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I RONER:
UNA STRAORDINARIA E INSOLITAMENTE
SFORTUNATA FAMIGLIA
dalla corrispondenza dei fratelli Roner
di Vitaliano Modena
Lazzaro Roner (n. 1845) e Appollonia Gaudenzi (Appollonia Gaudenzi era figlia di Andrea Gaudenzi e Catterina Benedetti, i quali alla Vazzena avevano messo su casa. ) (n. 1852), sposatisi nel 1876, si stabilirono come coloni alla Vazzena (La Vazzena. È un toponimo che comunemente si riferisce alla località posta dove la scoscesa valletta di San Nicolò si smorza nel fondovalle. Con questo significato generale noi lo useremo. Per essere precisi, come puntualizzano Silvia e Pia Capraro, il posto occupato dal maso abitato dai Roner era un tempo chiamato Vazzenetta, mentre il nome di Vazzena era proprio del maso antico ora dei Capraro collocato più ad est e in alto sul versante del colle. I Capraro, vicini di casa, entrano nella nostra storia perché citati nelle Feldpost dei fratelli Roner ).
La Vazzena, appartenente alla frazione e alla parrocchia di Santa Brigida, è fuori mano rispetto a Roncegno nel cui comune si trova. Dal paese vi si giunge per la "Strada dei cavai", antica comunicazione con Borgo e strada di servizio alle campagne della zona.
Là, l'azienda agricola condotta dai Roner era composta di casa d'abitazione, ricoveri per gli animali e l'attrezzatura, prati, campi, vigneti e boschi.
Lazzaro e Appollonia ebbero sei figli:
- Felice, il 16.5.1877; morì, militare, il 20.9.1918 a Pranzo.
- Luigi, il 17.12.1878; anch'egli soldato, morì poco dopo la fine della guerra, il 2.5.1919.
- Cattarina (familiarmente Catina), 1'11.11.1881; morì 1'8.11.1959.
- Giuseppe, 1'1.4.1884; morì, militare, nel "Res-spital" in Leibnik il 31.8.1917.
- Maria Franca e Anna Clementina, gemelle, il 21.7.1886; entrate ambedue nella comunità religiosa delle Suore della Provvidenza (L'ordine delle Suore della Provvidenza fu fondato da padre Luigi Scrosoppi (oggi santo) che portò a Roncegno le sue suore per assistere le persone accolte nella Casa di riposo San Giuseppe e per educare i bambini dell'asilo.) presero il nome rispettivamente di suor Scolastica e di suor Massimiliana. Morirono giovani: la prima a 31 anni il 26.4.1918, la seconda a 32 anni il 4.2.1919.
I genitori Lazzaro e Appollonia morirono l'uno nel 1923 e l'altra nel 1930.
Nella corrispondenza riguardante i fratelli Roner troviamo anche, come mittente e destinataria, zia Giovanna (Gaudenzi, sorella di Appollonia, che visse fino a 83 anni) (Un'altra sorella di Appollonia, Rosa Catterina, andò sposa a Nicolò Boccher e fu la madre di Filomena e di Giovanni Achille, l'autore del breve diario riportato nella prima parte di questo libro. Ancora: negli scritti dei fratelli Roner troviamo nominate le famiglie di Bortolo Montibeller e di Antonio Capraro residenti in quella zona. I Capraro avevano quattro figli; Silvio, pure lui citato dai fratelli Roner, in guerra fu gravemente ferito alla testa: di lui abbiamo alcune foto in questo
libro. Ritornato, Silvio continuò a vivere alla Vazzena; con Amelia Oberosler ebbe tre figlie: Silvia, Enrica Margherita e Pia.).
Se noi prestiamo attenzione alle date di morte dei Roner, notiamo che in un breve arco di tempo ne vennero a mancare sei su otto. Nel giro di pochi anni, quindi, dopo la bufera della guerra, una casa si trovò inaspettatamente attonita ed eccessiva. Solo la madre e la figlia a darsi sostegno, per un po'. Poi, unica superstite, Catina che continuò ad abitare lì dov' era nata, accolta in famiglia dai nuovi arrivati.
Erano, questi, Giovanni Oberosler e Maria Pompermaier, provenienti da Fierozzo San Felice, con cinque figli e tre figlie. Di queste voglio ricordare in particolare Coronata; a lei, stimata insegnante, mi sono rivolto perché mi parlasse della famiglia che precedette la sua alla Vazzena. La sua testimonianza mi ha consentito di scoprirne la straordinaria dimensione spirituale.
«La famiglia Roner» mi dice Coronata «era fuori del comune.
Ho conosciuto Catina come una donna particolarmente intelligente, sensibile, nobile d'animo, squisita, integerrima, ispirata a solidi valori, laboriosa e servizievole, ricca di fede. Tutto quello che faceva lo considerava un mezzo per servire Dio.
Pure i suoi fratelli, lo so bene perché me ne aveva parlato Catina, erano operosissimi, meticolosi, ordinati anche quando pareva esagerato esserlo. Erano sensibili al bello, innamorati della terra e degli animali, legati l'un l'altro da affetto profondo, guidati dalla luce dei valori religiosi.»
Anche la famiglia Oberosler, seguita ai Roner, col tempo andò a scrivere altrove altri capitoli della sua storia. Quella casa allora si chiuse e finì segnata dall'incuria e dall'abbandono.
A chi la riaprirà a vita nuova queste pagine consegneranno la memoria di tre fratelli che ne furono innamorati e se la portarono nel cuore in terra forestiera e sui campi di battaglia. E non ebbero la fortuna di rivederla più.
Lo schianto
Felice, Luigi e Giuseppe, con una chiamata improvvisa, partirono con la tristezza nell'anima pur consci di dover compiere un dovere superiore: la fedeltà al sovrano non era in discussione e alla sua volontà doveva corrispondere quella dei sudditi. Furono tradotti in luoghi estranei, privati delle tante cose che al paese davano sapore alle loro giornate; si trovarono dove nulla ricordava la terra che avevano lasciato, gli affetti, la casa abbarbicata sul pendio e i prati distesi ai suoi piedi, la propria storia, le tranquille abitudini, le strade familiari, la contrada e la sua gente.
Si smarrirono in luoghi incerti, resi grevi dagli effetti della guerra, talora inospitali e sconvolti dalla violenza, in balia degli eventi, spogliati della propria identità e dissolti in un magma ribollente di ostilità.
Papà, mamma e sorella dovettero come tutti gli abitanti sfollare da Roncegno, capitata in prima linea tra gli opposti schieramenti. Se ne andarono di casa nel 1915 poco prima che maturasse il tempo del raccolto (Lazzaro Roner si fece rilasciare il 31 agosto 1915 un documento di "legittimazione" dal Comune di Roncegno per lasciare il paese e "internarsi" con le cinque persone della famiglia. Fu tra gli ultimi atti firmati dal podestà Giovanni Froner pochissimo prima dell'incendio del paese avvenuto a metà di quella giornata e della fuga del primo cittadino verso l'Italia.) e trovarono ospitalità nel perginese: prima presso la famiglia Stefani, poi in casa Girardi a Casalino, infine a maso Moretta, dall'aprile 1916.
Felice e Giuseppe non videro la fine della guerra. I familiari non poterono abbracciarli al ritorno; non ebbero nemmeno i loro corpi, frettolosamente consegnati a terra incurante. Ne conserveranno dentro di sé i volti e le cose più belle.
Luigi provò sì la gioia di essere riaccolto dalla sua casa,ma vi giunse sfibrato. La lasciò poco dopo per il piccolo camposanto custodito dalla bianca chiesetta sul colle.
Ma i lutti della famiglia Roner sono ancor altri. Due figlie e sorelle se ne andarono in quella frazione di tempo, poco più che trentenni: Maria, suor Maria Scolastica, che prestava servizio all'ospedale San Michele Arcangelo di Pola, e poco dopo Anna, suor Massimiliana.
In meno di due anni ai genitori vennero a mancare cinque figli; a Catina tre fratelli e due sorelle.
La sorte, che fino ad allora aveva avuto il volto di madre dolce e amorosa, indossò a un certo punto la maschera della tragedia e infierì contro i giovani virgulti.
Credo non sia possibile provare a entrare nel cuore dei pochi sopravvissuti immaginandosi lo strazio della madre, la desolazione del padre che all'improvviso smarrì i fili di un sogno caro a tutti i genitori: vedere casa e terra prosperare nella discendenza, l'indicibile dolore di una sorella che, per quanto ricca di fede, si ritrovò circondata di ombre e di silenzi, accompagnata dai ricordi, i soli a penetrare la sua solitudine.
Pensando a Catina, che alla fine del conflitto s'aggirava sospesa nella sua casa troppo vuota e triste, mi sovvengono questi versi di David Maria Turoldo (David M. Turoldo, Il grande male-Poesie):
E conservava nel suo cuore
i gemiti del vento,
i gemiti del fico che batteva
per il vento alla sua porta,
tra sassi e sterpeti
e silenzio.
Le cartoline postali e illustrate
Dei Roner furono conservate: un centinaio di cartoline postali scritte da Luigi, altrettante da Felice, 160 da Giuseppe, una settantina dalla sorella Catina e altrettante da zia Giovanna; infine una ventina spedite da altri.
La maggior parte sono Feldpost, cartoline postali in franchigia distribuite ai combattenti per la loro corrispondenza.
Ma una parte furono cartoline illustrate riproducenti opere d'arte o disegni umoristici. Rappresentavano, queste, una novità interessante all'epoca. Infatti, l'industria delle immagini popolari approfittò della Grande Guerra per mettere a punto e offrire un prodotto nuovo, richiesto, improntato agli eventi che stavano coinvolgendo milioni di persone. Nella produzione destinata ai soldati di estrazione popolare (gli ufficiali ne ebbero una idonea al loro rango) veniva esaltato il sacrificio, l'amor patrio, l'eroismo e la superiorità del proprio esercito, e messa alla berlina l'inferiorità della parte avversa. Da un fronte all'altro della guerra e tra le popolazioni coinvolte era un andirivieni di cartoline militari che rappresentavano ipotetiche scene di soccorso dei feriti, ospedali da campo e crocerossine, il ritorno a casa del congiunto decorato, qualche scena della vita al fronte di proposito scevra di aspetti drammatici.
Le cartoline postali fotografiche ritraggono spesso immagini religiose o devozionali, facendo leva sulla cultura e la sensibilità spirituale di intere popolazioni. Si fece ricorso all'iconografia religiosa per ottenere salvezza nei pericoli, guarigione nella malattia, pazienza nelle sofferenze, pace nella morte.
Sulle immaginette della devozione sono riportate, accanto alle invocazioni per la pace, formule di preghiera per la patria in guerra, con la richiesta al soldato di obbediente sacrificio della vita: ne sarebbe conseguito l'onore imperituro. L'essere buon cristiano si esprimeva nell'essere eroico soldato. È ciò che studi recenti (Si tratta di vari saggi pubblicati nella Rivista di storia del cristianesimo edita da Morcelliana sul finire del 2006.) definiscono come assolutizzazione religiosa dei valori patriottici e sacralizzazione del nesso tra religione e nazione.
Una breve raccolta di cartoline illustrate spedite dai fratelli Roner è pubblicata, a mo' d'esempio, dopo questo capitolo.
Alcune particolarità riscontrate nella corrispondenza
LA CENSURA. Tra le molte Feldpost e lettere che mi sono capitate tra le mani ne ho trovate di censurate: portavano delle righe nere e dense che coprivano parole o espressioni sì da celarne del tutto il contenuto.
Che cosa veniva censurato? Ce lo dice Augusto Tommasini (Tommasini, Ricordi del tribunale di guerra a Trento 1914-1918. Fu legato a Roncegno per aver sposato una Fronero), interprete presso il tribunale di guerra di Trento: dovevano essere cancellate quelle frasi che esprimevano lamentele sulla propria condizione, sul trattamento ricevuto, o che invocavano soccorso.
UN RITARDO INSOLITO. Una cartolina scritta da Arcangelo Montibeller dalla Russia alla sorella in Boemia arrivò a Roncegno 20 anni dopo (la sorella nel frattempo era morta). La consegnarono ai parenti.
UNA CURIOSITÀ. Silvio Capraro, trovandosi, in guerra, nell'impossibilità di disporre di cartoline postali o di carta da lettera, mandò a casa un messaggio scrivendo il testo su una scorza di betulla. Quel testo giunse a destinazione ed è conservato dalla famiglia.
L'utilizzo della corrispondenza Roner
La maestra Coronata Oberosler, erede spirituale dei Roner rappresentati infine dall'unica loro superstite, Catina, conservò gelosamente per tanti anni gli scritti che essi avevano spedito quando erano militari. Saputo che stavo raccogliendo notizie e materiale riguardante la I guerra, mi parlò della corrispondenza che era in suo possesso. Decidemmo allora di incontrarci per prenderne visione. Correvano gli anni Ottanta.
Trascorremmo a casa sua diverse sere (le ore del giorno, nella bella stagione, le riservava alla cura del suo ricco ordinatissimo giardino), lei a leggere a voce alta e a commentare una ad una le Feldpost e le cartoline illustrate e io a scrivere quanto, non strettamente privato, quei molti e brevi scritti riportavano.
Quel tempo si è rivelato per me, e anche per lei perché quel plico era rimasto a lungo inesplorato, un'occasione di gradito incontro spirituale. Entrato in punta di piedi nella storia di questi fratelli alla fine mi dispiaceva uscirne, tanto essi mi erano divenuti affettuosamente familiari.
Poi, dopo anni, la decisione di fare questo libro. Da allora, però, le cose erano cambiate: defunta l'insegnante Coronata, dispersa la cospicua raccolta delle cartoline dei Roner.
Quel tesoro a lungo conservato con amore s'era dissolto; per quanto riguarda questo lavoro, era quindi indisponibile per riprendere la grafia originaria degli scritti. Ho deciso di pubblicarli ugualmente, dato che l'assoluta autenticità dei contenuti era fuori discussione, affinché non andasse perduta la ricchezza spirituale dei fratelli Luigi, Giuseppe, Felice e Catina Roner.
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