Menu principale:
"SON PRESTO OTTO MESI CHE DORMO VESTITO, COLLE SCARPE AI PIEDI..."
LUIGI RONER
dalla corrispondenza dei fratelli Roner
di Vitaliano Modena
Durante il servizio militare Luigi ricevette una medaglia con l'effige di Francesco Giuseppe a ricordo delle grandi manovre tenutesi a Romeno nel 1905. E un premio per il tiro al bersaglio gli fu assegnato nel 1916 mentre si trovava al campo. Di ciò era orgoglioso.
Arruolato nella Landsturm Infanterie (I regg. 6a comp. I Zug, poi II Zug), partì da Roncegno il 20 gennaio 1915, a 36 anni, e si trovò ben presto in Galizia.
La maggior parte della corrispondenza spedita da Luigi ha come principale destinataria la sorella Catina. Ma ve n'è anche per altri familiari.
Senza dilungarsi in particolari, Luigi nei suoi scritti poneva l'accento sui gravi pericoli che minacciavano continuamente lui e i compagni, sulle difficoltà e i disagi patiti, sulle lunghe marce di trasferimento:
«Non mi faccio più compassione delle vite dei santi, perché abbiamo provato anche noi la nostra parte.»
Era infatti venuto a trovarsi nel cuore di operazioni belliche di enorme entità: l'offensiva austro tedesca dell'estate del '15 e quella russa dell'estate 1916. Eppure mai vacillò la sua fedeltà all'imperatore e la sua avversione per gli italiani.
Il 25 luglio 1916 fu per lui un giorno cruciale: lo scoppio di una granata lo ferì alla testa e lo seppellì fino alla cintola; di lì a poco fu fatto prigioniero. Luigi scrisse alla cugina Filomena: «Attraversai la Russia con la testa fasciata; durante il viaggio venni curato più volte dalla Croce Rossa russa e in breve fui ristabilito.» E concluse: «Cara cugina dimmi dove sarà quella tanto sospirata pace! Pare che non ci fosse più Dio. »
Con la prigionia la vita cambiò in meglio, per via del cibo che non mancava, per l'ospitalità ricevuta, per il rapporto con la natura di cui poteva godere, per il rispetto della gente. Ma proprio allora un grave incidente nel bosco durante un taglio di piante sconvolse la sua serenità e lo costrinse a una lunga sofferenza. «Devo dirti [alla cugina Filomena, il 4 giugno 1917] che quest' inverno me n'è successa una, io credevo ormai di dover lasciare le mie ossa in queste terre, ai 22 febbraio mentre stavamo lavorando nel bosco che c'era un metro di neve e 25 gradi di freddo, accidentalmente mi cadeva sopra la schiena una grossa pianta, subito i miei compagni mi hanno portato dal dottore e poi al quartiere, non puoi immaginarti i dolori che ho sofferto ... »
Fu a Linz negli ultimi mesi di guerra, quando lo sfascio dell'impero era ormai evidente anche nella quotidianità della periferia.
Da persona comunicativa qual era, Luigi manifestò con vivacità i suoi sentimenti nei confronti della realtà a cui era costretto: le notti inquiete, l'infestazione di pidocchi «tanti e di tutti i colori», la trepida attesa serale della posta, la paura di restar vittima dei violenti combattimenti, il tempo della prigionia.
Ma di Luigi veniamo a conoscere anche la sua fiducia in Dio e nella Madonna «che difende e protegge i soldati austriaci», l'attesa ora fiduciosa ora sfiduciata «nel tanto desiderato giorno della pace che tutto il mondo farà una grandissima festa.» E ancora il suo attaccamento alla casa, ai terreni e ai raccolti, alle vigne, e soprattutto alle api «che ho sempre in mente.»
Rientrò dalla guerra in precarie condizioni di salute: gli incidenti subiti avevano lasciato il segno. Morì il 2 maggio 1919 con il conforto dei familiari, almeno questo gli fu concesso. Trovò sepoltura il giorno seguente nel minuscolo cimitero della sua Santa Brigida.
LUIGI RONER
DAGLI SCRITTI
[1915]
19 aprile. Dopo la mia partenza ho ricevuto soltanto una cartolina da te, che portava la data del 4 agosto; io te ne ho spedite tante e non so se le avrai ricevute. Avevo sentito dire che le poste erano libere per la Valsugana, ma ora ho inteso che questo non è vero niente e te le mando per mezzo della zia Giovanna. Oggi ne mando una a te, una ai genitori e l'altra al fratello Giuseppe.
Cara Catina, vorrei pregarti se puoi spedirmi un pacchetto di cartoline Feldpost con due buoni lapissi con copripunta di metallo.
Scrivimi di frequente e a lungo. Le notizie puoi farmele avere per mezzo di Pietro Rozza, di Roncegno, assistente in gendarmeria.
19 aprile.[ Ai genitori] Spero che avrete potuto, anche se con grande stento, lavorare le campagne; spero che l'entrata sarà abbondante e questo avrei piacere di saperlo.
E con le mie api, come è andato il raccolto? Hanno sciamato molto? Avete potuto raccogliere gli sciami? Ho tanto pensato che questi potessero andare perduti.
Cari genitori, domani 20 aprile sono tre mesi che sono partito da voi, e mi pare un anno.
Qui è sempre freddo come il mese di novembre. Spero che la pace sia vicina e nel prossimo inverno di essere a casa in compagnia vostra.
Non prendetevi afflizione per me; pregate e replicate: Dio sarà con me.
2 settembre, Galizia. Devo dirti che ho cambiato reggimento e non mi trovo più assieme a Giuseppe Capraro, mi trovo assieme a due della montagna e a due borghesani: un certo Paternolli Albino e un Dalledonne.
Dopo che ho cambiato reggimento ho pochissimo tempo da scrivere. Cara Catina, scrivimi di frequente e nota bene la mia nuova direzione.
2 settembre, Galizia. Carissimi genitori. In agosto vi avevo spedito alcune lettere e cartoline dirette alla posta di Roncegno; qualcuno diceva che le poste sono libere, invece mi son venute tutte di ritorno [Roncegno era stata evacuata il 31 agosto]. Dunque devo spedirvele per mezzo della zia Giovanna che procurerà tutti i mezzi per farvele avere. La zia Giovanna mi scrive di frequente e mi ha mandato tante cose. Ella si disturba anche troppo per me, certamente le sarò obbligatissimo.
3 settembre, Galizia. Caro fratello, da pochi giorni siamo sempre in marcia ad inseguire i russi che fuggono precipitosi (Riuscita la grande offensiva austro-tedesca sviluppatasi dal maggio al settembre del 1915, i russi dovettero rinunciare a un vastissimo territorio che avevano conquistato in Galizia nel 1914 e nella primavera del 1915 ritirandosi ad oriente per centinaia di chilometri e perdendo un'enorme quantità di uomini e di materiale bellico.).
10 settembre. Cara sorella. Ora sarebbe il tempo di estrarre i telaietti delle api. Se non l'avete fatto, mettete li nella camera ma non ammucchiati, che si possano asciugare bene altrimenti ammuffiscono. Lasciateli là una settimana all'aria poi metteteli negli armadi e dategli una buona solfrata, che ripeterete ogni due o tre settimane acciocché non regnino le tarme. Se non sapete come fare domandate informazione a don Antonio (Don Antonio Bampi, il parroco di Santa Brigida. Arrestato nell'autunno del 1915 con l'accusa di aver ospitato militari italiani e di aver prestato loro un binocolo per osservare il nemico dal cimitero di Santa Brigida, riuscì a evitare il processo ma fu internato a Katzenau.), anzi riveritemelo tanto.
10 settembre. Carissimi genitori, l'Albino Paternolli che fa il tessaro, è proprio un vero amico. È fino da Linz che dormiamo insieme e adesso siamo più che fratelli. Egli ha pensato di mandare a voi una lettera, se potete fargliela avere ai suoi figli; gli ha scritto tante volte e ha ricevuto poche notizie.
Dunque vi prego, fate il possibile di consegnare la sua lettera ai suoi figli e se vi è possibile fatevi dare loro notizie e indirizzatele a me.
Non prendetevi tanta afflizione per me che Iddio mi proteggerà; pregate e tornate a pregare e vedrete che tutto andrà bene.
18 novembre. Sul campo. Carissima sorella Catina. Mi rincresce molto sentire che avete dovuto partire da casa: ebbene, ci vuoi pazienza, almeno potremo scriverei, dopo tanto tempo che non sapevo più niente di voi. Io mi trovo sano; più che mi fa paura è l'inverno. Qui è già caduta la neve e soffia un vento freddissimo, sempre, giorno e notte. Cara Catina, ti pregherei se tu potessi in qualche maniera spedir mi due paia di calzetti di lana, possibilmente grossi e alti di gamba. Denaro intanto non mi occorre, perché qui sul campo non si trova niente da comprare.
Qui adesso parlano appieno che in breve ci sarà la pace.
21 novembre. Quando mi scrivi fammi sapere se avete potuto raccogliere tutte le entrate prima di partire: il granoturco, le patate, la vendemmia e così via. Ho sempre paura che vadano distrutti gli alveari che mi costano un capitale: come si trovavano alla mia partenza valevano più di 600 corone.
Se avessi la grazia di tornare, mi rincrescerebbe molto non trovare più nemmeno il posto; ma speriamo di no. E la Mosca, l'avete ancora? E il mio fucile, dove si troverà?
5 dicembre. Sul campo. Carissima sorella Catina. Godo al sentire che siete tutti sani e che sperate in una pace vicina. Anch'io con l'aiuto di Dio mi son sempre conservato sano e difeso da ogni pericolo. Più di una volta potevo venire colpito e mai mi è successo. Mi hanno traforato perfino il mantello al braccio destro, senza farmi alcun male. Il giorno 30 agosto è stato un giorno impressionante, ci ricorderemo certo per tutta la vita. La Vergine dal Cielo ha operato grandiosi miracoli sopra di noi, difende e protegge i soldati austriaci.
11 dicembre. Carissima sorella Catina. Ho ricevuto i calzetti che mi hai mandato, e ti ringrazio tanto. Se tu potessi spedirne un paio per un certo Dalledonne di Borgo, che si trova nel bisogno; è del tutto privo di calzetti e non sa dove rivolgersi, perché con la sua famiglia non ha nessuna relazione.
Siamo amici, dormiamo a fianco. Certo tu faresti una carità grande aiutare i soldati sul campo.
Qui corre voce che partiamo, e per dove non lo so. Il Silvio Capraro, dopo che è arrivato da queste parti, mi ha scritto un paio di volte, ma io non posso dire se si trova vicino o lontano da me.
16 dicembre. Sul campo. Quest'anno le feste di Natale dobbiamo passarle al campo. Non avremmo mai creduto che la guerra durasse fino ad ora. Sono ormai sette mesi che mi trovo sotto le armi e da tre mi trovo in Russia. Quanto durerà ancora? Spero che verrà presto il giorno di ritornare a casa.
Ti mando i miei più sinceri auguri per le feste natalizie e buon Capodanno a tutti.
22 dicembre. [Alla cugina Filomena] Mi dispiace molto al sentire che mi hai spedito un pacchetto a nome del caro Luigi, devo dirti che non l'ho ricevuto, anche il Giovanin mi scrive d'avermi spedito un pacchetto, neanche quello ho avuto la grazia di riceverlo, ne vanno perduti diversi anche ai miei colleghi, mi dispiace assai questa cosa, perché mi trovo al bisogno, e se va così ti consiglio di non spedir mi più nulla e si finirà anche la guerra. Io da tre mesi mi trovo in Russia.
24 dicembre. Natale al campo. Devo dirti che non ho ancora ricevuto il pacchetto; ormai è già andato perduto. Mi dispiace tantissimo, specialmente per i calzetti del mio amico, che aspettava con le braccia aperte.
Anche Giovannino e la Filomena Boccher da Mitterndorf mi scrivono di avermi spedito dei pacchi, che non ho avuto la grazia di ricevere. Se è così non domando più pacchi a nessuno. Auguri per il nuovo anno. Ti saluto assieme ai genitori.
[1916]
7 gennaio. Dal campo in Russia. Ti ho già scritto che non ho ricevuto i pacchi che mi sono stati spediti. [... ] Quella benedetta pace che tanto si aspettava per Natale! Ora si incomincia a perdere le speranze. Se Iddio non ci aiuta siamo perduti.
15 gennaio. Stiamo aspettando sempre, di giorno in giorno, quella benedetta e tanto desiderata pace. Son presto otto mesi che dormo vestito, colle scarpe ai piedi e con il berretto in testa. Il nostro cuscino è la canistra; dormiamo con le orecchie aperte come una lepre, bisogna esser sempre pronti, se chiamano all'armi bisogna balzare di tutta fretta. Con tutto ciò si dorme sempre poco, i pidocchi lasciano una smania per tutto il corpo, che si gratta tutte le notti. I pidocchi si moltiplicano a meraviglia, se ne trovano una trentina al giorno nelle monture, ce ne sono di bianchi, di neri, di grigi e di rossi, una vera porcheria.
18 gennaio, Russia. "Sant'Antoni sera i coqni"; li serra davvero: fa freddo, ma neve non ce n'è.
Se senti qualche buona speranza, fammi sapere.
25 gennaio. Dal campo. Devo dirti ancora che siamo preparati per partire da qua, per dove non lo so. Forse ci mandano su qualche altro fronte: non si sa come andrà; ti scriverò quanto prima.
Intanto preghiamo e fiduciamo in Dio.
30 gennaio. Dal campo. Ho sentito con piacere che siete tutti sani e che sperate di andare a casa presto. Qui non si sente più parlare di pace, non si sa com'è. Noi siamo ritirati dal posto dove da cinque mesi eravamo. Siamo partiti ai 27 e ci siamo ritirati circa 10-12 chilometri in un paese, in riposo per alcuni giorni. Poi si teme di venir trasportati in Serbia. Ti scriverò ancora innanzi partire, oppure durante il viaggio. Ho sentito che Giuseppe Capraro è ferito al braccio destro, può essere la sua fortuna. Il Pice [Felice] mi ha scritto ieri che è sano e che cambia posto anche lui.
3 febbraio. Sul campo. Noi siamo ancora qui in riposo, ma dobbiamo andare presto in trincea, cioè sul fronte, non dove eravamo prima, andiamo in un posto più pericoloso, dove i Russi tentano di continuo, giorno e notte, di dare l'assalto al nostro fronte. Io fino a ora ho sempre avuto fortuna, e spero che Iddio e la beata Vergine mi proteggeranno anche per l'avvenire. Il Giuseppe Capraro mi ha scritto ieri, dice che si trova in Moravia, con una leggera ferita al braccio destro.
5 febbraio. Dal campo in Russia. Anche noi si discorre tutti i giorni che entro il mese di marzo la guerra deve essere finita; altrimenti, se non si può seminare le campagne, verrebbe una fame accanita. Anch'io non vedo il momento che venga la pace tanto sospirata. Da nove mesi in qua il purgatorio l'abbiamo fatto e il paradiso è guadagnato. Non mi lascio più far compassione delle vite dei santi, perché abbiamo provato anche noi la nostra parte. Chi non l'ha provata non può immaginare. Specialmente durante le lunghissime marce della Galizia, molte volte abbiamo invocato Dio, ad alta voce, che aprisse gli occhi verso di noi poveri soldati e che avesse misericordia.
8 febbraio. Dal campo. Sorella amatissima. Noi saremmo stanchi e sfiniti, e aspettiamo sospirando il giorno della tanto angosciata pace. Se non viene entro il mese di marzo, poveri noi. Speriamo che tutti i governi siano stanchi di continuare la guerra e si diano la mano di pace.
La zia Giovanna mi ha spedito altre 20 Feldpost e spero, con queste, di averne fino al termine della guerra.
Il tempo è abbastanza buono finora, ma forse quello cattivo arriverà più tardi.
10 febbraio. Dal campo. Carissima sorella. Ieri ho ricevuto tre cartoline: una tua, scritta in data 3 febbraio, una del Pice e l'altra del Carlo Capraro.
La posta arriva da noi la sera di notte, circa alle 8: tutti in quell'ora aspettiamo angosciati le notizie delle nostre famiglie, dei nostri parenti e amici. Tutti scrivono che si aspetta una pace vicina.
Noi, a dire il vero, siamo stanchi e sfiniti, abbiamo perduto tutte le forze; si annuncia ogni giorno una fila di ammalati, ma ne vengono passati pochi.
La greppia è un po' alta, e pagnocca non se ne trova da comperare, e nessuno ne avanza.
14 febbraio. Dal campo in Russia. Amatissima sorella. Con l'aiuto di Dio, dopo tanti strapazzi e tante sofferenze patite al campo, mi trovo ancora in perfetta salute, e non vedo il giorno di poter arrivare a casa per mangiare a sazietà, fossero anche patate tre volte al giorno.
19 febbraio. Dal campo. Amatissima sorella. Ti prego, se hai comodità, scrivi almeno ogni tre giorni, che aspetto con ansietà. [... ] Domani, 20 febbraio, son già nove mesi che sono partito da casa e sette mesi e mezzo che mi trovo al campo. A dirlo si fa presto, ma a farli sono lunghi e penosi.
22 febbraio. Dal campo. Non passa ora, di giorno e di notte, che non pensi alla Vazzena, e con grande speranza di poter ritornare ancora, e trovare ancora le cose in ordine.
Fammi sapere del nostro fratello Giuseppe, se ha dovuto consegnarsi e dove si trova.
Qui ora fa molto freddo, ma speriamo che non faccia a lungo così.
Addio, cara sorella, a guerra finita ci rivedremo.
24 febbraio. Dal campo. Devo annunziarti che col mese di marzo andiamo per i nove mesi di campo; in questo mese speriamo di ricevere 21 giorni di permesso per venire in patria. Bello sarebbe poter andare a casa nostra, ma se non si può, pazienza; spero almeno di poter arrivare fino a Pergine.
28 febbraio. Dal campo. Come ti ho già scritto sull'ultima cartolina, forse in questo mese riceviamo alcuni giorni di permesso. Non so se potrò arrivare fino a Pergine, perché il viaggio è troppo lungo e gli italiani sono vicini. Bello sarebbe poter arrivare fino laggiù, alla Vazzena.
2 marzo, giovedì grasso. Dal campo. Ora sono le dodici di notte, a quest'ora ti scrivo una cartolina al lume di candela.
Ti avevo scritto del permesso, ma ora devo notificarti che fino a nuovi ordini non si può oltrepassare Innsbruck. Quelli che hanno le famiglie nell'interno, come nella Moravia, se non succede altro, domani partono in permesso.
L'altro giorno ho ricevuto il premio per il tiro al bersaglio.
17 marzo. Dal campo. Sento, dalle tue cartoline, che il nostro fratello Giuseppe si trova col Silvio Capraro e il Giovannino.
Domani andiamo sul fronte, che credo pericoloso, ma spero che nulla di male succederà.
24 marzo. Dal campo. Ti faccio sapere che da alcuni giorni mi trovo al fronte, e c'è poco da ridere. Se Dio non ci protegge, è una cosa seria. Spero di venir deliberato presto da queste terre; rimanere qua è una vera malattia.
Io bramerei molto di poter venire a trovarvi, ma se non vengono aperti i passi per il Trentino è inutile che prenda il permesso. Una parte di coloro che hanno le loro famiglie fuori per i tedeschi sono già andati in permesso, e presto ne andrà un'altra parte.
26 marzo. Dal campo. Ieri sono partiti diversi italiani del mio Zug per andare in permesso. Ai 7 di aprile ne partiranno altri: con questi ci sarò anch'io, ma non so se si potrà venire in Tirolo. Questo sarebbe il mio grande desiderio. Se non potremo venire da quelle parti, ci uniremo alcuni amici e andremo in qualche città per passare alcuni giorni.
Credo che il vitto sarà carissimo, ma in qualche maniera si farà. Per i 20 giorni del permesso riceviamo 60 corone dal governo, e sono quindi 3 corone al giorno. Qualcuno dice che per mangiare bene occorrono sei-sette corone; ma insomma tutti aspettano il giorno di partire.
2 aprile. Dal campo. Ti avevo già notificato che da alcuni giorni mi trovo al fronte, dove i Russi si trovano a pochissimi passi di distanza, ma forse domani veniamo cambiati.
7 aprile. Dal campo. Aspetto sempre la nuova che avete potuto andare a casa. Sarei molto curioso di sentire se gli italiani avranno fatto disordini in casa nostra o se c'è ancora tutto in ordine. Cosa diventerà dei nostri vigneti se resteranno incolti? Dopo tante fatiche che abbiamo fatto! E le mie api, che le ho sempre in mente! Come si trovavano alla mia partenza valevano più di 600 corone, e senza dubbio gli italiani le avranno distrutte per gustare il miele. Se mi risparmiassero almeno le arnie. Se avrò la grazia di ritornare ancora, in qualche modo forse potrò avere qualche sciame.
Se riceviamo il permesso, andremo alcuni amici fino a Linz per passare alcuni giorni di riposo: il Bepi Capraro che si trova colà mi aspetta.
8 aprile. Dal campo. Devo dirti che ho cambiato compagnia; ora mi trovo alla VI, II Zug.
La Pasqua l'abbiamo ricevuta la domenica dell'ottava (La festa liturgica di Pasqua si celebrò il 23 aprile), sul fronte in prima linea, in una caverna profonda sotto terra detta salvataggio, nella quale si va quando tira l'artiglieria nemica.
12 aprile. Dal campo. Speravo di poter venire in permesso a trovarvi, ma inutile: in Tirolo non si può venire fino a nuovi ordini. Speravo anch'io di ricevere un mese di permesso in assistenza per lavorare le campagne, ma, disgraziati, le campagne andranno in miseria e io resterò al campo fino a guerra finita. Ma si spera che non potrà andare tanto più in lungo; preghiamo il Cielo che affretti quel tanto desiderato giorno che tutto il mondo farà una grandissima festa. Per i soldati al campo sarà certo una gioia straordinaria, di aver terminato le tribolazioni.
14 aprile. Pasqua al campo. Sento con piacere che sperate di ritornare a casa presto; questo sarebbe il mio grande desiderio che poteste andare a casa almeno voialtri, perché ora è il vero tempo di seminare almeno un po' di verdure.
Le viti ormai resteranno incolte; e dovrebbero essere in piena vegetazione. Ebbene, pazienza, senza vino si può vivere, basta poter ritornare sani e salvi.
Io sto bene, ma di qua partiremo fra pochi giorni; non sappiamo di sicuro dove andremo, si crede in prima linea dove eravamo stati due settimane avanti. Sarà quel che Dio vuole. Addio.
16 aprile. Pasqua al campo. Anche oggi ti mando due righe a notificarti la mia buona salute.
Riguardo al permesso non so ancora niente, ma se non si può venire a trovare i suoi, si può fare a meno del permesso; per andare in giro a consumare tutto il denaro, è meglio risparmiarlo e a guerra finita il denaro non sarà mai troppo.
Intanto preghiamo il Dio delle grazie che ci conservi d'ogni pericolo. Fammi sapere da che parte si trova il nostro fratello Giuseppe.
22 aprile. Pasqua al campo. Da diversi giorni mi trovo sul fronte in prima linea dove i nemici Moscali si trovano a pochi passi di distanza. Specialmente di notte pare un inferno, fanno un continuo fuoco sopra di noi, e noi con grande amore patriottico rispondiamo alloro, sempre con la speranza di riportare una grande vittoria. Quest'anno le feste pasquali le facciamo di fronte al nemico combattendo per la patria.
In guerra si dorme per terra e si mangia male; potessi avere almeno pane da mangiare a sazietà!
Ma invece scarseggia, ne riceviamo sempre meno.
Al fronte dobbiamo fare molto servizio, specialmente di notte, ma tutto finisce e si finirà anche questa guerra; intanto guardiamo di salvare la pelle.
Se venisse la posta libera per pacchi grossi, vi pregherei se poteste spedirmi una cassettina di pane, basta anche pane grezzo.
26 aprile. Ti avevo scritto l'altro giorno se puoi spedirmi una cassettina di pane, ma penso che ci sarà grande difficoltà e allora puoi tralasciare. Ho pensato di pregare il Beppi Capraro se può spedirmene lui che si trova a Linz; l'altro giorno mi ha spedito una pipa e una cinquantina di Feldpost, una ventina ne ha spedito la zia Giovanna, per intanto ne ho.
25 maggio. Dal campo. Qui dicono che gli italiani ricevono delle buone flagellate in questi giorni, hanno perduto un grandissimo numero di uomini, fatti prigionieri dai nostri. Se così fosse si placherà anche l'Italia e spero che in breve tempo potrete andare a casa. Ieri ricevetti due cartoline dal Silvio Capraro: mi dice di trovarsi a Lublino in un ospedale, ferito gravemente alla testa. Dice che ora sta meglio, ma che sarà disgraziato per sempre.
Gli ho spedito la direzione di suo fratello Giuseppe dandogli coraggio in ogni modo.
2 giugno. Dal campo. Questa mattina siamo stati ritirati dal fronte; rimarremo in riposo nelle riserve. Posso ringraziare il Cielo di essere stato ritirato sano e salvo.
Per le cose che aspettavo fino a oggi non ho ricevuto niente da nessuno, di spedirmi qualcosa non parla nessuno. Ebbene, speriamo che la guerra venga a terminare quanto prima.
Se potete andare alla Vazzena, appena che arrivi fammi sapere subito, e scrivi pure la verità, che ormai è così.
15 giugno. Dal campo. Scusa se non ti ho scritto in questi giorni. Devi sapere che ancora quel giorno che ti ho scritto l'ultima, mi pare il 5, abbiamo dovuto correre al fronte e abbiamo passato diversi combattimenti, che continuano ancora. Per vero miracolo mi trovo ancora sano e salvo. Dio non mi abbandona, è sempre con me, mi tiene l'ombrello per difendermi dai proiettili nemici. Non toccò così però a dei miei amici dei quali non devo fare il nome: preghiamo per loro.
Per quella cosa che ti pregavo nei giorni passati e ti dicevo di averne bisogno, ora non pensare più; qui si è cambiata come il giorno e la notte, ne riceviamo a crepa pancia.
18 giugno. Dal campo. Vengo a te con questa mia a farti sapere che da due settimane mi trovo a combattere e con l'aiuto di Dio rimango ancora sano e salvo. I nemici Moscali si mettono adesso a voler conquistare i terreni perduti (Era cominciata la quarta controffensiva russa per la conquista della Galizia e il conflitto si estendeva su un fronte di 350 chilometri. Per l'esercito austriaco le perdite furono rilevanti.). Qui di pace non si sente parlare mai, pare che questa non possa mai venire. Speriamo che Dio affretti il benedetto e sospirato giorno di poter ritornare ancora e presto in patria nostra.
21 giugno. Dal campo. Oggi è il mio onomastico e mi trovo sotto il fuoco in prima linea.
Se Dio è con me anche per l'avvenire ho ancora qualche speranza di aver la grazia di ritornare in patria; ma quando, non si sa.
Se potrai col tempo spedirmi un po' di cioccolata, come mi dici, mi sarebbe tanto necessaria, perché l'acqua da pozzo fa venire la diarrea e la cioccolata è un vero rimedio. Per altre mangiative non pensare perché adesso riceviamo di più.
2 luglio. Russia. È già un anno che siamo partiti da Linz per il campo. In giugno mi credevo perduto, avevo perduto ogni speranza. Ci sono stati grossi combattimenti, avrete saputo anche voi qualche cosa se avete letto i giornali. Mi pare che è una sega lunga che non termina più. Pare anche che non possa mai venire quel benedetto giorno di pace, ma spero che Dio sarà con me fino alla fine delle ostilità.
5 luglio. Dal campo. Dal 5 giugno fino ai 15 mi trovavo nei grossi combattimenti e avevo poco tempo e meno voglia di scrivere. lo non pensavo più per questo mondo, mi credevo ormai perduto, invece Dio mi ha protetto; non fu così però dei miei compagni.
11 luglio 1916. La zia Giovanna mi scrive che tutti dicono d'una pace vicina, il Gigioti mi scrive lo stesso; speriamo che sia la verità e speriamo ancora di essere tutti vivi e sani quel benedetto giorno, di poter riunirei ancora. Io mi trovo ancora al fronte, il pericolo è grande, specialmente la notte quando dobbiamo andare fuori dalla trincea per lavorare. Le palle nemiche fischiano di continuo intorno alle orecchie, ma spero in Dio, egli mi proteggerà, ascolterà senza dubbio le numerose preghiere che fanno tante persone buone per me.
15 luglio. Dal campo. È già un anno che mi trovo al campo, si potrebbe dire purgatorio.
Soltanto i pidocchi sono un vero tormento. Dai primi giorni che siamo arrivati qui e fino a oggi siamo sempre stati pieni di questi insetti. Ungere non giova niente.
19 luglio. Dal campo. Zia Giovanna [che lavorava a Trento] mi scrive del Battisti che, arrivato a Trento, fu subito fatto prigioniero.
Aspetto sempre la tua nuova che siete arrivati alla Vazzena. Sono molto curioso di sentire cosa e come. Ho sentito che le viti dalle nostre parti mostrano tanta uva ma, non potendo lavorarle, non resterà nulla. lo mi trovo ancora al fronte e non so quanto dobbiamo restare, forse fino al termine di questo flagello; spero di no. Qui non mi trovo niente bene neanche con la lingua; non si capisce una parola.
20 luglio. Dal campo. Ieri ho ricevuto un giornale che mi ha spedito la zia Giovanna e su quello ho letto tutta la storia del dottor Battisti di Trento. Certo è stato un volere di Dio che giungano ancora nelle mani della nostra giustizia. Non si merita altro di venire decapitato.
A questo punto la regolarità dell'invio della corrispondenza di Luigi alla sorella s'interrompe per diversi mesi. Il motivo? Poco dopo aver spedito la cartolina del 20 luglio che abbiamo appena letto, Luigi, che si trovava in prima linea, fu ferito e fatto prigioniero.
Sappiamo della prigionia dal compare Giuseppe Oberosler che comunicò la notizia a Lazzaro Roner:
«30 ottobre 1916. Volesna. Carrisimo Conpare.
Vi notifico, con questa mia cartolina che vostro figlio Luigi, è assieme a mio figlio Amedeo prigionieri in Russia, il nostro a scrito ormai due volte, sono stati presi ai 23 di Lulio; loro stano bene, sono assieme a 30 di Roncegno dunque coragio e pazienza che un giorno speriamo di rivederli.
Noi stiamo tutti abbastanza bene, cosi volio sperare di voi tutti, voliate scriverei se voi non avete mai ricevuto nisun scrito, scrivete mi qualche cosa di quelle parti, che mi farete piacere, vi saluto caramente tutta la vostra famiglia, e mifirmo il vostro affm Compare Beppi Pinza.»
Dell'argomento parla anche Catina, il 19 novembre del '16, in una comunicazione a uno dei fratelli:
«Ieri abbiamo ricevuto la prima cartolina del Gigio [Luigi], scritta all'8 di ottobre. Dice che fu fatto prigioniero ai 25 luglio; il giorno della sua prigionia fu ferito alla testa da un pezzo di granata che doveva restar morto. Dopo un lungo viaggio di nove giorni a piedi e sette di treno colla testa fasciata, è arrivato al luogo destinato. Dice che è un mese che si trova al servizio di un ricco possidente assieme a tre altri paesani; riceve da mangiare quanto vuole e sembra di essere in un altro mondo, ha lavorato al fieno nei grandi prati e ora va a tagliare legna nei boschi.
Ringraziamo di cuore la Divina Provvidenza che dispone così bene dei suoi figli.»
Finalmente Luigi riuscì a ripristinare la comunicazione con i familiari; ma gli scritti si fanno meno frequenti. Capiremo perché.
[1917]
Prigionia
1 aprile. Snamencka. Ricevi i più affettuosi saluti dal tuo amatissimo fratello, prigioniero in Russia.
19 maggio. Snamencka. Sull'ultima ti annunciavo le disgrazie che mi sono successe il giorno della mia prigionia a Tambov mentre stavamo nel fiume al bagno e qui a Snamencka dove lavoravo nel bosco e mi è caduta sopra la schiena una grossa pianta: da metà in giù ero come morto, ci volevano tre uomini a muovermi su quel misero letto. Quello che ha fatto di più per me è stato il Lazzeri Piero; anche i miei padroni mi hanno mantenuto e pagato come gli altri, anche se per tre mesi non ho potuto lavorare.
[Una riga è illeggibile per intervento della censura]
Nessuno può credere quello che ho sofferto: meglio sarebbe stato che fossi morto i primi giorni che sono entrato al campo; ma pare proprio che non possa morire in nessuna maniera.
10 giugno. Snamencka.
Sulle ultime due ti dicevo quello che mi era successo per il passato. Ora ti dico che sto bene e in breve sarò ristabilito, ciò che non avrei mai pensato; e pensare che mi mancava solo l'ultimo respiro.
Le domeniche e le feste le abbiamo tutte in libertà; si può andare a passeggio dove si vuole, siamo rispettati da tutti. Anche i civili ci levano il berretto. Però non ci desideriamo in questa posizione.
Carne ne riceviamo tre volte in settimana, pane e zuppa non mancano.
Di paga riceviamo nove rubli al mese e se ne adopera sempre per comperare del tabacco, pane bianco e tante altre cose. Siccome siamo in diversi italiani tutti assieme, passa il tempo che non ci accorgiamo nemmeno. Però non dimentichiamo nemmeno un'ora la nostra cara patria e speriamo di venir liberati presto.
28 giugno. Snamencka (Tambov).
Devo dirti che entro pochi giorni dovremo partire da questo padrone, ciò che a noi rincresce molto. Certo è che verremo distribuiti fra i contadini nei paesi più vicini; verremo dispersi uno qua e uno là e bisognerà lavorare il doppio o il triplo e tante altre cose. Ebbene, passeremo anche questa.
21 luglio. [Località imprecisata, non lontana da Snamencka].
Con questa mia ti faccio sapere che da dodici giorni mi trovo in un altro paese al servizio di un contadino. Vicino a me c'è anche il Cantonati dei Postai e altri italiani. Qui per mangiare si sta benissimo, ma il lavoro supera le forze. Neanche a casa non ho mai lavorato così, ed ora non ho nemmeno la metà di forza di quando mi trovavo alla Vazzena. Subito mi risento una grande fiacchezza; specialmente dopo quella disgrazia che mi è successa nell'inverno passato mi sento sempre poco appetito e lavorando tanto mi duole fortissimo la schiena. Meglio sarebbe stato che io fossi morto i primi giorni che mi trovavo al campo.
Qui un giorno pare lungo una settimana. Il male è anche che qui non si capisce niente. Il contadino deve pagare venti rubli al mese: otto vanno al Comitato e dodici a me.
28 luglio. Russia. In questi giorni mi è arrivata una tua cartolina scritta in data 9 marzo. Abbiamo un accordo con il Comitato e il contadino per quattro mesi e poi non so dove verremo rifugiati.
Qualche domenica andiamo a Snamencka a prendere la posta che arriva.
14 ottobre. Russia, Snamencka Tambov. Ieri ho ricevuto una cartolina anche da zia Giovanna.
Ella mi dà sempre buone speranze, ma presto bisogna perdere anche quelle. Intanto dovremo passare qui un altro inverno e questo ci fa temere. Il denaro che riceviamo non è abbastanza per vestirsi.
21 ottobre. Snamencka. Ieri mi è arrivata un'altra tua cartolina in data 29 giugno. Mi dici che questa è la diciannovesima che mi scrivi e io, fino a oggi, ne ho ricevuto dodici.
Non ho mai un'ora tranquilla; il pensiero è sempre alla nostra patria, al nostro paese, alla nostra casa, ai nostri averi. Si pensa sempre se si avrà la grazia di ritornare, se verrà presto quell'angosciato giorno; tutti aspettiamo con le braccia aperte il giorno della pace e chissà quando verrà. Pare impossibile, ora abbiamo ormai l'inverno alle porte: incominciano a gelarsi i fiumi.
21 ottobre. Snamencka. (Alla cugina Filomena). Questa è la quarta cartolina che ti scrivo...
Io sto bene, qui ce la passiamo meno male, ma non abbiamo mai una consolazione, si pensa sempre giorno e notte alla nostra cara patria, al nostro amato paese, ai nostri averi, ed ormai ci tocca passare qui un altro inverno, questo ci fa temere, perché in queste posizioni fa molto freddo, incominciano ormai a gelarsi i fiumi e si disgeleranno in aprile, poveri noi.
[1918]
[Dopo otto mesi privi di notizie dovuti senz'altro anche alla confusione
seguita alla rivoluzione d'ottobre]
11 luglio. Linz. Durante il viaggio di trasferimento dalla Russia dovetti stare sempre in piedi fuori dall'entrata dei vagoni, perché non si poteva avere altro posto: una folla di soldati andava in permesso.
A Vienna arrivai lunedì mattina, proprio come si diceva, e girai per la città fino a mezzogiorno domandando a Pietro e a Paolo, ma nessuno sapeva indirizzarmi. Finalmente mi imbattei nel comando di un altro reggimento: là mi hanno fatto nuove carte e mandato a Wels. A Wels nuove carte ancora e mi hanno mandato a Linz e qui sono arrivato mercoledì sera. Mi hanno accolto al II reggimento Landsturm; mi trovo nelle baracche vicino alle caserme dove ero stato a fare la recluta nel 1915.
14 luglio. Linz. Qui a Linz, nelle baracche, ci sono alcuni italiani ritornati dalla Russia, ma questi vanno presto in permesso. Io non so ancora niente se potrò venire a casa. La supplica che avevo fatto è andata al I reggimento e io mi trovo al II, dunque andrà fallita. Qui ci tocca lavorare; anche ieri sono andato al fiume Donau a scaricare vagoni e anche domani il medesimo mestiere.
Io sto meno male; la debolezza però mi accompagna e anche il mal di cuore si fa sentire forte.
Da bere se ne trova in città: 50 centesimi una tozzola di mosto. Pane invece no, ma si trova altro: piccole porzioni e a caro prezzo.
Scrivimi come va da quelle parti, se senti qualche nuova mi farai sapere.
22 luglio. Linz. Ti mando questa cartolina con la città di Linz, vedi anche il fiume Donau che l'attraversa, sul quale viaggiano i vapori.
24 settembre. Linz. Vi auguro buona salute a tutti e una lunga vendemmia; fate grossa cantina, colla speranza di venire ad assaggiare il vino nuovo.
5 ottobre. Linz. Oggi i telegrammi annunciano armistizio su tutti i fronti; dunque speriamo in pochi mesi di esser tutti a casa nostra.
10 ottobre. Linz. Penso che in questi giorni avrete molti mestieri: vendemmia, castagne, granoturco. Oh!, quanto sarebbe bello in questi giorni se potessi venire anch'io. Ci sarebbero vino dolce e castagne, e anche quelle buonissime patate del Moretta che ho sempre in mente, anche se facevano correre.
Domenica, giorno del Rosario, qui hanno fatto una lunga processione per la pace. Pare che questa sarà fra pochi mesi, speriamo. Qui si parla di armistizio.
12 ottobre. Linz. L'altro giorno ho passato una visita; deve essere certo per trasferirmi e mettermi al lavoro o a fare la guardia. Qui non sanno più cosa fare degli uomini; ieri l'altro ne hanno spediti via moltissimi: li hanno distribuiti ai baccani qui, nei dintorni di Linz, ma non di quelli che furono prigionieri. E non potrebbero lasciarli andare a casa loro a lavorarsi la campagna?
16 ottobre. Linz. Riguardo alla salute sto benino, ma il grande appetito continua: più mangio e più appetito mi viene; dopo quella malattia che ho passato in Russia non posso saziarmi.
Qui i tedeschi, in questi giorni, leggono i giornali con tutta attenzione e curiosità. Da quello che capisco pare che la pace sia vicina. Speriamo.
22 ottobre. Linz. Avendo il tempo ti scrivo una seconda oggi, che mi trovo di guardia agli arrestati.
Ti dico che non so che carta prendere per scriverti. Osservo gli altri e vedo che qualcuno scrive Feldpost, altri scrivono corrispondenze aggiungendo una marca da due elleri, altri adoperano cartoline illustrate con una marca da dieci, altri lettere con marche da venti; se bastasse Feldpost certo sarebbe un bel risparmio. Quando ti arriva, mi saprai dire se è giusta.
Specialmente in questi giorni ci devono essere delle grandi novità, e qui non so mai niente.
Ti lascio nella grande speranza di rivederci presto.
30 ottobre. Linz. Sono stufo e stanco a stare con questa lega; non si può mai dire una parola; se ci fossero alcuni italiani passerei meglio il tempo e forse si potrebbe sapere le buone nuove di questi giorni. Anche l'altra sera c'è stato un lungo discorso e sarebbe stato bello poterne capire il significato; ma io non intesi altro che è presto pace. Ieri sera c'è stato un altro discorso, ma non intesi niente.
Come bramerei poter capire qualcosa, ma io sono castigato così.
Ebbene, presto la guerra terminerà.
31 ottobre. Linz. Dalla lettera che mi hai mandato capisco che per Natale sarete alla Vazzena. Capisco che la casa sarà tutta in rovina, mancherà tutto e ci vorrebbe un vagone di denaro per comperare soltanto il più occorrente. Il più che importa è comodare il tetto, per il resto si farà un po' alla volta.
Ci sarà molto da trasportare da Roncogno a Roncegno, lo faremo al principio dell'inverno. Io vi consiglierei di andare più presto che potete alla Vazzena; meglio a casa sua con un pasto al giorno che con tre pasti in casa d'altri.
Gruppo Alpini di Roncegno – Piazza Achille De Giovanni 1- 38050 – Roncegno Terme – (Tn) P.IVA/C.F.90012350220