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MITTERNDORF LA CITTA' DELLE BARACCHE
di Vitaliano Modena
Rimasti a Pottendorf un certo periodo, ci trasferirono a piedi a Mitterndorf, scortati dai soldati. Era un giorno di pioggia: ci si sfilavano le dàlbere trattenute dal fango attaccaticcio. Ci accompagnarono in una baracca: con noi c'era la famiglia della nonna e delle zie, del Paolo Montibeller (Zane) e dei Bernardi (Lice).
Cerchiamo di vedere dov' era collocato e come si presentava il baraccamento di Mitterndorf.
Mitterndorf era, al tempo dell'arrivo dei nostri profughi, un piccolissimo villaggio situato a 25 km da Vienna, sulla linea ferroviaria Gramat Neusiedl- Wiener Neustadt.
Aveva 150 abitanti, una piccola chiesa e un botteghino.
Nel 1914 era stato costruito, nei pressi di quel minuscolo agglomerato di case e lungo le rive del Fìscha, un accampamento di baracche per ospitarvi i profughi galiziani e polacchi evacuati in seguito all'avanzata dell'esercito russo.
Con il massiccio afflusso di profughi tirolesi, non in grado di provvedere al proprio sostentamento, le autorità governative austriache stabilirono di ampliare l'accampamento con la costruzione di nuove baracche.
Esse avrebbero dovuto offrire ai nuclei familiari e agli abitanti di molti paesi trasferiti in quella regione la migliore ospitalità possibile, considerata la situazione di emergenza e di precarietà.
Nel contempo sarebbero stati forniti gli indispensabili servizi sociali, quali l'assistenza ai malati, le scuole, gli asili, la chiesa, i laboratori...
Questo e gli altri baraccamenti predisposti per raccogliere i profughi delle zone evacuate furono, come disse Gatterer, le prime forme di lager che si ricordino.
Per la nostra gente il nome di Mitterndorf è rimasto legato a quella città di baracche che raggiunse il numero di 12.000 profughi nel periodo di maggior affluenza, e nella quale i nostri sfollati vissero, generalmente, dalla fine del 1915 alla fine del 1918.
Ne riportarono un gravoso fardello di ricordi, cicatrici perenni di profonde ferite prodotte nello spirito dei più dalla miseria, dalla fame, dalle malattie, dalla morte, dalla nostalgia, dalla disperazione, dalle umiliazioni.
I profughi vennero destinati all'accampamento di Mitterndorf anche se molte baracche dovevano ancora essere costruite e attrezzate, e carenti erano le infrastrutture.
Così si spiega l'elevato numero di persone ammassate inizialmente in ogni baracca: perfino 280.
Appartenente al Museo del Risorgimento di Trento.
Alla fine del 1915 la città di legno era tutt'altro che ultimata. Infatti, al primo agglomerato chiamato lager vecchio, se ne aggiunse un secondo detto lager nuovo, che consentì una migliore distribuzione delle persone nelle baracche.
Questo venne ultimato verso la fine del 1917.
Gorfer, nell'opera citata, informa che "il Lager vecchio formava un quadrilatero di circa 10.000 metri quadrati che conteneva 96 baracche disposte su sedici blocchi.
Il Lager nuovo era un po' più vasto, separato dalla sponda della Fìscha da circa 200 metri di prato.
Conteneva 190 baracche più piccole e più comode, vale a dire con abitazioni familiari o, al massimo, bifamiliari; con le quattro cucine, erano ordinate su 5 blocchi di 32 e su 2 di 15 in mezzo ai quali si stendeva una spaziosa area libera".
Nel suo massimo sviluppo, l'accampamento "disegnava un vasto quadrilatero di oltre 700.000 metri quadrati di area recintata, senza contare gli orti (Gemùseqdrten ), che si allungavano a nord-est del Lager 1, e vari servizi annessi.
In sponda destra della Fìscha, vale a dire all'esterno del recinto ufficiale del campo, c'erano, infatti, la fattoria, le stalle delle vacche, dei cavalli, dei maiali, la centrale termoelettrica, il cimitero, una fabbrica e altri edifici minori".
Ritorniamo ai ricordi dei testimoni: Appena giunte a Mitterndorf, diverse famiglie del nostro paese furono assegnate a una stessa baracca. Nella nostra si trovavano i Casagrande, i Goner (Traineti), i Cipriani, i Brigadoi e altri: eravamo in 62. Si dormiva vestiti sopra pagliericci stesi sul pavimento, con qualche coperta, e i vestiti per cuscino. La luce pioveva dalle piccole finestre in alto. Più tardi, dopo la costruzione del lager nuovo, ci trasferirono nella baracca 54: in una stanza grande eravamo noi tre, sei Cipriani e quattro Goner. La nostra prima sistemazione fu in baracconi, buttati sulla paglia. Poi, con la costruzione di altre baracche, ricavarono più stanze per baracca. Nella nostra eravamo in 26. Più tardi, con la costruzione del lager nuovo, venne assegnato un locale a ogni nucleo familiare, secondo il numero dei suoi componenti.
La maestra F. Boccher scrisse nel diario: "28 ottobre.
Giungemmo a un baraccone, l'alloggio destinato ci. Si entrò per una porta che faceva paura, si salì una scala stretta e ci si spalancò dinanzi un uscio. Vedemmo uno stanzone, sul pavimento del quale stavano duecento pagliericci disposti in quattro file. Bisognò entrare e starei 223 persone. Deponemmo mesti i nostri bagagli e ci sedemmo sui pagliericci. Ci portarono un po' di minestra, e poi coperte. Il frastuono era indescrivibile; il pavimento traballava.
7 novembre. Da undici giorni languiamo in questo stallone ... Uscendo devo passare tra una doppia fila di pagliericci, sui quali i compagni di sventura giacciono ancora . . . Verso le 8 ci si porta il caffè-broda, alle 12 la minestra per il pranzo e alle 6 quella per la cena.
1O novembre Dopo pranzo, alle 2, ci hanno liberati dallo stallone. lo ebbi la stanza 6, baracca 46. Sono con me i miei genitori, mia cognata, sua madre con due nuore e tre bambini, e due altre famiglie: insieme 17 persone. Nella stanza non ci sono lettiere, non stufa, non tavola. È venuto il fabbro a mettere a posto la stufa e vi ha messo i tubi".
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