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L'OSTACOLO DELLA LINGUA
di Vitaliano Modena
Quale impedimento costituisca la non conoscenza della lingua è facilmente comprensibile.
Vi furono dei fortunati, per quest'aspetto, che poterono contare su connazionali che sapevano districarsi nell'uso della lingua tedesca e quindi erano in grado di stabilire un dialogo immediato con la gente del luogo e con le autorità.
La mamma conosceva bene il tedesco, interveniva per ogni necessità e scriveva suppliche per tanti bisogni. Un giorno le capitò di dover assistere uno dei nostri anziani in punto di morte. Chiamò il prete: questi s'affrettò, ma non conosceva la nostra lingua. Che fare? Con la mamma, il sacerdote s'accordò in questo modo: lui avrebbe rivolto delle domande al morente, lei le avrebbe tradotte; se il malato si sentiva in colpa, avrebbe stretto la mano al confessore. Così il vecchietto morì con il conforto dei sacramenti.
Nei primi approcci e nelle relazioni sociali con la gente del luogo riferite particolarmente al periodo iniziale, ognuno cercava di esprimersi nel modo più naturale, cioè a gesti; ma nello stesso tempo era impegnato da subito ad apprendere il maggior numero di parole che si riferivano a generi alimentari, oggetti, utensili, persone, luoghi..., e a costruirsi un vocabolario minimo di parole e frasi capaci di favorire i rapporti e di far conseguire lo scopo di approvvigionarsi.
Si memorizzarono facilmente termini come:
CHLEBA=PAGNOTTA, MILKO=LALLE, BRAMBORA=PATATE, VODA=ACQUA, CAJ=TE', DRIVI=LEGNA, KRÀVA=MUCCA, KOZA=CAPRA, KUN=CAVALLO, KARTÀC=SPAZZOLONE, PUTYNKA=BACINELLA, KLUK=RAGAZZO, PAN=SIGNORE, NEMÀME=NON NE ABBIAMO, DES PRYC!=VA'VIA!
Le occasioni per apprendere si trovavano soprattutto nei contatti con le famiglie ospitanti e quelle vicine di casa, con i bottegai, con i padroni e i compagni di lavoro.
Favorite a questo riguardo erano le nostre ragazze in quanto s'impara in breve tempo quando si è nella servizio presso le signore boeme: la lingua necessità di farlo e si è a contatto con persone cò1te e disponibili a favorire l'apprendimento.
Molti dei nostri s'impadronirono così bene del boemo e del tedesco, da essere in grado di ricordarsi, a distanza di settant'anni, non solo parole o frasi, ma anche preghiere e modi di dire. Alcuni di essi riuscirono a parlare il cèco e il tedesco correntemente, arricchendosi di possibilità culturali per tutta la vita.
Boemia. Famiglia Cipriani: Giuseppe con la moglie Maria Lise e i figli Alfonso, Arcangelo (nato là) e Primo.
La prima difficoltà che trovammo fu quella della lingua. Ci si comprendeva a gesti. Ricordo che proprio nei primi giorni venni mandato presso una signora a prendere delle uova, ma avevo dimenticato la parola da dire, allora mi accoccolai e feci coccodè. Un po' alla volta, però, imparai diverse espressioni boeme e già me la cavavo abbastanza quando venni richiesto in servizio dal capocomune. In quella casa, oltre a prestarmi in tante piccole attività, dovevo frequentare i "suoi due figli con lo scopo di insegnare loro l'italiano. Chi trasse maggior profitto dagli incontri fui io che imparai perfettamente il boemo, di cui ricordo ancora molto. Mi recai un giorno con una zia a Praga perché doveva ritirare il sussidio per il marito militare. Negli uffici ai quali mi rivolsi non credevano che io fossi italiana, perché parlavo perfettamente il boemo. Così mi presi i. complimenti.
In una delle sue tante lettere scritte dopo il rientro a Roncegno dei profughi, una signora boema raccomanda pressappoco questo alla giovane Maria: "Da noi hai imparato molto bene il boemo.
Ama la lingua della tua terra, ma non dimenticare la nostra, perché siamo tante volte uomini quante lingue conosciamo".
Avvantaggiati furono anche i bambini che trovarono nel gioco occasioni di parlare e di confrontarsi, e nella scuola la necessità di esprimersi e comprendersi (con le immancabili eccezioni, come abbiamo già visto e troveremo anche più avanti).
Noi bambini eravamo sempre insieme a quelli boemi, tutto il giorno: a giocare, con le capre, a scuola. Imparammo meglio il boemo che l'italiano, tanto che anche tra fratelli parlavamo sempre in boemo. E quando si rientrava la sera, ci pareva perfino strano sentire i nostri parlare in modo diverso.
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