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NELLE CAMPAGNE E NEI PAESI LIMITROFI
di Vitaliano Modena
Un altro modo per approvvigionarsi fu quello di fare delle puntate nei campi, rischiose ma necessarie per sopravvivere.
I bambini, soprattutto, passavano furtivamente la recinzione e uscivano nei campi a spigolare frutti lasciati nel terreno.
Con la minestra che ci davano e quel pezzo di pane nero con la paglia dentro, non si viveva. E allora molti di noi andavano a rubacchiare qualcosa nei campi (patate, frumento, carote gialle, anche torsi di cavolo), e quando andava bene, sentivamo gridare al nostro indirizzo "porci italiani". Qualche volta si trovava un'aringa da acquistare nell'accampamento o nelle botteghe dei paesi vicini. Mio fratello lavorava in Rumenia e ci inviava farina e granturco. Avevamo un mulinetto e si provvedeva a far qualche polenta. Un giorno, a pranzo, ci portarono crauti con i "coschi", Allora decisi di fare qualcosa. Con l'aiuto di mio fratello riuscii a passare sotto i fili del recinto dell'accampamento e andai a spigolar patate. Il quel mentre un contadino mi vide, mi afferrò per portarmi non so dove.Ma intervenne una guardia e lo invitò a
lasciarmi libera: ci avrebbe in seguito pensato lui. Che spavento! Sapevo infatti che se i contadini ti vedevano, o ti aizzavano i cani, o ti portavano dai gendarmi e rischiavi la prigione. Avevano cavato le patate da tempo e già erano arrivati i primi freddi. Andai con un compagno alla ricerca di qualche patata; il terreno era gelato e ci eravamo portati un ferro per romper/o e scavare. Ne riempimmo un gamellino ciascuno. In un'altra stagione, aperto un varco nella recinzione, andai a rubare pomodori. Li vendetti poi perché non mi piacevano, e mi comperai una fetta di anguria. La mamma, per i primi due anni, non prese il sussidio. E non c'era, nella nostra famiglia, nessuno che potesse lavorare e guadagnare qualcosa. La situazione era per noi particolarmente grave. Si andava allora a spigolare frumento o patate, e si cercava di ingegnarsi meglio che fosse possibile. Avevamo trovato un sistema efficace di procurarci dei cavoli. Mettevamo dei sassi sulle rotaie di un trenino che li trasportava alla stazione: così il carrello si rovesciava e noi fuggivamo coi cavoli sotto il braccio. Un giorno ci scopersero e riuscimmo a sfuggire alla cattura per un pelo: quando stavamo per essere agguantati, tirammo un cavolo in faccia a chi ci inseguiva e via a gambe levate!
Mitterndorf. Famiglia Quaiatto (Panìci): il nonno Giovanni, il figlio Basilio con la sposa
e i loro figli Rosa, Maria, Emilia, Giuseppe.
Le maggiori difficoltà alimentari si ebbero nel 1917, allorché in tutte le regioni dell'impero austro-ungarico dilagò lo spettro della fame.
E mentre gli abitanti delle campagne riuscivano a mettersi da parte almeno lo stretto necessario, negli accampamenti il raziona mento si fece esasperato, tanto che si diffuse tra i profughi la preoccupazione che fosse in atto un barbaro disegno di sterminio dei tirolesi italiani.
"Ci si fa soffrire la fame e il freddo, ci si avvelena con broda che le bestie rifiuterebbero, si impedisce che ci giungano generi alimentari da altri luoghi; e son vane le suppliche che facciamo ripetutamente per ottenere il permesso di partire.
Che si deve pensare?" (Boccher).
Vi fu anche chi, eccezionalmente, aveva fatto altrove un'esperienza tanto dolorosa che trovò la vita a Mitterndorf almeno sufficientemente garantita.
Noi arrivammo a Mitterndorf in un secondo tempo, provenienti dalla Boemia, dove avevamo vissuto un'esperienza drammatica. E nell'accampamento trovammo meno miseria che in Boemia. Il cibo era scarso, è vero, ma qualcosa portavano a ogni pasto. Non era certo buono, ma almeno ci consentiva di sopravvivere giorno dopo giorno.
In cerca di generi alimentari, i profughi si recavano sempre più frequentemente nei paesi dei dintorni e in Ungheria, distante poco più di due ore a piedi da Mitterndorf, o acquistavano prodotti al mercato nero che si organizzò rapidamente e divenne fiorente.
Il grano, il granturco e la segale erano i prodotti più ricercati.
Ai baraccati era occasionai mente permesso cucinare in proprio e per questo, fra le baracche, ai margini delle vie e lungo il fiume Fìscha si accendevano dei fuochi tra i sassi per cuocere la polenta.
"Anche stasera abbiamo fatto la polenta.
È un lusso che non possiamo permetterei tutti i giorni; ma di quando in quando bisogna averla, per poter far coraggio a dilavarsi poi lo stomaco per alcuni giorni con la minestra del lager". (Boccher)
Coi soldi si andava fuori dai contadini a chiedere qualcosa da mangiare: "Zuviei Hunger, Geld", dicevo. E comperavo pane di segala o krapfen, che sapevo di trovare. Con la mamma andavo talvolta a Marienthal percorrendo una stradina tra i campi. Si acquistava farina di segala per ispessire la minestra. Una volta ci andai per comperare rum, perché lo zio soffriva di dolori in tutto il corpo; con quello guarì. Mi recavo a Unterwalthersdorf a comperare latte scremato a dieci soldi il litro, e anche in Ungheria, con il treno. Là c'erano immensi campi di frumento con papaveri gialli e lepri che saltavano sulle strade. Qualcuno dei nostri andava di nascosto nel Fischa a pescare con dei forconi costruiti rozzamente. Con la farina portata da Roncegno si faceva talvolta polenta su un focolare approntato fra le baracche. Serviva a calmare un po' la fame. Per la nostra mamma, ammalata seriamente, ottenemmo dal medico il buono per andare all'ospedale a prendere il latte o il brodo.
Mitterndorf. Famiglia Postai: la signora Clementina con i tre figli (Maria a destra).
"È una rarità poter aver patate ora. Si dice che sia proibito il venderle e il comprarle senza tessera.
Il "negoziante" che c'è nella mia baracca parte la mattina presto e torna la sera con alcuni kg di patate, ch'egli nasconde alle guardie non so come; qui le vende a una corona il kg, ma solo per piacere, a chi vuole; e gli altri lo pregano invano.
L'uomo che abita nella stessa stanza dei miei genitori oggi è andato in Ungheria e comperò alcuni kg di granoturco.
Spese circa 100 corone ma fu arrestato dalle guardie, che gli tolsero tutto il grano, e lo lasciarono poi in libertà senza rifondergli nulla di ciò che aveva speso.
Il pover' uomo tornò in baracca dispiacente assaì." (Boccher).
Il traffico dei "mercanti" e degli strozzini divenne regolare.
Riuscirono a vendere a prezzi sempre più elevati e fecero diventare obbrobrioso il loro commercio.
Generi alimentari vennero introdotti nel campo anche dalle persone che lavoravano nelle fabbriche delle località vicine.
Mentre nel periodo iniziale non era consentito prendere alcunché nelle campagne, anche a raccolto ultimato, più tardi si invitarono pure gli scolari a cogliere nei prati erbe mangerecce per le cucine, e vennero divulgate informazioni sulle proprietà di certe erbe largamente diffuse. "In vista della scarsezza di viveri è della più grande importanza il sapere che il trifoglio giovane come viene da noi coltivato è un eccellente e nutritivo legume, sano e digeribile.
Si deve cogliere fresco quando è cresciuto a 10-15 cm.
La preparazione è la stessa di quella per gli spinaci: si consiglia però di farlo bollire di più e di cambiargli l'acqua per togliergli il gusto amaro. Nelle campagne il trifoglio si usa anche quale cibo in tempo di pace" (L'eco del Litorale (sabato 26 maggio 1917).) .
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