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DALLA VALSUGANA AL VORARLBERG
di Vitaliano Modena
Giunti a Pergine, trovammo una sistemazione nella zona. Mi misero a lavorare per l'Anbau, facendo un po' di tutto: l'operaia in Val dei Mocheni, la lavandaia a Sant'Orsola, la donna delle pulizie nelle baracche di S. Cristoforo, dove c'erano soldati di tante nazionalità. Con il vitto non ci trovammo bene, perché il cibo era scarso, specialmente d'inverno, e talvolta avariato. Andava meglio a partire dalla primavera, quando si poteva andare per i prati a cogliere erbe, e l'estate, allorché le piante cominciavano a dare i loro frutti.
Qualche volta riuscimmo a venire a Roncegno, nella nostra frazione, in cerca di granturco e di castagne, ma anche di biancheria. Presso la chiesetta della Sacra Famiglia ci sorpresero, una sera, i gendarmi che ci rimproverarono aspramente. Il caso volle che, proprio in quel momento, passasse l'ufficiale medico che avevamo conosciuto a S. Orsola. Lui ci difese e ci invitò alla villa Pacher, dove era alloggiato, per rifocillarci e offrirci un posto sicuro dove trascorrere la notte. La mattina seguente eravamo in viaggio di buon'ora per Pergine.
Quando mio fratello si ammalò seriamente (era già stato ferito due volte) efu trasferito dal fronte a Bregenz, la mamma avanzò la supplica di poter essere vicina al figlio per assisterlo. E così fummo tutti a Bregenz, fino alla fine del conflitto. Eravamo in un bel maso con diverse mucche; c'era tanto lavoro, ma non ci mancava nulla.
Boemia. Profughi presso i contadini.
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