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RUKULIBAM MILOSPANI
(TESTIMONIANZA-RIEPILOGO SU ALCUNI ASPETTI DELL'ESILIO IN TERRA BOEMA)
di Vitaliano Modena
Boemia. Seduti da sinistra: Andrea Dalprà e Emanuele Slomp; dietro: Carlo Zottele e Carlo Montibeller.
Abitavamo una casetta troppo piccola per il numero dei componenti della famiglia. Dormivamo tutti in una cameretta, parte in tre lettini, parte sopra assi rivestite con una coperta. Dal soffitto gocciolava l'umidità. La gente del posto ci accolse con ostilità: prima di noi c'erano stati profughi istriani che non avevano lasciato un buon ricordo. Con il passare del tempo, però, ci stimarono sempre più, tanto che, alla fine, fummo invitati a rimanere presso di loro. I miei fratelli maggiori si occuparono quasi subito presso una famiglia di contadini; io fui richiesta per i lavori domestici da una coppia di sposi senza figli, responsabili di un ufficio postale. Ricordo che alla signora dovevo rivolgermi con l'espressione "rukulìbàm milospanì", le bacio le mani riverita signora. Da lei imparai molto presto il boemo: la conoscenza di questa lingua mi consentì di aiutare i miei familiari e i compaesani che ricorrevano a me come interprete. Quante cose imparai in quella casa! Ricordo quant'era laborioso fare il bucato: i panni lavati venivano stesi sul prato in riva al fiume ad asciugare; quand'erano quasi asciutti, bisognava tornare a bagnarli, perché l'azione del sole fosse così più efficace. Il lavoro più gravoso, per me piuttosto minutina, era portare in casa l'acqua che andavo ad attingere a un pozzo distante dall'abitazione. Al "bigòlo" appendevo due secchie di legno; lungo il ripido sentiero queste urtavano contro il terreno e parte dell'acqua usciva, così i viaggi erano sempre molti. Il papà veniva a trovarci quando riceveva il permesso. Eravamo sempre in attesa che fosse accolta la sua domanda di essere ritirato dal fronte: ne aveva diritto perché la nostra famiglia era numerosa. La tanto sospirata risposta giunse quando la guerra stava per finire: il papà, proprio in quei giorni, trovò la morte a Enego. I suoi resti riposano nell'ossario di Asiago. La mamma ne sofferse a lungo, tantissimo. Venne il giorno della partenza dalla Boemia. La mia padrona, che aveva insistito tanto perché rimanessi da lei, non solo a servizio, ma come figlia, mi colmò di ogni ben di Dio. Il padrone mi accompagnò alla stazione. Da loro ricevetti lettere piene d'affetto per diversi anni, che conservo tutte: ci manchi tanto, ti vediamo in ogni angolo della casa, mi scrivevano; e ci raccontavano di loro, di quello che capitava in paese, volevano sapere di noi, ci davano consigli. Speravamo tutti di rivederci, ma non fu più possibile.
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