamo grave e fatale premerei sul dorso chino nella schiavitù e nell'obbrobrio.

9 aprile. È venuto un nuovo ospite nella baracca dove stanno i miei genitori. E un soldato invalido di Vattaro. Stasera è venuto coi miei a trovarmi. Ha un braccio rovinato, colla mano inerte sostenuta da un apparecchio di cuoio fissato con ganci particolari. S'è trattenuto presso di me un pezzo e m'ha raccontato qualche cosa delle sue vicende. Suo padre è internato a Oberhollabrunn; ha un fratello sul campo e un altro in un ospedale militare. La madre è a Vattaro, in casa sua. Quando ero anch'io nel paese, essa era sempre gentile e cordiale con me: avrebbe mai preveduto che un giorno mi sarebbe capitato il suo figliolo in queste circostanze? E verrà il giorno in cui io tornerò in quel paese e ci troveremo ancora tutti insieme? Verrà il giorno in cui il nostro esilio non ci sembrerà più che un brutto sogno?

10 aprile. Ho ricominciato la scuola. lo battevo i denti per il freddo. E le scolare ne ridevano innocentemente. Ma esse pure eran pallide ed intirizzite e si raggomitolavano nei poveri fazzoletti. Freddo, fame, angoscia! I miei genitori non sanno rassegnarsi a morir qui nè sanno sperar altro. lo mi guardo d'attorno e non odo che lamenti e imprecazioni, non vedo che lacrime e miseria. È venuta una povera donna a domandarmi un favore e mi ha detto che va nelle officine a lavorare per non stare in baracca a sentir sempre i figlioletti a domandarle da mangiare.

11 aprile. Anche oggi tanto freddo e tanta fame. In scuola, alle 12, mi sentii sopraffatta da una debolezza tale, che non sapevo più quel che mi facessi. E dovevo starei ancor un' ora. All'una potei venir a pranzo e trovai la solita minestra da bere, un boccone di carne che non si lasciava masticare, e un cucchiaio di salsa che non fui capace di affrontare. Rosicchiai quel pezzetto di pane che m'avevo serbato dalla colazione e poi andai a scuola. Una collega, nella quale m'imbattei, mi disse che si sentiva così affranta da non poter reggersi in piedi. Son venuti da me i miei genitori e mi han detto che la minestra di stasera puzzava da rivoltare lo stomaco. Abbiamo fatto macinare un po' di grano comperato a 4 K il kg e papà ha fatto la polenta; poi l'ha mangiata così senza companatico, e l'appetito gliel'avrebbe fatta mangiare tutta.

12 aprile. Dopo pranzo sono stata a trovare una ragazza nell'ospitale. Essa mi aveva scritto un biglietto in cui mi pregava d'andar da lei, che aveva da parlarmi. Ci sono andata e la ho trovata in piedi; ma si reggeva a stento. Mi disse che non sentiva altro che un gran sfinimento. Nella sala le malate erano 26; quasi tutte giovani.

13 aprile. Oggi è venuta nella scuola una signorina viennese che si interessa dei profughi e fa loro del bene. È una simpaticissima giovane dall' espressione intelligentissima e piena di signorile bontà. Ha voluto sentir le scolare leggere in lingua tedesca e ha promesso di adoperarsi perché le scolare possano aver una grammatica tedesca.

14 aprile. Che cosa scrivere? Sempre le stesse miserie, sempre più fame, sempre maggior nostalgia. Da qualcuno si dice che a casa non andremo più; i provvedimenti che si prendono per i profughi tendono tutti a stabilirli qui. Qui, sempre? Fino alla morte? È freddo; nella scuola rabbrividivo: oggi non hanno dato punto legna. Non legna da riscaldarci, non pane da sfamarci; e non è ancor tempo di lasciarci andare?

15 aprile. Stamattina, quasi spinta da un presentimento, sono stata in baracca a vedere dei miei genitori. Papà era coricato vestito; ed era tanto pallido che mi sono spaventata. Ieri aveva mangiato una certa pietanza che taluni dicono essere foglie di barbabietole in composta, altri dicono essere torsi di cavolo essiccati e ridotti in schegge, poi cotti. Questo cibo aveva fatto male al povero vecchio affamato; gli aveva cagionato mal di testa e diarrea, e stamattina il povero uomo sembrava disfatto. Si riebbe, prendendo prima un po' di caffè, avuto per grazia, e poi mangiando polenta.

19 aprile. Il capo-baracca ha detto alla mia mamma di presentarsi oggi al magazzino per ricevere qualche capo di vestiario; per ottenerlo però era necessario ch' essa consegnasse altrettanti capi usati: che non consegna la roba straccia non ha diritto di riceverne di nuova. Bisogna dunque concludere che chi più sciupa, più riceve, chi nulla sciupa, chi ha cura del suo vestito vien punito col non dargli nulla. La base di tal sistema, per chi pensa almeno un poco, è qualche cosa di demoralizzante, eppure si vuole così, quasi la roba da vestire fosse nei magazzini un ingombro tale che bisogna disfarsene istituendo una gara di sciupio. Tutti sentono il diritto di ricevere la loro parte di vestiario, ma chi sa molto sciupare riceverà anche la parte di chi risparmia.

Sconforto e consolazione.

20 aprile. Lunedì, mentre andavo in baracca a trovare i miei genitori, incontrai un pover'uomo di Roncegno. Egli mi disse che aveva tanta fame. Ieri mattina lo trovarono morto: morto di fame. Quello che si riceve non è più sufficiente a tener vivi; e perché non ci lasciano andar a cercare il pane dalla terra nostra? Perché non vogliono liberarsi di noi che abbiamo la pretesa di mangiare per vivere? . Oggi sono stata quasi tutto il giorno a letto. Il dott. Botteri, padre delle mie due scolare, è venuto per sua bontà, senza ch'io lo chiamassi, a vedere come sto. Ha detto che non ho mente altro che una certa influenza. Ed io sento bene che si tratta dell'influenza del freddo e della fame. Il rimedio sarebbe tanto semplice, ma l'averlo non è in mano nostra. M'ha confortata però assai la premura del buon medico, e le care visite di quattro mie gentili colleghe.

23 aprile. Ero ancora a letto quando è venuta la domestica di due mie scolare, mandata dalla loro mamma, a vedere se avevo bisogno di un po' di legna per riscaldare la mia camera. Fu una vera Provvidenza. La ragazza portò legna e carbone e mi accese essa stessa la stufa. Papà che era presente ne fu commosso e felice. lo non sapevo come esprimer la mia riconoscenza. Come ricorderò sempre tal benefizio, e penserò a quella buona signora con memore gratitudine! Lungo il giorno vennero parecchie mie scolare a trovarmi; mi fece tanto piacere il vedere con qual affetto timido e gentile mi domandavano come stessi: nei loro occhi leggevo il cuore affezionato e devoto, nelle loro parole udivo la voce del cuore. Grazie care, povere, buone figliole: a voi debbo l'amore che mi rende dolce il lavoro, soave la fatica, breve il tempo.

24 aprile. Sono stata a Vienna con papà. Siamo andati al Comitato di soccorso per i profughi e ho parlato per ottenere ai miei genitori il contributo di sostentamento cui hanno diritto, avendo ambedue figli militari. Ci venne negato finora col pretesto che al nostro mantenimento provvede lo stato nell' i.r. baraccamento di Mitterndorf ove ci hanno condotti. Lo stato provvede qui al nostro mantenimento! Poveri noi, se dovessimo vivere solo con quel sostentamento che riceviamo qui! Non si potrebbe vivere, si dovrebbe morire d'inedia.

25 aprile. Il cibo che riceviamo è ogni giorno più scarso e più cattivo. Questo trattamento ci fa pensare che un barbaro disegno è stato fatto su di noi: distruggere i Tirolesi italiani. Ci si fa soffrire la fame ed il freddo, ci si avvelena con broda che le bestie rifiuterebbero, si impedisce che ci giungano generi alimentari da altri luoghi: e son vane le suppliche che facciamo ripetutamente per ottenere il permesso di partire. Che si deve pensare? Il prezzo di quel poco che a stento e di trafugo possiamo procurarci cresce ogni giorno, tanto che non possiamo concederci il lusso di una fetta di polenta scussa ogni giorno. È un obbrobrio l'esser Tirolesi italiani! Un'infamia che ci leva il diritto di mangiare. Ma noi abbiamo fame, ma noi vi abbiamo dato il sangue dei nostri cari e quello dei nostri cuori, noi non abbiamo tradito; perché ci avete condannati a tal barbara schiavitù? Voi ci avete traditi, voi.

26 aprile. Oggi son ritornata nella scuola. Era freddo, le gambe mi reggevano a stento, sentivo tanta fame. Quando papà è venuto a trovarmi a mezzogiorno m'ha portato una lettera speditami dal Consiglio scolastico distrettuale, in cui mi si invita a riferire tosto dove sono occupata, da quanto tempo e per quanto tempo rimarrò possibilmente nel posto che occupo. Se questa domanda volesse dire che potrei esser trasferita altrove, che potrei rimpatriare! Questa sera una mia collega m'ha portato alcuni libri ch'io avevo ordinati ancora in autunno e che ho potuto avere solo ora per mezzo di una persona colla quale la signorina è in relazione. Ora ho almeno qualche cosa che mi aiuti nella scuola e me ne consolo. Ho sfogliato con interesse i bei libri pieni di pensiero e di utili cognizioni: mi pareva di sentir fra quelle pagine il tepore di un sole.

27 aprile. É l'onomastico dell'Imperatrice! Sono andata a sorvegliare la scolaresca durante la S. Messa celebrata per la gentile sovrana. Ma non potevo pregare. Pensavo: "Penserà essa mai che qui vicino alla ricca capitale ove siede sul trono, vi sono dei suoi sudditi torturati dalla fame, disprezzati, maledetti perché solo Italiani? Se lo sapesse, farebbe essa qualche cosa per soccorrerei, per liberarci? Il cuore mi diceva di sì; ma nello stesso tempo la vedevo tranquilla della nostra sorte, paga delle bugiarde relazioni di chi maltrattandoci e opprimendoci, pur grida alto che noi stiamo bene anche troppo.

Atroci commedie.

28 aprile. Stamattina alle 10, mentre stavo rosicchiando una fetta di pagnotta, udii che si suonava la banda. Aprii la finestra e vidi un gruppo di suonatori, cui seguivano otto bambine vestite di bianco con fiori gialli in mano. E poi venivano lentamente sei strane coppie; il Barone, l'ingegnere, un ufficiale, ciascuno dei quali teneva a braccetto una vecchierella vestita di nero e con una ghirlanda di fiori gialli in capo. Quelle tre donne chi potevano essere? Mestissimo il viso, bianchi i capelli, lentissimo il passo, sembravano tre fantasmi usciti da una tomba a veder che si facesse sulla terra, a dire che anche i morti fremono e piangono per il sangue che la dilaga. E dietro di esse venivano tre uomini vecchi e scheletriti, ciascuno accompagnato da una giovane signora: erano i mariti delle tre vecchierelle. Erano tre coppie che facevano le nozze d'oro. lo piansi. E gridai al cielo: "Cessi la commedia atroce !"

29 aprile. Papà è venuto a fare due passi con me. Tornammo presto nella mia camera. Aprii la finestra e ci appoggiammo entrambi al davanzale. Un brutto spettacolo venne tosto a rattristarci non solo, ma a riempirei il cuore di indignazione e di disprezzo. Due giovani tedeschi, ubriachi l'uno più dell' altro, passavano dinanzi alla cucina. A un tratto caddero l'uno sull'altro. Barcollando si rialzarono, e l'un d'essi si gettò supino su una barella che stava accanto al marciapiede. L'altro lo tormentava, e gli sputò nella bocca aperta. Per alcuni minuti durò un'atroce, sozza commedia. Intanto accorrevano i curiosi. Si tentò di rialzar quello che giaceva; ma era inutile. Allora fu trasportato altrove. Se fossero stati italiani quei due bruti, quale scandalo sarebbe stato per i bravi Tedeschi presenti! Ma erano dei loro e non si fece che sorridere. lo ringraziai Dio di non aver mai visto Italiani far tali brutali prodezze.

I nostri tiranni.

30 aprile. Si dice che domani ci sarà un cambiamento nella cucina: sarà in meglio? Sarà in peggio? Si potrebbe esser trattati peggio? Non lo crederei. A cena ho ricevuto un cucchiaio di miglio tutto bucce, e un pezzetto di carne come un uovo. Stasera una signorina m'ha detto che un tedesco impiegato in un magazzino di questo "Lager" ha espresso la sua meraviglia al vedere che gl'Italiani subiscono tal trattamento tacendo. Che gioverebbe il parlare? Di chi è la forza, di chi il potere? Sì, tacciamo ora, ma perché altro non possiamo fare; ma perché sappiamo che "a metter fuori le unghie il debole non ci guadagna" e in questo "Lager" nelle vostre mani, noi ci vediamo condannati. Ma forse Qualcuno ci libererà e Colui sarà il Protettore dei deboli, il Vindice degli oppressi. Deboli noi siamo e oppressi sì, ma i vostri titoli non sono alti come il sole; la nostra miseria e i nostri parimenti tingeranno di ignominia i vostri titoli.

1° maggio. Stamattina quando le ragazze andarono in cucina a prendere il caffè per le maestre, si disse loro che bisognava pagarlo; sicché per averlo demmo ciascuna i 28 centesimi richiesti. Così sarebbe stato per il pranzo e per la cena: non si avrebbe più ricevuto nulla colle solite tessere: bisognerebbe pagare ogni volta. Ne fui lieta perché pensavo che l'Amministrazione ci avrebbe dato invece il denaro corrispondente, e con quello avrei comperato qualche cosa non così cattiva come ciò che ci dan essi da mangiare. Ma di lì a un' ora venne un contrordine; per le maestre ci sarebbero le tessere e il trattamento solito. Una mia collega ed io andammo dall'Ispettore a domandar se non era possibile ricevere il denaro invece di quella miserabile "menage" ("vivanda"). La risposta fu acre e offensiva: la ragione e la giustizia c'entravan per nulla. Grazie, illustre Ispettore! Non dimenticherò il quarto d'ora in cui così da vicino ho potuto ammirare il tuo cuore per i profughi.

2 maggio. Più d'una volta pensai di raccogliere quanto riceve da mangiare un profugo in un giorno, e di portarlo a Vienna per farlo vedere a qualche autorità e domandare se una creatura umana potrebbe vivere con un tal trattamento e mostrare a che si riduce il mantenimento di cui si fanno tanti elogi. Oggi ho saputo che un' altra l'ha fatto. E ho saputo che il cibo fu trovato scarso e cattivo. Lo Stato provvede al mantenimento dei profughi, sicuro: ma è chiaro come il sole che ciò che è destinato per noi non ci giunge, come una palla di burro non giungerebbe al destinatario, quando prima dovesse passare per 100 mani e sbocconcellata da 50 bocche, a dir poco. È un malcontento generale, uno smaniare angoscioso, un implorare incessante. Si ha fame, si è stanchi, si è malati, si è lo zimbello di coloro che succhiano il nostro sangue. Se il sangue di Abele bevuto dalla terra gridò vendetta al cielo, non griderà vendetta il sangue dei profughi, succhiato da questi barbari?

3 maggio. Oggi, appena incominciata la scuola, entrarono nella mia classe alcuni signori tedeschi, che non ho mai visto; ed erano accompagnati dal Barone che parlava loro con molta deferenza. Si fermarono un po' ad ammirare l'aula, poi se n'andarono, salutando gentilmente, ma senza pronunciare una parola in italiano. Basta guardarlo il Barone per esser persuasi che i maltrattamenti di cui siamo vittime non dipendono da lui: gli si leggono in viso la nobiltà e la bontà. Il guaio è che si fida dei suoi subalterni; e pur standogli a cuore il nostro benessere, non crede necessario controllare il modo in cui è curato. E intanto noi soffriamo ciò ch' egli è lungi dal supporre, e intanto quelli che godono la sua fiducia sono i nostri tiranni.

Si rimpatria: e la nostra ora giungerà?

5 maggio. Parecchie famiglie di Tenna hanno ottenuto il permesso di rimpatriare. Papà è in orgasmo, mamma vorrebbe ottenere il permesso essa pure. Non può più rassegnarsi a prolungare ancora questo soggiorno. lo mi sento proprio poco bene. Mi pare impossibile poter continuare la scuola. Ieri sera m'ero appena addormentata, verso le 11, quando sentii un movimento nella camera vicina; mi pareva che la mia collega si fosse alzata. Poi la udii parlare colla collega dell'altra camera. Indovinai dalle loro parole che c'era un incendio. Alzai la tenda della finestra e vidi oltre le baracche un fuoco altissimo. Mi vestii in fretta. Pensavo che la distruzione del "Lager" sarebbe stata imminente. In un lampo tutte le vie eran zeppe di gente. Ma ciò che bruciava non era che un fienile, e l'incendio durante la notte fu spento.

6 maggio. Ho comperato 10 kg di granoturco. Il prezzo è ribassato. Non ho speso che 36 K. Però della mia mesata mi resta ancor poco e bisogna averne abbastanza fino al 1° giugno. Potremo concederei il lusso di fare la polenta solo una volta ogni due giorni, ma spero che ciò sarà sufficiente per non morire di fame. Intanto Dio provvederà. Si discorre d'un prossimo rimpatrio di Vattaresi. Come maestra, appartengo anch' io alloro comune: perché non posso andarci? Bisogna aspettare il permesso delle Autorità; e quando penseranno a concedermelo? Delle suppliche fatte per ottenerlo non ho ancor ricevuto evasione. E poi, se non mi si concede di prendere con me anche i miei genitori, io preferisco morir qui piuttosto di abbandonarli.

7 maggio. Sono andata dalle Autorità del "Lager" a domandare se fosse possibile ottenere per me e per i miei genitori il permesso di ritornare a Vattaro. La risposta è stata poco incoraggiante. Ho fatto un' altra supplica al Capitanato distrettuale implorando. Ma chissà! Si crederà la mia domanda dettata da nostalgia capricciosa, e non si farà nulla per esaudirla? Ma i miei genitori come potranno regger qui ancora? Sono sfiniti, esasperati, affamati. Vivere agonizzando è un supplizio atroce.

8 maggio. Papà stamattina è andato a Gramat-Neusiedl a impostare la supplica. Pover'uomo! E ritornato tanto stanco, che gli pareva d'esser più morto che vivo. Lo devo ostentare speranza e tranquillità, per non toglier ai miei genitori il coraggio e la fiducia nell'avvenire. Ma devo fare uno sforzo che mi tortura.

9 maggio. Vacanza perché è il natalizio dell'Imperatrice. Ne ho parlato alle scolare, e ho detto loro qualche cosa della nostra giovane sovrana. Esse ascoltavano con attenzione, e facevano tesoro d'ogni parola ch' io dicevo loro. Prima non sapevano nemmeno quando fosse nata, dove e da chi: sapevano solo ch'è italiana (Zita di Borbone, figlia di Roberto, ultimo duca di Parma). lo avrei voluto saper loro dire di più. Eppure le mie fanciulle erano tanto contente di quel poco che ho potuto dir loro, anzi vidi che ad esse sembrava molto, ed erano soddisfatte e contente, quasi altere di saper finalmente qualche cosa della loro Imperatrice: e si vede ormai che ne sono entusiaste.

10 maggio. Oggi mi sentivo meno bene del solito. E il cibo è stato peggiore. Papà e mamma sono irritatissimi e smaniano perché non prevedono di rimpatriar tanto presto. Sono andata in baracca a trovarli. Erano entrambi coricati. Alzatisi, mi dissero che si sentivano tanto deboli da non poter star su. Nella baracca pareva di non poter respirare: le finestre erano chiuse e sugli spaghi tesi fra le pareti c'era una quantità di stracci che gli altri ospiti ci avevano appeso, parte per asciugare, parte semplicemente per farne delle tende. Quanto d'igienico e di estetico vi siano in quei cortinaggi ognuno può vederlo, eppure si deve lasciar essere, se non si vogliono questioni. Oh, l'obbrobriosa schiavitù delle baracche! Non ci fosse altro guaio che quello di dover convivere con ogni sorta di gente, questo solo basterebbe a render la vita delle baracche un martirio.

11 maggio. È venuta a salutarmi una donna che parte per Vattaro. Quale angoscia non poterla seguire coi miei genitori! Quando giungerà la nostra ora? E giungerà? Parecchie delle mie scolare sono malate; anche di quelle che sembravano robuste. Oggi si dette loro il pranzo all'aperto, fra le 12 e l'una, sotto il sole che scottava. Stasera si lamentavano di mal di testa. L'igiene del "Lager" è qualche cosa di speciale che una povera maestra tirolese non può comprendere. Si provasse qualcuna a esprimer dubbi sull'opportunità di certi sistemi che si vogliono far valere dalla "Leiterin der Kinder" ("Direttrice dei bambini")! Se son rose fioriranno; e se non c'è per nulla il proverbio "dopo un anno, un giorno e un mese l'acqua torna al suo paese", verrà anche il giorno in cui la "Leiterin der Kinder" vedrà partire i suoi sudditi, e resterà qui tutta per il suo cane.

12 maggio. Oggi alle 10 son partiti quelli di Vattaro, rimpatriano. Con essi, anche quelli di Centa e di Bosentino. Dalla mia finestra guardai la folla che si avviava alla stazione accompagnata dall'Ispettore delle baracche e da parecchi poliziotti. Se ne andavano silenziosi, curvi sotto il peso dei fardelli gli uomini, con bimbi in braccio o per mano le donne. Nessuno sorrideva: eppure la gioia con cui avevano ricevuto il permesso era stata viva ed intensa! Nell'ora della partenza la loro gioia era oscurata dal pensiero di tanti poveri cari che non possono seguirli, e che di sotto le zolle del camposanto straniero par che gridino loro: "Ricordatevi di noi che soccombemmo nell'esilio! Ricordatevi con pietà di noi che anche morti gemiamo di nostalgia sotto questa fredda terra, su cui nessuno deporrà più nè una lacrima nè un fiore!"

14 maggio. Oggi sono stata al cinematografo colle mie scolare. Le proiezioni non erano punto adatte per una scolaresca. Fortuna che almeno hanno capito poco! Nell'accampamento non si discorre ormai più che di rimpatrio. Sulla porta della cancelleria del "Segretariato del popolo" sta scritto: "Dal 15 in poi si accettano domande di rimpatrio". Papà è in orgasmo, mamma è ansiosa. lo temo. E penso: "Quand' anche ci concedessero di rimpatriare, chi ci assicura che non abbiamo ad essere sbalestrati di nuovo dai nostri paesi? La guerra non è finita: sembra quasi che voglia cominciar adesso".

15 maggio. Stamattina due mie colleghe, sorelle, mi dissero ch'esse avevano ottenuto il permesso di ritornare con i loro genitori a Caldonazzo, dove l'una di esse era stata maestra. Erano contente, però non quanto avrebbero voluto esserlo. Stavo riordinando i miei bagagli, quando udii, dal corridoio, parlare di Roncegno. Uscii in fretta a domandare cosa ci fosse. Mi dissero che a quelli di Roncegno era venuto il permesso di rimpatriare. Non potevo crederlo e non era da credere. La notizia non era esatta. Stasera sono andata in baracca a mangiare la polenta coi miei genitori. Mamma è più malandata del solito. Devo studi armi di distrarla, di farle coraggio, di procurarle qualche boccone. Povera donna! Questa sera mi disse con un accento desolato: "Oh, nelle baracche mai più!"

16 maggio. Papà è andato al "Segretariato del popolo" per domandare del rimpatrio. Il segretario gli diede una risposta punto soddisfacente. Trovò la domanda inopportuna e voleva persuadere papà ad avere pazienza, ad aspettare, affermando che per intanto non ci sarebbero trasporti per rimpatrianti. Ma allora, perché ieri l'altro esporre quel cartello con scritto ha lettere cubitali "dal 15 in poi si accettano domande di rimpatrio? " Si vuol giocare di buffonate con chi soffre la schiavitù più obbrobriosa, qual è quella delle baracche, con chi patisce la fame, con chi a morir di fame non si rassegna? È venuta a trovarmi la mia collega che ha ricevuto il permesso di rimpatriare colla sua famiglia, ed era sgomenta perché fu avvisata che avrebbero dovuto pagarsi il viaggio, e la spesa è considerevole. Era sgomenta ed esasperata.

17 maggio. Le maestre si son fatte fotografare in gruppo. Sarà una memoria! La questione del rimpatrio si fa sempre più oscura. C'è speranza di poter rimpatriare? Sarebbe pericoloso? Si correrebbe il rischio di dover sloggiare un'altra volta? Sarebbe peggiore di qui la vita là? E d'altra parte si può vivere in questa condizione? Si può rassegnarsi a questa schiavitù? Ci sono dei momenti in cui la disperazione vorrebbe sopraffarci. Ma no. Bisogna pensare che, "l'uomo propone e Dio dispone", "che le cose possono cambiar d'aspetto quando meno lo pensiamo, e che quando la notte è più profonda l'alba è più vicina".





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25/02/2023
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