Menu principale:
LE ULTIME PARTENZE
di Vitaliano Modena
Diverse testimonianze confermano che il massiccio sfollamento dell'estate del '15 non si esaurì entro i primi giorni di settembre, ma ebbe un epilogo.
Siamo già a conoscenza che in paese, secondo le affermazioni di don Meggio, erano rimaste poche famiglie dopo il grande esodo; e pure esse, per ordine militare, lasciarono il paese, verso la metà di ottobre.
Don Clamer scrisse nel registro dei nati e dei morti: "La partenza dei due terzi degli abitanti di Marter avvenne alla fine di agosto 1915; i rimasti se ne andarono entro il 2 novembre 1915".
Un paio di mesi dopo quel fatale 31 agosto, anche gli ultimi abitanti (salvo eccezioni) di Marter, Roncegno, S.Brigida e Ronchi, che avevano fin allora potuto fermarsi, furono costretti al distacco definitivo.
Don Liberio Clamer
Dicono i testimoni: Era l'autunno del 1915, eravamo a monte con le bestie. I tedeschi erano a malga Colo; ci dicevano: ,"Volete guardare col binocolo gli italiani? non abbiate timore". Quando da quella postazione vedevano movimenti di truppe comunicavano con la Panarotta e partivano le cannonate verso la valle. Un giorno arrivarono due soldati e ci dissero di andare via. Ricordo che ci furono delle discussioni, delle resistenze, ma si doveva proprio andare. Era novembre; avevamo già raccolto le castagne, di ottima qualità; la foglia era già caduta dalle viti. I miei nonni erano ai Boccheri. Quando noi lasciammo il paese, loro si fermarono per un certo tempo; poterono raccogliere i prodotti dei campi, vendemmiare. Quindi se ne andarono. Sulla Panarotta, fra i militari, c'era anche mio padre: aveva freddo, i piedi bagnati e gelidi; la mamma gli diede calzetti e qualche altro indumento. Partimmo con più famiglie di Marter la sera della vigilia dei Santi. Trascorremmo la notte a Campiello nella stalla dei Gionghi; il giorno seguente arrivammo a Pergine. La partenza di varie famiglie del maso Sasso avvenne ai 15 ottobre. Ci fermammo a Marter quindici giorni, incerti sul da farsi. Poiché sembrava che la guerra stesse per finire, ritornammo al Sasso, per ripartire il giorno dei Morti. Sul carro c'erano i bambini più piccoli. Pioveva, era notte. Per strada raggiungemmo la mamma dell'Ettore Crozzer che teneva in mano una torcia della chiesa. Tutti seguivano quella luce. All'inizio di Levico ci fermammo. I soldati tedeschi si misero a bestemmiare per quella luce che era imprudente palesare. Munta la vacca che aveva tirato il carro fin lì, ci apprestammo a dormire nella stalla in diciannove: dodici bambini, io ero la più grande, quattro donne e tre uomini. A Pergine ci rifugiammo sotto i portici, in attesa di una sistemazione; un soldato ci portò una pagnotta. Ci ospitarono un po' qua e un po' là per quattro, cinque giorni. Cercammo alloggio anche in Piné; niente. Allora i soldati ci misero in un vagone e via. Era il 13 ottobre 1915. Da Torcegno arrivarono a Ronchi alcune pattuglie di soldati italiani. Ci diedero l'ordine di sgomberare e di trasferirei in Italia; avrebbero atteso per accompagnarci. Ma come potevamo noi andare in Italia se i nostri familiari erano militari austriaci? Il papà lavorava sulla Panarotta, così pure mio fratello, e lo zio era al fronte. Mentre queste preoccupazioni angosciavano la mamma, i soldati furono avvertiti, da uno di loro che stava osservando con il binocolo, che sulla strada del fondovalle erano in transito dei carri di profughi che procedevano in direzione di Pergine.Immediatamente si precipitarono giù. Noi ci affrettammo a finir di preparare i fagotti. Lasciati liberi il maiale e l'uccello che era in gabbia, ci avviammo con le mucche e le pecore. Mia sorella portava un fagottino con la bambola, io avevo la cartella con i libri. Salendo la montagna, cercavamo di stare sempre nascosti fra alberi e cespugli per il timore di essere raggiunti dai soldati italiani. Passati gli Auseri, ci sentimmo più tranquilli. A Compo le pecore di mio cugino, che era davanti, si sparpagliarono per il prato. Immediatamente cominciarono le cannonate. Davanti e attorno a me volavano le schegge come corvi. Mio cugino sparì. Lo rividi soltanto a guerra finita. In quella situazione non sapevo più cosa fare; mi sentivo oltretutto responsabile degli animali. Gli altri erano dietro di me, nascosti fra gli alberi con i loro fagotti e le gerle. Una scheggia rasentò la zia; questa tirò fuori la statuetta della Madonna raccomandandosi a lei. Di lì a poco mi vidi venire incontro soldati tedeschi che avevano il comando a Serot. Ci invitarono a fermarci alle Pozze per trascorrervi la notte. Chiusi gli animali nella stalla, sistemammo le cose nella grande soffitta dove c'era ammucchiata diversa roba lasciata dai proprietari. Ricevemmo la cena dai militari presso la loro cucina delle Prese. La mattina dopo, dalle Pozze salimmo verso la Panarotta accompagnati dai soldati.
Don Antonio Bampi, responsabile della cappellania di S. Brigida, venne arrestato, come sappiamo, il 23 ottobre e internato a Katzenau.
Racconta il Tommasini nei suoi ricordi: "In novembre del 1915 Piccolrovazzi di Rovereto mi avvertì di un fatto allarmante: avevano arrestato, per spionaggio, don Antonio Bampi di Roncegno, accusato di aver ospitato soldati e ufficiali italiani non solo ma d'aver prestato loro un binoccolo; per osservare il nemico dal cimitero di S. Brigida presso Roncegno.
Nel suo esame egli diceva di sapere che Roncegno sarebbe stato occupato presto dagli italiani, perché Froner, il podestà, in una sua lettera scritta da Borgo (occupato già dagli italiani) e diretta ad un rappresentante comunale, diceva, fra il resto, che fra poco a Roncegno sarebbe sventolato il tricolore ...
Piccolrovazzi piano piano attenuò l'affare Froner, aiutò don Bampi e riuscì a farlo internare senza processo, che se avesse avuto luogo, non so come l'imputato se la sarebbe potuta cavare".
Don Antonio Bampi.
Secondo la memoria della gente del posto, c'èrano, a quel tempo, pattuglie che andavano e venivano, tedesche e italiane. Un giorno alcuni tedeschi, che rientravano da Borgo per la strada dei "Cavai", cantavano. A S. Brigida, sul sagrato della chiesa, c'era una pattuglia di italiani. Questi fecero fuoco sui nemici, giunti a tiro proprio ai piedi del colle, colpendone uno.
Ne seguì la fuga. Salita di nascosto la Laita, i tedeschi aggirarono la canonica e la chiesa, si appostarono e fecero fuoco sugli italiani che, per salvarsi, saltarono dal muro. Don Antonio era con loro. Ritenuto collaborazionista, venne arrestato. Don Bampi riprenderà la cura d'anime a S.Brigida nel 1919 in qualità di parroco e la manterrà fino al 1933. I miei familiari erano masadori del barone Hippoliti (oggi maso dei Gotati). Lo furono per più di cent'anni, dal 1834 al 1940. Noi, papà, mamma e cinque figli, lasciammo il maso, ma la nonna e la zia non vollero seguirci e si fermarono il più possibile. Poi, quando ormai era troppo rischioso vivere qui, raggiunsero Pergine e vi rimasero tutta la guerra.
Alcune persone, anziane soprattutto, non riuscirono ad affrontare il dramma dell'abbandono della casa, del paese, dei loro morti, delle abitudini quotidiane, della speranza di finire in pace gli ultimi giorni.
Soprattutto per la salute malferma e l'età avanzata, alcuni accettarono di mettere a repentaglio la vita piuttosto che lasciare la propria casa, e vi rimasero nascosti.
Nel novembre 1915, il maggiore Baseggio (Cristoforo Baseggio, La compagnia arditi "Baseggio", Venezia, Istituto Editoriale Veneto, 1929.) compì con i suoi arditi alcune scorrerie.
In una di queste, notturna, dopo aver raggiunto Torcegno, arrivò nella zona di S. Anna, scendendo poi quel versante e incendiando, strada facendo, una ventina di baite. "Verso le tre l'intera montagna fu coperta di fiamme altissime e di dense colonne di fumo che vorticosamente pareva volessero raggiungere il cielo".
La compagnia puntò poi verso Roncegno.
"Dopo mezz'ora di discesa precipitosa ci fermammo avanti ad una casa; dalle fessure delle finestre ci parve vedere una luce: alt! Quattro arditi avanzano, pugnale e bombe alla mano, sfondando la porta a calci di fucile, entrano guardinghi: al di fuori noi attendiamo in silenzio pronti all'azione.
Ecco, un ardito esce ridendo, hanno trovato in un letto abbandonato due povere vecchie novantenni, quasi morte dalla paura; erano rimaste nella loro casa quando la popolazione aveva abbandonato il paese e vi aspettavano, in rassegnazione, la morte. Le confortammo, donammo loro dei viveri e proseguimmo a valle".
Gruppo Alpini di Roncegno – Piazza Achille De Giovanni 1- 38050 – Roncegno Terme – (Tn) P.IVA/C.F.90012350220