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L'ATTACCO TRA MONTE BROI ED IL BRENTA
di Luca Girotto
Ore 2.00 del mattino del12 aprile: al lume incerto di una lampada ad acetilene il ten. col. Porzio impartisce le ultime istruzioni ai suoi subordinati; attorno a lui il comandante del III/83° che deve operare per l'occupazione del torrente "Rogia" nel tratto di fondovalle, quelli delle due compagnie del 1/83° destinate ad attaccare monte Broi ed il comandante dell'automitragliatrice n° 12 che, procedendo lungo la strada imperiale, dovrà appoggiare l'azione contro Novaledo.
Nei piani della 15a divo dovrebbe trattarsi di un'azione di sorpresa, da realizzare senza il supporto delle artiglierie e con il favore delle tenebre; pertanto, dalla posizione d'attesa in località S. Maria (cimitero di Novaledo) raggiunta la sera innanzi, i reparti muovono all'assalto verso le ore 4.30. Due compagnie sono in prima linea mentre una terza, è di rincalzo. La 9a /83°, già in avamposto sulla destra del Brenta dinanzi a Brustolai, movendo di conserva con le altre truppe nella valle ha per compito di puntare su Oltre Brenta e ponte del Brentone per tenere impegnate truppe nemiche colà eventualmente esistenti e coprire il fianco sinistro della colonna principale; la comanda il ten. Bongiovanni.
Ma dai caseggiati di Novaledo gli attaccanti vengono tempestivamente individuati e segnalati dalle vedette austriache, incontrando un'accanita resistenza specialmente sulla destra, alle pendici di monte Broi. L'automitragliatrice n° 12 muove da Marter verso le 5.15 ma, dopo aver oltrepassato di pochi metri la chiesetta di S. Maria, un guasto irreparabile allo sterzo ne compromette l'azione e solo con grandi difficoltà l'equipaggio riesce ad invertire il senso di marcia.
Il mezzo esegue comunque alcune scariche, di poca o nessuna efficacia, contro la linea austriaca, dopodichè si sottrae lentamente alla lotta. Mancata la sorpresa, i fanti si lanciano ugualmente in avanti, venendo accolti da un micidiale fuoco incrociato ad opera di mitragliatrici abilmente dissimulate nelle prime case del paese e sulle pendici dei monti Broi e Sollarin.
Caduti il s.ten. Rizzi (volontario di guerra, appositamente rientrato dall'America per arruolarsi) e numerosi graduati e soldati, l'azione si spegne sotto i reticolati ancora intatti.
Ma i comandi arretrati non sono soddisfatti: viene richiesto il fuoco dell'artiglieria per aprire dei varchi e, dopo due ore, i reparti sono nuovamente scagliati contro l'argine del torr. Rogia.
Alcune squadre riescono a superare i primi sbarramenti, un piccolo posto viene occupato ed i difensori massacrati a colpi di baionetta, ma è un successo effimero.
Il fuoco di fucileria e d'armi automatiche rende insostenibile la posizione ed obbliga gli italiani a ripegare circa duecento metri ad est del corso d'acqua. La resistenza avversaria sempre più intensa ha intanto costretto il comando del III/83° a chiamare in linea anche la compagnia di riserva, proprio mentre la 1a esce dalle rovine di S. Maria puntando, lungo le falde meridionali di monte Broi, sui masi "Cuco" (Erano dei casolari, non segnati nella cartografia I.G.M. attuale, collocati all'incirca alla curva di livello 750, subito a nord di q. 621, al vertice del conoide alluvionale del torrente Roggia) a nord di Novaledo.
Verso le 11.00 la 3a compagnia muove dall'avamposto di q.1100 del Broi, alla conquista della sommità di detto monte: il reparto riesce a procedere con due plotoni lungo il costone orientale fino a q.1300 ma poco dopo, preso di fronte e di fianco da mitragliatrici avversarie, è costretto ad arrestarsi.
Dalle trincee e dalle caverne di q. 1328, nonchè dal fiancheggiante cocuzzolo di Frattasecca, gli italiani risultano ben visibili, stagliati contro il nudo profilo della cresta, e subiscono gravissime perdite dovendo ben presto ripiegare sulla ridotta di q.1100.
Nel giro di due ore inizia e finisce, con 6 morti e 47 feriti, l'azione verso la vetta di monte Broi: tutte le residue speranze di occupazione dell'obiettivo saranno d'ora innanzi riposte nella già esaminata offensiva contro S. Osvaldo, che potrà eventualmente determinare la caduta del Broi per aggiramento.
Anche i reparti del fondovalle, perduta nelle azioni del mattino buona parte dei loro effettivi, debbono essere rinforzati nel pomeriggio da altri quattro plotoni.
Neppure la notizia della conquista del Carbonile da parte del II/83° riesce a risollevare il morale degli italiani: un ultimo attacco in forze viene sanguinosamente respinto verso le 15.00 ed alla sera la dislocazione dei fanti è la seguente: 9a compagnia e la sezione mitragliatrici a Oltre Brenta, 12a compagnia (più altri due plotoni) a cavallo della ferrovia dalla destra del Brenta fino alla strada imperiale, cento metri avanti Novaledo; 10a,11a e due plotoni della 4a compagnia a nord dell'imperiale fino alle falde meridionali del Broi; la 1a compagnia arroccata nel bosco d'acacie a nord/ovest di S. Maria e la 3a nelle vecchie posizioni di q. 1100 del monte Broi.
Nella notte sei nuove compagnie (due del btg alpini Intra , due del 32° e due del 31° fanteria) giungono a Marter per riprendere l'azione e procedere alla definitiva occupazione di Novaledo.
Il nuovo assalto è fissato per le prime ore del giorno 13, mentre il fuoco nemico non cessa nemmeno con il buio, provocando un'esasperante stillicidio di perdite.
Fino alla mezzanotte, nel settore d'attacco di fondovalle, l'infruttuosa operazione è costata agli italiani l ufficiale e 22 soldati morti, 8 ufficiali e 182 soldati feriti, nonchè 22 dispersi.
Il battaglione Intra, arrivato in Valsugana all'inizio d'aprile dopo quasi dieci mesi trascorsi sul monte Nero, rappresentava indubbiamente un potente strumento bellico: con i suoi veterani, truppe solide maturatesi nella dura guerra del fronte orientale, poteva indubbiamente costituire la spina dorsale della massa di fanti che il gen. Pastore intendeva nuovamente scagliare contro la linea avanzata austriaca.
Il reparto disponeva però di sole due compagnie, poichè la 112a era stata ceduta al neocostituito btg Monte Rosa e la 7a era stata inviata per lavori di fortificazione sul Salubio.
Così, all'imbrunire del 12 aprile, la 37a e la 21 a compagnia s'incamminavano per la mulattiera che da S. Giorgio, per malga Puisle, conduce a Brustolai; attraversavano poi la passerella gettata sul Brenta dai genieri per portarsi a Marter dove gli ufficiali ricevevano l'ordine di inquadrare anche i reparti di fanteria impegnati nel medesimo assalto.
Alle 3.15 del mattino del 13 iniziava il fuoco di distruzione dell'artiglieria, che cessava alle 4.00. Mezz'ora dopo, le fanterie appena arrivate e alcune delle compagnie già decimate il giorno precedente si avventavano nuovamente contro le trincee ed i reticolati austriaci. La 24a dell'Intra (capitano Zanni) attaccava lungo le falde meridionali di monte Broi, l' 11a del 310 fanteria e l'11° dell'83° lungo il conoide alluvionale di Novaledo, la 37a dell'Intra (capitano Frati) a valle della strada imperiale.
Stavolta l'impeto degli alpini riusciva, sia pure al prezzo di dolorose perdite, a trascinare gli assalitori fino nel greto del Rogia; i primi caseggiati di Novaledo, ad est del ponte sul torrente, venivano occupati di slancio travolgendo alcuni plotoni del btg ciclisti del magg. von Schonner. All'estrema destra, la 24a dell'Intra irrompeva nel trinceramento di q. 21, catturandone il presidio ma venendo immediatamente inchiodata sulla posizione dalle armi automatiche poste sul soprastante monte Sollarin: sfumava così la possibilità di irrompere da nord nelle posizioni di Novaledo, dove si sviluppava nel frattempo un furibondo combattimento casa per casa.
A fianco degli alpini, l'11 a compagnia del 310 fant. arrivata all'argine sinistro del torrente veniva improvvisamente presa tra tre fuochi: da sinistra d'infilata (poichè l'attacco a sud dell'imperiale era stato stroncato sul nascere dalla reazione avversaria), di fronte (dal trincerone austriaco sull'argine destro), da destra d'infilata (non avendo potuto le fanterie occupare il costone che dal Broi scende a q. 621).
In pochi minuti il reparto dovette lamentare 2 morti e 15 feriti, arrestandosi ove era giunto.
Lentamente, le truppe addentratesi nelle prime case di Novaledo riuscirono invece a snidarne la guarnigione austriaca, spesso con combattimenti a distanza ravvicinata.
Attacchi e contrattacchi si susseguirono fino a mezza mattina, finchè gli imperiali improvvisamente ripiegarono alla periferia occidentale dell'abitato affidando alle artiglierie il compito di neutralizzare la minaccia. I cannoni imperialregi assolsero perfettamente l'impegnativo incarico, scatenando un bombardamento incendiario che al prezzo della totale distruzione del paese rese insostenibile la situazione degli assalitori: costoro, abbandonate le magre conquiste ormai preda delle fiamme, dovettero ripiegare sulle posizioni di partenza e subito furono duramente impegnati nell'arginare il contrattacco scatenatosi tanto sul monte Broi che ai lati della strada imperiale.
A sera, a tutte le truppe del settore di Marter giunge l'ordine di ripiegare sul paese, sulla vecchia linea difensiva raggiunta in marzo.
Nonostante le affermazioni ufficiali, secondo le quali il ripiegamento si sarebbe svolto in perfetto ordine e con il recupero dei caduti e dei feriti nonchè di tutto il materiale, la realtà fu ben diversa.
Si trattò di una ritirata caotica, effettuata sotto l'incalzare dei austroungarici e tormentata dal fuoco d'interdizione del Panarotta che batteva costantemente lo stradone e la campagna tra Marter e Novaledo. "Ore 21: Tutto intorno è morte.
Le grida dei feriti sparsi per i prati e per i campi lacerano il cuore.
Come soccorrerli? Il feroce nemico spara anche sui portaferiti e sui barella ti! Alle 22 giunge l'ordine della ritirata sulle trincee di Marter.
La mia compagnia è l'ultima ad abbandonare il posto di combattimento. Faccio caricare sulle spalle dei soldati più forti alcuni feriti ed a sbalzi ci ritiriamo sotto le stelle, mentre per i campi ed i prati circostanti i fiochi lamenti dei moribondi ci agghiacciano il cuore ". (G. Bongiovanni). Il tributo di sangue di questa seconda giornata era stato altrettanto pesante di quello del 12 aprile: l' Intra aveva perso 7 morti, 36 feriti (2 ufficiali) e 10 dispersi, l'830 fanteria 23 morti (1 ufficiale) , 46 feriti (2 ufficiali) e 11 dispersi, l'11a compagnia del 310 fanteria 4 morti, 21 feriti (1 ufficiale) e 14 dispersi.
A fronte di questo massacro, la prima linea era praticamente immodifìcata; unico vantaggio: l'occupazione di posti avanzati presso masi Cucco e q.1100 di monte Broi a destra, S. Maria al centro ed Oltre Brenta a sinistra.
Nelle stesse giornate del 12 e del 13 aprile, sul versante meridionale della Valsugana, le forze italiane dapprima occupavano e poi perdevano, defìnitivamente, l'importante caposaldo austriaco del monte Carbonile, alla testata della val di Sella.
Si concludeva così, tristemente, l'offensiva primaverile della 15^ divisione. Guadagni territoriali irrisori in fondovalle, qualche avamposto austriaco occupato lungo lo Spigolo Frattasecca e a S. Osvaldo, nonchè il fallimento totale dell'azione in val Maggio ("Val Maggio era il nome italiano della val di Sella: il torrente Moggio, che la percorre, figurava infatti erroneamente come torrente "Maggio" sulla cartografia italiana dell'epoca) erano costati carissimi agli italiani.
Le perdite complessive dei due giorni di combattimento, 12 e 13 aprile, ammontavano a 9 ufficiali morti, 25 feriti e 2 dispersi, 127 militari di truppa morti, 501 feriti e 105 dispersi. Un bilancio disastroso, tenuto conto delle ambizioni iniziali, che avrebbe indubbiamente fatto rotolare qualche testa presso i comandi di divisione e di corpo d'armata anche senza le drammatiche sequele dei giorni dal 16 al 23 aprile.
Feriti italiani in attesa di venire evaquati
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