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PROFUGHI IN VALSUGANA
di Vitaliano Modena
Coloro che poterono contare sull'ospitalità di parenti o conoscenti, soprattutto nel Tirolo meridionale e settentrionale, stabilirono presso di loro la nuova dimora.
Nel Perginese, nel Pinetano, in Valle di Non, in Alto Adige, nella zona di Innsbruck, nel Vorarlberg e nel Salisburghese numerose famiglie trovarono l'alternativa ai lager dell'Austria inferiore o alla Boemia, di cui non si diceva certo bene: subito dopo la partenza, circolavano già voci di morti, malattie e pessima sistemazione.
Una parte di coloro che rimasero in Valsugana, lo dovettero alla presenza in famiglia di persone in grado di lavorare per l'Anbau, l'azione militare che si avvaleva della collaborazione di civili, compresi ragazzi e donne, per opere stradali, coltivazione di campi e servizi negli alloggia menti militari. Pergine, Canezza, Viarago, Falesina, Roveda, Civezzano, Roncogno, Susà, i paesi pinetani sono i centri più vicini che accolsero nostri profughi.
Poco prima di dover lasciare Roncegno, eravamo a Retto con le pecore e le capre: mio fratello di diciannove anni e io di dieci. Avevamo sperimentato le prime azioni di guerra qualche mese prima quando, recatici a pascolare verso Serot, sentimmo sopra le teste fischiare le granate. Verso la metà di agosto si presentarono due soldati alla nostra casara: dovevamo andar via. Raggiungemmo in serata la nostra abitazione alla Rozza. La mamma ci fece indossare il vestito della festa e le scarpe, e con poche cose risalimmo a Retto. Ricordo che quella sera mangiammo ricotta arrostita per far presto e risparmiare le provviste. Subito dopo, presi gli animali, ci mettemmo in cammino su per la montagna.
Pastori di Frassilongo, nostri conoscenti, ci ospitarono nel fienile e ci consentirono di lasciare presso di loro gli animali per un certo tempo.
Una mattina di qualche giorno dopo, appena svegliato, seppi che mio fratello era andato a Viarago a trovare la mamma che si era stabilita provvisoriamente là con quattro mie sorelle, un fratellino e la nonna. AI ritorno di mio fratello, espressi anch'io il desiderio di andare a salutare la mamma, ma non mi fu permesso; anche perché, con il resto della famiglia, lei avrebbe dovuto andarsene da quel paese. Raggiunse infatti Mitterndorf, insieme con molti altri compaesani, a distanza di poco tempo.
Dove saremmo andati a finire noi due?
Mio fratello trovò occupazione presso i Morelli di Canezza; poco dopo ricevette la cartolina-precetto e partì. lo fui accompagnato a Viarago da una zia, dove fui accolto e trattato con scarsa considerazione. Il mio giaciglio era nel porcile e ricevevo poco da mangiare.
Ricordo che un giorno venne a trovarmi papà, militare in Valsugana. Non so se per l'occasione, ma quel giorno il cibo era più abbondante e curato. Servirono in tavola e io non ricevetti nulla: seduto al mio posto in un angolo, guardavo gli altri desinare. Poco dopo aver cominciato, mio padre smise di prender cibo.
"Perché non mangi?", gli chiese la zia. "
Ho già mangiato abbastanza", fu la risposta di mio padre. Ne aveva a sufficienza, pover'uomo! In quella casa rimasi poco, perché lo zio mi condusse a Sant'Orsola, al comando dell' "Arbeitergestellung": a casa non ero buono che a giocare, là avrei imparato a lavorare e a guadagnarmi il pane. Il comandante mi chiese quanti anni avessi: dieci. Non poteva prendermi. Poi, capìta la situazione, volle i miei dati e la mattina seguente ero a Canezza a lavorare con le donne.
Di quel periodo ricordo le difficoltà, le rampogne dei superiori, l'aiuto e i consigli delle donne. Vi rimasi un certo tempo, poi mi cambiarono di posto; questo avvenne alcune volte, finché giunsi sulla Panarotta, addetto soprattutto alla costruzione di strade. Da lassù, la festa, venivo con qualcuno a dare un'occhiata alla nostra montagna e a raccogliere frutti: castagne e mele in special modo. Giunsi un giorno nei pressi del maso Smideri e riempii uno zaino di mele. Con quel carico cominciai il ritorno, che si rivelava faticoso. A ogni fermata ero costretto a rovesciare una parte del carico, troppo pesante; e quando arrivai in cima avevo poca roba ed ero stanco morto. In quel punto incontrai un conoscente; mi disse: "Ho sentito che è morta la tua mamma, è vero?"
"Non so", risposi io. "
Ma, forse non sarà vero", continuò quello, "avranno voluto dire un'altra persona".
Arrivato nella baracca, dietro la Panarotta, gettai lo zaino a terra, mi buttai sulla branda e cominciai a piangere. Le donne si davano da fare a convincermi che alla mamma non era capitato niente.
Boemia, Cernosice. Giovanni Dalsasso (dietro, ultimo a destra) con profughi di Rovigno (Pola).
La notizia del suo decesso mi fu comunicata poco dopo. Forse era morta anche per il dispiacere di avermi lasciato qua solo.
Gli abitanti della Val di Canale trovarono ospitalità a Roncogno, dove risiedevano alcune famiglie imparentate con i Boccher e i Montibeller.
Gli uomini lavoravano per l'Anbau e, nelle ore libere, aiutavano le donne a coltivare la campagna; c'era la possibilità di allevare qualche gallina.
Di tanto in tanto qualcuno di noi veniva a Marter a prendersi qualcosa, e per un certo tempo si poté qui coltivare anche un po' di campagna.
La casa era occupata da militari, perché la posizione era un ottimo punto di osservazione per controllare il paese e la montagna. Mentre i nostri giravano per i campi, noi bambine sedevamo sulla scala di casa e i soldati ci portavano da mangiare.
Ottenemmo campagna da lavorare e tutti si davano da fare per procurarsi il necessario: il papà andava in opra e il nonno faceva ceste e accomodava ombrelli. L'ambiente era favorevole.
Quando l'arciduca ereditario Carlo giunse a Pergine, il papà volle andare a vederlo: non mancarono le promesse di pace. Invece il papà, dapprima giudicato non abile, fece in tempo a essere arruolato e mandato in Romania e in Transilvania.
A Roncogno lasciammo la nonna, che morì l'ultimo giorno di ottobre del 1918.
La mia famiglia ottenne il rimpatrio da Mitterndorf per lavorare la terra e costruire strade, e trovò un quartiere a Susà. Il nonno era addetto alla costruzione di una strada in Val dei Mocheni; la mamma e la zia erano occupate come sarte a S. Cristoforo presso il centro di smista mento delle truppe. Con l'apporto di tutti si coltivava anche la campagna. Non avevamo difficoltà economiche. Rimanemmo a Susà fino alle ultime battute della guerra; ci trasferimmo quindi a Marter, perché la mamma era dei Brustolai, e più tardi a Roncegno.
Siccome non volevamo andare in Boemia, facemmo tutto il possibile per fermarci in Valsugana. Allora io avevo tredici anni e, dichiarando un'età superiore, venni accettata per i lavori stradali in Val dei Mocheni. La mamma lavorava presso la famiglia dei salumieri a Canezza; le mie sorelle trovarono occupazione a Caldaro e vi rimasero tutta la guerra; mio fratello fu chiamato alle armi. Ricordo che, nella primavera del '16, per tre giorni e tre notti si sentì tuonare i cannoni dalla Panarotta: sembrava un inferno. Mi dissero che era in corso una grossa battaglia a Sant'Osvaldo.
Nel 1916, sempre per lo stesso tipo di lavoro, fui mandata a Calceranica, dove trovai altri profughi. Le case avevano i vetri delle finestre rotti, perché dalla stazione sparava un cannone molto potente che, in breve, li mandò tutti in frantumi, provocando danni anche alle abitazioni.
Finito il lavoro sulle strade, ci mandarono a lavorare la campagna, nella zona di Calceranica e Caldonazzo.
Alcune di noi decisero un giorno di recarsi a vedere il nostro paese. Raccogliemmo castagne, mentre la mamma andava a vedere la nostra casa. Ritornò accompagnata da due soldati tedeschi: non potevamo fermarci nemmeno per poco tempo. Quei soldati ci condussero fino a Novaledo, e altri poi fino a Barco. Uno di questi ultimi era trentino e ci indicò una stradina nascosta fra i campi. Trascorremmo la notte in una casa abbandonata e la mattina seguente raggiungemmo Calceranica.
Negli ultimi tempi ebbe il permesso di raggiungerci anche papà. Con lui arrivammo a Roncegno nel 1918 e fummo alloggiati alla villa De Giovanni, dove erano acquartierati anziani StandschUtzen: li comandava Eugenio Dalsasso. Lavorando per l'Anbau, trascorremmo l'ultimo periodo sufficientemente tranquilli: avevamo qualche bestia e la possibilità di lavorare anche la nostra campagna.
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