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IL CONTRATTACCO
DEL XVII° CORPO D'ARMATA AUSTROUNGARICO
di Luca Girotto
"14 aprile 1916.
Eccomi tornato alle trincee di Marter.
La truppa è mezzo morta per la fàtica, per la fame e per la sete che soffriamo da molte ore.
Abbiamo tutti nei vestiti, nella faccia, negli occhi, i segni della tremenda battaglia sostenuta (...)
15 Aprile.
Oggi tutto è calmo dopo la violenta battaglia dei giorni scorsi.
Un silenzio pauroso grava su tutta la campagna che seguita a fiorire.
Ma le case di Marter, di Brustolai, di S. Maria, di Novaledo bruciano ancora dopo il furioso bombardamento di ieri e di ieri l'altro (...). "
Il ten. Bongiovanni e la sua esausta 9^ compagnia non avrebbero comunque goduto di lunga tranquillità: la muraglia invalicabile contro la quale si erano infranti gli assalti del 12 e 13 aprile si stava trasformando in un bulldozer, destinato a ributtare gli italiani oltre il torrente Larganza e ad annullare totalmente ogni sia pur minimo progresso ottenuto nelle due sanguinose giornate.
Il colpo di maglio sarebbe stato affidato ad una parte delle forze che si stavano ammassando nelle retrovie in previsione dell'offensiva pianificata nel Trentino dal Conrad per la primavera 1916.
Tra Trento e Pergine era concentrato il XVII°corpo d'armata, la cui punta avanzata, la 18a divisione di fanteria, accampava in quei giorni nelle campagne allo sbocco della valle dei Mòcheni.
Queste truppe avrebbero dovuto rimanere celate al nemico fino all'ultimo minuto.
L'ordine era tassativo, tanto che anche dopo gli assalti della compagnia Baseggio le forze cui era affidato il presidio della linea avanzata erano estremamente deboli.
Persino i tre battaglioni della 18a divisione di fanteria inviati sul Panarotta venivano tenuti ben dietro la linea principale di difesa.
L'unico consistente appoggio che la guarnigione avanzata potè ricevere fu quello dell'artiglieria.
Non meno di 112 cannoni erano già in posizione per l'offensiva e il loro supporto riuscì fondamentale nell'arrestare le ondate d'assalto italiane dinnanzi a Novaledo e sullo Spigolo Frattasecca, nonchè nel preparare il contrattacco su monte Carbonile.
In realtà il comando dell'11a armata, cui ancora apparteneva il XVII°corpo, non vedeva grossi pericoli nell'avanzata nemica lungo la valle del Brenta, tanto da affermare che " (...) per quanto ne sappiamo, fino ad oggi, sulle capacità offensive italiane in generale ed in Valsugana in particolare, non vi è da temere da parte del nemico alcuna rapida conquista territoriale in questa direzione, anche nel caso vi si dovesse trovare solo il normale presidio di confine ".
Insomma, gli italiani non andavano presi troppo sul serio per quel po' di trambusto che si stava sviluppando lungo il corso del Brenta. Ciononostante, i combattimenti del 12 e 13 aprile costarono considerevoli perdite ed il magg. gen. Kindl, che aveva sostituito il von Sloninka al comando del settore di confine n°06, proprio la sera del 12 ordinò ai tre battaglioni in attesa a Vetriolo di portarsi più vicini alla linea di combattimento, in difesa del Panarotta.
Altri due battaglioni della 18a I.D. furono allertati presso Levico.
Siccome alla metà d'aprile, causa il maltempo appena cessato, non era ancora possibile prevedere la data esatta l'offensiva sugli Altipiani, il comando dell'11a armata decise di porre comunque fine alla persistente e fastidiosa pressione avversaria in Valsugana; a mezzogiorno del 13, esso ordinò al XVII° corpo di organizzare un breve ma violento attacco contro gli italiani, così da farli indietreggiare su Marter, Roncegno e S. Anna e a tal fine richiese la disponibilità della divisione Landschutzen ormai ammassata in Val d'Adige.
Quando i superiori comandi, non persuasi della opportunità di infliggere agli italiani una sconfitta che li facesse eccessivamente ed anticipatamente arretrare in Valsugana, negarono la suddetta divisione, il comandante dell' 11^ armata, addossandosene la responsabilità, stabilì per il 16 aprile il contrattacco impiegando la 18a I. D. .
In conformità alle disposizioni, il generale Stracker, con il grosso dell'unità e con le truppe di presidio del settore di confine n°06 in quei giorni schierate nelle postazioni di monte Broi-Frattasecca-Glockenthurm-Collo, doveva spingersi in avanti per un paio di chilometri circa, onde riconquistare la primitiva linea di avamposti.
Il generale Kindl, con il btg ciclisti e due mezzi btg della 18a I.D. appostati sul fondovalle e sulle pendici meridionali del Broi, doveva affiancare l'attacco.
Mezzo battaglione Landschiitzen avrebbe presidiato il Carbonile, giudicato di particolare importanza per ogni futura azione offensiva sull'altopiano di Sella.
I preparativi furono irti di difficoltà e richiesero tempo.
Sui monti la neve era ancora molto alta e l'artiglieria ne era fortemente ostacolata, al punto che anche la portata degli obiettivi dovette essere ridimensionata.
Su ordine del gen. Stracker il col. von Barza, comandante della 13a Gbrg, preparò per l'attacco dalla zona di val Portella i battaglioni III/bh4° (bosniaco) , IV/22° (dalmata) e metà del III/I°Landschutzen.
La loro irruzione nelle linee italiane avrebbe dovuto realizzarsi sia a nord che a sud di Glockenthurm.
Il col. Teus, comandante la 1a Gbrg., spostò i btg I/63°, III/64° (romeni) e IV/4° al Weitjoch rilevando il I/I° Landschutzen e organizzò l'azione principale, a sud del solco del Larganza, contro S. Osvaldo.
Il magg. Hildebrand portò verso est, su Garollo, la colonna meridionale costituita da I/I° e II/I°Landschutzen allo scopo di liberare completamente monte Broi dal nemico, che andava rigettato a valle.
Tre battaglioni della divisione rimanevano di riserva.
Gli Standschutzen ed i volontari dell'Alta Austria presidiavano la linea principale.
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