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LA FAME
di Vitaliano Modena
Una delle più gravi privazioni per i profughi, che alimentò in tutti un' angosciante preoccupazione quotidiana, fu la fame.
E l'approvvigionamento costituì un grosso problema cui dovettero far fronte il governo austriaco e l'amministrazione del campo.
Eppure l'inizio non si era presentato come drammatico.
Dapprima si stava abbastanza bene. Ci portavano abbondante formaggio svizzero e olandese. Qualcuno non lo mangiava e lo buttava via, sopra la cassa dei rifiuti. Lo zio lo raccoglieva e lo portava in baracca dicendo: "Varda qua, butar via 'sto ben de Dio. Ghe vegnerà ben 'nmente". E così avvenne. Con il '16 cominciò la grande fame. Nei primi tempi non si stava male, veniva buttata via anche della roba. A noi bambini davano pure cioccolata, datteri, fichi.' Il formaggio e il pane finivano più volte tra i rifiuti. Quando ci concessero di rimpatriare nel '16, avevamo con noi una scorta di aringhe che il nonno aveva messo da parte quando venivano rifiutate dagli altri baraccati.
Mitterndorf. Classe di scolari: Mario Murara è in seconda fila, il sesto da sinistra.
Nel primo periodo non si registrarono gravi carenze nella fornitura del vitto.
Inconvenienti derivavano allora, piuttosto, dal tipo di prodotti alimentari somministrati, di gusto diverso da quello dei profughi, dal modo con cui venivano cucinati (secondo la consuetudine tedesca) e dal loro cattivo stato di conservazione. Le cucine erano comuni, otto collocate nel lager vecchio per quella parte di baraccati e quattro nel lager nuovo; furono affidate alla stessa società di sussistenza tedesca che aveva provveduto a fornire il rancio ai profughi galiziani e polacchi.
I risultati di un'inchiesta promossa a Mitterndorf dalla Croce Rossa austriaca nel febbraio del '16 ammettevano "che la società che si occupava delle cucine e della confezione dei cibi non riuscì da principio a tener conto degli usi alimentari trentini.
Ma rilevava anche che per cuocere crauti e fagioli veniva usata la soda, che le aringhe erano marce, che si usava solo latte concentrato nonostante l'alto numero di bambini presenti, che si erano manifestati casi di tifo" (La città di legno.).
Gli scolari fruivano di una refezione ed erano trattati conforme alle possibilità.
Il comportamento del personale di sorveglianza lasciò a desiderare e sappiamo con quanta indignata fermezza fu disapprovato dalla maestra Boecher, testimone di quell'aspro contegno.
Anche i profughi ne conservarono il ricordo, pur ammettendo, all'occorrenza, anche la propria parte di responsabilità.
Eravamo nel refettorio degli scolari. Un giorno non mi sentii di mangiare la minestra di crauti e finsi di versarla inavvertitamente. Mi misero in castigo davanti a tutti. La mia maestra venne da me, mi fece alzare e mi offerse un pezzo di pane.
Trascorsi i primi mesi cominciò, con il '16, la fame, una fame sempre più spaventosa.
Andavamo a raccogliere i torsoli delle mele da terra. La mamma faceva la "trisota", la sera. Durante la notte ci alzavamo e la mangiavamo di nascosto. Al mattino, quando la mamma andava a prenderla, non ce n'era più. La fame era tanta, anche se, nel campo, noi avevamo il papà che si toglieva il pane di bocca per sfamarci e si dava da fare in mille modi per procurarcene. Il nonno, poveretto, raccoglieva le scorze di patate che uscivano dagli scarichi delle cucine, le lavava e le mangiava crude: era fame!
Di consueto, ai profughi veniva. servito, nell'arco di una giornata: caffellatte al mattino, una minestra con patate o fagioli o rape a mezzogiorno, una minestra la sera, una razione di pane nero.
Mitterndorf. Classe di scolari: Carlo Murara è in terza fila, il secondo da sinistra.
Due volte la settimana potevano contare sul formaggio, talvolta sulla carne di cavallo.
A colazione ci davano tè o caffè, che era acqua scura; a pranzo minestra o minestrone; a cena minestra; si poteva contare su un quarto di pagnotta per persona al giorno.
Certo è che, se la quantità del cibo era scarsa, la qualità era disumana.
Lasciamo voce ai profughi, che su questo argomento di importanza vitale hanno conservato molti ricordi.
Si riceveva una pagnotta con dentro paglia, che serviva per quattro porzioni, e un'aringa a testa. Nella minestra di ortiche si trovava pure qualche ruga. Il cibo peggiorava sempre più in qualità: ci davano perfino pagnotte con farina di castagne di cavallo. Come si andava verso la fine del 1916, ma soprattutto nel 1917, quanta fame! Sempre minestra, tante volte "de bazane de cassia, ciara, senza conzar". Magari avessimo avuto allora quello che noi oggi diamo al maiale. Il brodo era fatto con la carne dei cavalli morti di malattia e di piaghe, che dal fronte mandavano a morire nelle praterie e nelle stalle dell'accampamento. Con la "trisa", versata in una gamella tonda, si facevano piccole parti fra tutti. La minestra era acqua verde, con dentro qualche pisello. Un pezzetto di pane e di formaggio completavano il pasto. Tornata dalla fabbrica dove lavoravo, mi sdraiavo sfinita sul letto e la mamma mi diceva: "Su, da brava, non sdraiarti, ché se ti addormenti non ti svegli più". Talvolta ci portavano anche lo stoccafisso e aringhe affumicate, ma era sempre troppo poco.
Mitterndorf. Cuoche: Susanna Zottele è in ultima fila, la quarta da sinistra.
A volte si presentavano problemi di questo tipo.
Il cibo veniva portato nelle baracche con bidoni. Il capo-baracca chiedeva: minestra o polenta? Chi gridava più forte otteneva quello che gli piaceva di più, e nella baracca tutti mangiavano la stessa cosa. Tornati a Roncegno, quando la mamma incontrava il Pòz dei Coverli, diceva sempre: "Varda là quel can da l'ostrega, che 'l voleva sempre minestra! "
La necessità aguzza l'ingegno e spinge a essere più intraprendenti.
Lavoravo in cucina. Ricordo che alcuni ragazzini, poveri e affamati, si nascosero un giorno dietro una baracca attendendo il passaggio delle cuoche, che portavano fagioli o piselli (e loro lo sapevano). Quando fu il momento opportuno, uno di essi, il più franco,cacciò le mani nella pignatta, e via veloce con un pugno di fagioli, anche se scottavano. Poiché questo episodio ebbe a ripetersi, le autorità decisero che le cuoche fossero accompagnate sempre dal capo-baracca.
All'interno del lager funzionava uno spaccio; chi disponeva di risparmi portati da casa o di denaro guadagnato lavorando nelle fabbriche, poteva migliorare il proprio sostentamento, a condizione che ci fossero prodotti da acquistare.
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